“Solo più tardi si rese conto del motivo per cui lo avevano chiamato, ma a quel punto era troppo tardi perché l’informazione gli fosse utile”.

L’incipit di Gli ultimi giorni (trad. Orso Tosco, nottetempo) di Brian Evenson precipita chi legge in uno scenario dai toni apocalittici. Al centro Kline, un agente sotto copertura schivo, solitario, a cui è stata amputata una mano, che con freddezza dopo essersi cauterizzato il moncherino su una piastra elettrica, si vendica con il suo aguzzino, “il gentiluomo con la mannaia”, sparandogli e portandosi via una borsa colma di soldi. Contattato per telefono da sconosciuti con una fumosa proposta – “È la fortuna che bussa” –, non potrà esimersi da quella richiesta forzata. Prelevato dal suo appartamento e condotto nella sede della Confraternita della Mutilazione, al cospetto del nuovo capo insediatosi dopo la morte della guida spirituale in circostanze sconosciute, Kline è costretto a far luce su quella scomparsa, ma le condizioni per scoprire la verità si mostrano impraticabili.

Le descrizioni essenziali e il tono piano e asettico della narrazione generano un senso di straniamento. La prosa magnetica, il ritmo incalzante, il succedersi delle vicende per brevi sequenze, risucchiano chi legge in un vortice oscuro, impongono di adattarsi ben presto alla logica che muove gli eventi. A cadenzare il tempo del romanzo è il graduale inabissamento in un quotidiano vischioso. Le norme che muovono la setta, il rigore e il controllo assoluto di ogni suo componente – con guardie guerce e adepti che ambiscono a dimostrare il grado di devozione mutilandosi parti del corpo –  celano i meccanismi distorti di una fede basata sul sacrificio estremo inteso come atto di vicinanza a Dio. In tale ottica, la sottomissione a una gerarchia sociale determina il grado di ascetismo e definisce l’accesso alla conoscenza in base alla propensione alla perdita, al desiderio di amputazione, secondo il principio che la verità necessita uno scambio di carne. Il tentativo di Kline di sopravvivere all’interno dell’organizzazione e di aderire alle sue regole folli avviene in parallelo all’accettazione della mancanza di una parte del suo corpo, nel continuo abbaglio sensibile, nell’illusione di percezione di un arto ormai monco.

Una specie di stranezza ricopriva ogni cosa, come se la separazione tra lui e gli oggetti fosse molto meno netta di quanto avesse immaginato in precedenza, come se avesse iniziato a confondersi con il mondo circostante.

Accanto allo studio di comunità spirituali affascinate da gruppi gnostici del primo Cristianesimo e ispirate ad alcuni passi delle Sacre Scritture, a influenzare la stesura del romanzo fu probabilmente anche l’esperienza di Evenson come mormone nella Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni. Come ipotizza Peter Straub nella postfazione, la narrazione delle dinamiche interne alle sette può essere considerata la versione parodica di quanto esperito nell’educazione spirituale dell’autore, riconoscibile nelle descrizioni di un sistema ottuso e rigido, incapace di accogliere visioni diverse, anche in relazione al duro giudizio di istigazione alla violenza ricevuto dall’istituzione religiosa all’uscita nel 2002 di Altmann’s Tongue. Sarà proprio quest’opera, assieme a Last days (premio dell’American Library Association per il miglior romanzo horror del 2009) e a opere come The Wavering Knife (IHG Award per la migliore raccolta di racconti) e Dark Property a decretare il successo di Evenson come voce atipica nel panorama letterario americano contemporaneo con tre premi O. Henry e la traduzione in ceco, francese, italiano, greco, ungherese, giapponese, persiano, russo, spagnolo, sloveno e turco. Noto anche come traduttore, si occupa da anni di voci letterarie dissonanti, tra cui Èric Chevillard e Antoine Volodine.

Paragonata tra gli altri a Raymond Chandler, Cormac McCarthy, JG Ballard, William S. Burrougs, l’originalità dell’intera produzione letteraria di Evenson risiede nell’attuare una radicale reinvenzione dell’horror. Il peculiare maneggiamento del genere per ricollocarne i riferimenti è funzionale a compiere un elogio del vuoto: il superamento del mero succedersi di visioni irreali e macabre favorisce un’esaltazione dell’artificio per ritrarre la fragilità umana.

A rendere inclassificabile Gli ultimi giorni è l’innesto di allucinazioni new weird, rimandi western, fantascientifici e neogotici, echi realistici nella generale desolazione di ambienti non collocabili nello spazio e nel tempo, l’incalzare poliziesco attorno a un antieroe ispirato al modello hardboiled, in un’indagine sulla percezione della realtà che deriva da importanti influenze psicanalitiche e filosofiche (Martin Heidegger, Gilles Deleuze e Félix Guattari, in particolare).

Il contatto con emarginati dalla società e la condivisione di situazioni ad alto rischio influenzarono nel tempo la visione narrativa di Evenson, sempre più interessato a investigare le evoluzioni legate al mancato riconoscimento di sé in condizioni estreme, aspetto che ne Gli ultimi giorni è reso nelle deformazioni del reale tra continue sovrapposizioni di descrizioni fisiche e divagazioni mentali, nell’enigma perenne sulla natura mortale e umana del protagonista.

La sua vista bastava a mala pena a distinguere il cielo dalla terra. Quello che gli era sembrato un rumore di auto ora invece sembrava un rumore di roccia che raschiava contro altra roccia; il dolore si attenuò lentamente fino a ridiventare quello stesso male sordo e urticante che sentiva ormai da ore.

La ripetizione ossessiva di moduli ricorrenti produce assuefazione alla brutalità narrata con stacchi lirici improvvisi nel dare forma a un tormento interiore apparentemente estraneo a un soggetto impietoso e indifferente, reso con fulminee incursioni nei sogni di conflagrazioni, pezzi e frammenti sparsi di “roghi che sembravano assemblati da diversi episodi legati al fumo o al fuoco, benigni o meno, che aveva vissuto nella sua vita”.

La capacità di generare in chi legge lo stesso stordimento da persecuzione e incredulità di salvezza vissuto dal protagonista è resa dando forma a intermittenze che stridono con l’aridità di ogni personaggio, enfatizzata sul piano formale dalla scelta di improntare la relazione tra i soggetti con dialoghi brevi e asciutti.

I corsivi tracciano le percezioni sensibili del mondo intorno: gli interrogativi che assillano il protagonista, sino ad allora saldo nelle proprie convinzioni sul presente – “Cos’è che non vedo?”;“Che tipo di vita mi resta da vivere?”; “Come si può frenare il bisogno di sapere?”; “Quanti ne dovrò uccidere?” – generano disordine, palesano l’urgenza di conoscenza. Le rapide descrizioni di una comunità indifferente e cinica contribuiscono all’allestimento del paesaggio urbano che amplifica il tema dominante: il fanatismo religioso in contesti organizzati in modo rigido e inflessibile, dalla Confraternita della Mutilazione a quella dei Paul (ispirata al Vangelo di Marco 9,43: “Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile”).

L’architettura dell’opera è strutturata in sezioni diverse accomunate dall’ossessivo ripetersi di moduli ricorrenti e venate dallo sguardo di un uomo che gradualmente prende consapevolezza di non potersi fidare di nessuno, di essere perennemente un bersaglio e, al tempo stesso, di essere ambito per anomalie e unicità che lo rendono un predestinato.

Avvertiva il proprio corpo come un animale a sé stante. Poteva solo guardarlo, incoraggiarlo.

Evenson scandaglia gli esiti di una trasfigurazione interiore irrisolvibile, nata da un cambiamento fisico e evolutasi nella percezione di radicale estraneità al presente. Studia i meccanismi insani interni a sette dominate da un’idea deviata di credo, originata dal significato assegnato all’automutilazione, riflette sull’ambiguità del noto, sul peso assegnato a una realtà che pare inattingibile, sul significato dell’irreversibilità del peccato in contesti dove solo chi è all’apice è legittimato all’eversione. L’orrore è indagato a partire dal corpo, l’oggetto dei continui esperimenti messi in atto dal protagonista e dalle figure che sfilano sulla pagina. Che si tratti di capi di sette, adepti, novelli messia, moderni Diogene, l’osservazione degli effetti delle privazioni e la graduale elaborazione del disagio attestano l’irreversibilità di un disfacimento interiore e fisico, sondano i percorsi mentali di un assillo.

Nell’allestimento di una fitta rete di inganni, vendette, omicidi, Evenson scandaglia la propensione al tradimento e alla ferocia in relazione alla detenzione di un potere vessatorio, ricerca la matrice primordiale del male attraverso il racconto di una metamorfosi. Con Gli ultimi giorni compone uno studio sull’ingerenza di fenomeni invisibili sull’agire del singolo che rivela la matrice deleteria dello strappo e misura la natura fluida della realtà nel “mormorio monotono e fragoroso” di morti improvvisamente silenti.

 

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Autore

a.pisu@minima.it

Alice Pisu, nata nel 1983, laureata in Lettere all'Università di Sassari, si è specializzata in Giornalismo e cultura editoriale a Parma dove vive. Collabora per diverse testate di approfondimento, tra cui L’Indice dei libri del mese, minima&moralia, il Tascabile. Libraia indipendente, fa parte della redazione del magazine letterario The FLR -The Florentine Literary Review.

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