
Nuovo appuntamento con la rubrica a cura di Anna Toscano. Dieci domande a poetesse e a poeti per cercare di conoscere i loro primi avvicinamenti alla poesia, per conoscere i loro albori nella poesia, quali siano stati i primi versi e i primi autori che li hanno colpiti, in quale occasione e per quali vie, e quali i primi che hanno scritto. Le altre puntate sono qui. foto copertina © Anna Toscano
Qual è la poesia che hai incontrato, e quando, che ti ha fatto pensare, per la prima volta, che fosse qualcosa di fondamentale?
Non ho dubbi sul fatto che l’incontro fondamentale con la poesia sia avvenuto leggendo Un posto di vacanza di Sereni. Mi fu subito chiaro che tutta la mia tradizione sarebbe passata da lì, nel punto in cui i nomi si allacciano alle cose in virtù di pensiero, come «luce di stelle spente che nel raggiungerci ci infuoca».
Qual è il primo autore o autrice che ti è rimasto/a in mente come poeta?
Credo di aver legato per la prima volta il nome di poeta all’esperienza totale di Amelia Rosselli: «Mare del bisogno, Cassandra / dagli istintivi occhi blu la mia prigionia tranquilla / è un rovescio del destino assai dolce, assai implacabile».
C’è stata una persona o un evento nella tua infanzia, o giovinezza, che ti ha avvicinato alla poesia? Chi era? Come è accaduto?
Non una persona, ma un evento: o meglio, una consuetudine. Verso la fine del liceo cominciarono a entrare in casa, settimana dopo settimana, i volumi in tela blu dei «Grandi classici della poesia», una collana curata da Bianca Garavelli per Fabbri che riproponeva, allora a mia insaputa, antologie di testi spesso preziose. Ebbi così modo di conoscere Milton, Rilke, Tagore, Achmatova, Yeats, Neruda, Benn, Villon, T.S. Eliot, l’haiku e la poesia persiana. Un centinaio di libri in qualche caso postillati a lapis. Fu una bella palestra.
Quali sono i primi libri di poesia che hai cercato in una biblioteca o in una libreria?
Tutte le poesie di Lorca. Mi colpì, in particolare, l’apertura narrativa di Romancero gitano. Trovai l’edizione in due volumi a cura di Glauco Felici nella biblioteca del liceo che frequentavo, e provai l’impulso di comprarla.
Il primo verso, o la prima poesia, che hai scritto e che hai riconosciuto come tale: quando è stato e in quale circostanza?
«I pesci non trovano parole / per dire il miracolo dell’acqua»: non so dove siano sepolte quelle parole, ma ricordo esattamente il momento. Era l’estate del 2009. Biancamaria Frabotta mi invitò a spedire alcuni testi a Elio Pecora per «Poeti e poesia», e quell’attacco mi risuonava dentro. Avrei pubblicato di lì a poco una piccola plaquette, L’inverno del geco, di cui non parlo spesso. Ma era già avvenuto qualcosa di importante nel dettato.
Quando poi i versi sono arrivati copiosi, quali sono stati i tuoi pensieri?
I versi sono sempre arrivati a ondate, ci sono periodi di piena copiosa e periodi in cui il silenzio regna sovrano. Col tempo ho imparato ad accogliere gli uni e gli altri, talora preferendo la solitudine delle parole. La mia solitudine dentro le parole. Si rimane inermi. Ma non ho mai provato alcun tipo di afflizione. Scrivere è un atto di responsabilità, soprattutto verso gli altri. Questo è il mio pensiero-guida.
Quando hai avuto tra le mani le tue prime poesie pubblicate, cosa è accaduto?
Ricordo quando Mariella Bettarini e Gabriella Maleti, dopo vari progetti abortiti, e decine e decine di poesie scartate, mi hanno consegnato quella prima plaquette stampata nelle loro edizioni Gazebo. Insieme a noi c’era il loro cane, Lapo. Lo accarezzai.
La poesia per te è più di una fede o quasi una fede?
«La poesia è una passione?», mi rimetto a questo interrogativo di Sereni. Spesso ciò che scriviamo «non tocca quegli alberi o quei tetti, / vive e muore e sé piange / ma altrove, ma molto molto lontano da qui». La poesia non può essere una fede, se per fede intendiamo qualcosa di consolatorio. E la poesia è passione solo nella misura in cui si può alimentarla. Niente di assoluto. Quando però si tenta di avvicinare ciò che è vivo al di fuori di noi, ciò che si avverte per prima cosa è una forma di turbamento. Bisogna esistere come cosa fra le cose, come individuo fra gli altri, per condividere una sola parola.
La poesia inizia?
La poesia, intesa come testo, inizia da un ritmo, una musica, da un giro di parole che arriva spesso insieme a un’immagine, che via via si chiarisce. Poi sopraggiunge il pensiero. Credo in una sorta di ragione emotiva che rende possibile l’atto della scrittura.
La poesia finisce?
Mi è capitato di scrivere, nella chiusa di un poemetto che mi è particolarmente caro, Quetzalcoatl: «il poema è potenzialmente infinito». La poesia finisce come segno sulla pagina, e lì inizia il suo viaggio verso gli altri.
Anna Toscano vive a Venezia, insegna presso l’Università Ca’ Foscari e collabora con altre università. Un’ampia parte del suo lavoro è dedicato allo studio di autrici donne, da cui nascono articoli, libri, incontri, spettacoli, corsi, conferenze, curatele, tra cui Il calendario non mi segue. Goliarda Sapienza e Con amore e con amicizia, Lisetta Carmi, Electa 2023 e le antologie Chiamami col mio nome. Antologia poetica di donne vol. I e vol. II. Molto l’impegno per la sua città, sia partecipando a trasmissioni radio e tv, sia attraverso la scrittura e la fotografia, ultimi: 111 luoghi di Venezia che devi proprio scoprire, con G. Montieri, 2023 e in The Passenger Venezia, 2023. Fa parte del direttivo della Società Italiana delle Letterate e del direttivo scientifico di Balthazar Journal; molte collaborazioni con testate e riviste, tra le altre minima&moralia, Doppiozero, Leggendaria, Artribune, Il Sole24 Ore. La sua sesta e ultima raccolta di poesie è Al buffet con la morte, 2018; liriche, racconti e saggi sono rintracciabili in riviste e antologie. Suoi scatti fotografici sono apparsi in guide, giornali, manifesti, copertine di libri, mostre personali e collettive. Varie le esperienze radiofoniche e teatrali.