Nuovo appuntamento con la rubrica a cura di Anna Toscano. Dieci domande a poetesse e a poeti per cercare di conoscere i loro primi avvicinamenti alla poesia, per conoscere i loro albori nella poesia, quali siano stati i primi versi e i primi autori che li hanno colpiti, in quale occasione e per quali vie, e quali i primi che hanno scritto. Le altre puntate sono quifoto copertina © Anna Toscano

Qual è la poesia che hai incontrato, e quando, che ti ha fatto pensare, per la prima volta, che fosse qualcosa di fondamentale?

La poesia che ho incontrato è stata quella di Montale, “meriggiare pallido e assorto”, era nell’antologia del 5 anno di scientifico, non era in programma, ma io la lessi in quel caldo torrido del luglio 1983, di pomeriggio e fu un’illuminazione psico sensoriale. L’incontro fu fondamentale perché io da un paio di anni scrivevo qualcosa che nemmeno nella mia testa chiamavo “poesie”, ma erano “cose che andavano a capo” iniziate quando, dopo una prima ma fondamentale ferita di amore – il primo e forse unico per certi versi e in quei modi romantici che poi non mi apparterranno più –  io passavo i pomeriggi ad ascoltare musica. Era il 1980, e il mio album delle lacrime era “the River” di Bruce Springsteen. Comprai il vinile e dopo mesi che lo avevo consumato e aderendo come un tutt’uno con quella poetica di strada, mi misi a cercare di tradurre – sia lodata la prof Invernizzi di inglese che davvero ci insegnò moltissimo e ci portava a vedere Beckett e Shakespeare fatto da Strehler – i testi delle canzoni che più mi commuovevano per la melodia.  Dopo questa operazione, ho avuto la prima consapevolezza che un testo che fa smuovere i sentimenti è una cosa che “va a capo” perché così erano i testi dentro il doppio vinile di The River. Io cercai di imitarli e ne vennero fuori cose piene di asfalti strade vuote e malinconia, poesie davvero brutte che però per me significano moltissimo (per questo oggi ho comprensione per chi elegge a poesia modelli per me superati di versificazione, magari banali, perché io ricordo quanto fossero fondamentali per me quei versi. Tuttavia, erano ovviamente “frasi che vano a capo” con dei contenuti manieristi che io non sapevo fossero tali. Quando poi ho letto la poesia di Montale anni dopo, ho capito che una poesia è innanzitutto “forma” che è dalla composizione del linguaggio che nasce tutto, non dalle cose, perché scrivere “le cose da dire” finisce per essere una didascalia di sentimenti veri, ma di poesia falsissima. Solo la verità e originalità della “forma”: questo ho capito (senza la consapevolezza con cui lo dico ora) dopo la lettura di quella poesia nell’antologia di Salvatore Guglielmino, sempre sia lodato.

Qual è il primo autore o autrice che ti è rimasto/a in mente come poeta?

Come sopra direi Montale tra la scoperta e poi l’approfondimento universitario. Dopo quell’esperienza decisi infatti di iscrivermi a Lettere. Corso di letteratura italiana contemporanea con Biancamaria Frabotta. Prime lezioni sulla “lirica moderna” da Baudelaire ai surrealisti. Primo libro importante letto per intero: “I fiori del male” nella (pessima) traduzione di De Nardis, che mi indusse a scrivere poesie prosastiche piene di un maledettismo tutto di contenuto. Ci ho messo un po’ (fino all’incontro con la traduzione di Michele Ranchetti) a capire meglio la “forma” di Baudelaire, la sua effettiva grandezza oltre l’aver posto certo i temi della perdita del’ “aura” ecc. di versificatore raffinato e non solo di “poeta in posa”. Non a caso poi la misura metrica che ho sempre tenuto in mente come un “Ooomm” è l’impossibile alessandrino francese (che io tenevo in mente come doppio settenario come modulo metrico-ritmico).

C’è stata una persona o un evento nella tua infanzia, o giovinezza, che ti ha avvicinato alla poesia? Chi era? Come è accaduto?

Nell’infanzia no, era ancora territorio di primissime scoperte da persona che in casa non aveva libri. E gli unici per anni (fino alla biblioteca del liceo) furono libri regalati da un cugino operaio alla fiat di Pomezia con versioni ridotte di Dickens, la lettura infantile forse la prima che ricordo. Poi per l’adolescenza ho già detto.
In gioventù dai 19 in poi, la persona che mi ha cambiato la vita è stata Biancamaria Frabotta. Non solo per il suo insegnamento, di altissimo livello e appassionato, ma perché prese sotto la sua ala protettiva un gruppo di studenti aspiranti poeti e dopo le lezioni leggeva i nostri testi, ci dava consigli o stroncature gentili ma ferme e poi ci accompagnava di pomeriggio per locali romani dove si tenevano letture. Tra le prime nel 1984 circa, un reading di un giovane poeta, poco più grande di noi (sette anni, un trentenne) che leggeva testi dal suo primo libro pubblicato 4 anni prima. Era Valerio Magrelli che ricordo anche un po’ stupito di vedere attorno a lui ragazzi di qualche anno più giovani che lo guardavano adoranti (guarda un poeta vivo!)

Quali sono i primi libri di poesia che hai cercato in una biblioteca o in una libreria?

Dopo Baudelaire, tutta la poesia del ‘900 così come capitava. Non ricordo l’ordine esatto, ma mi rifornivo in un paio di librerie remainder ’s del centro di Roma con libri al 50 e 70% e compravo qualsiasi titolo fosse citato nei corsi di Frabotta.

Il primo verso, o la prima poesia, che hai scritto e che hai riconosciuto come tale: quando è stato e in quale circostanza?

Non lo ricordo a dire il vero. Ricordo che le poesie che portai in lettura a Biancamaria furono giustamente stroncate. Continuai a scrivere. Poi ci fu maggiore serietà (sebbene i risultati incerti).
Più che la poesia (io non ricordo per nulla a memoria le mie di oggi figuriamoci di 30 anni fa)  ricordo la circostanza: a casa di Tommaso Giartosio, insieme a Emanuele Trevi e altri, una piccola cricca di persone che si incontravano tra facoltà biblioteca e occasioni letterarie esterne. Ricordo che una sera leggemmo tutti delle poesie. Io lessi le mie, belle o brutte che fossero (più brutte, I suppose) in quel momento ho sentito di “essere poeta”. Nel riconoscimento della piccola comunità. (A voler essere ironici, non fu dissimile dall’atmosfera della setta dei poeti estinti vista poi ne “l’attimo fuggente” anche se ovviamente eravamo tutti più consapevoli e preparati di quel gruppo di adolescenti. Ma l’ardore era il medesimo).

Quando poi i versi sono arrivati copiosi, quali sono stati i tuoi pensieri?

Pensieri e versi viaggiano da sempre paralleli, per me. Intesi come spunti di riflessione, spesso teorie, saggi ecc. Se per pensiero si intende una proiezione cosciente di ciò che si cerca di scrivere. Continuavo a scrivere e pensare, a riempire quaderni di appunti dai saggi o articoli che leggevo. Scrivere poesia per me è stata sempre un’attività clandestina, nessuno tra i miei amici conoscenti parenti (a parte i pochi amici del corso Frabotta) sapeva che io scrivessi e per molti anni è stata un ‘attività solitaria, benché come giornalista radiofonico frequentassi, per circostanze fortunose, il mondo editoriale già dal 1988.

Quando hai avuto tra le mani le tue prime poesie pubblicate, cosa è accaduto?

Faccio un passo indietro rispetto alla data in cui ho visto le mie prime poesie pubblicate, coincidenti col primo libro, che fu nel 2007 (“Le ore impossibili”, Empiria). Prima di allora nemmeno un verso pubblicato in nessun posto.

Mi riallaccio alla risposta precedente e vorrei dire allora della prima poesia “non pubblicata”. Avevo cominciato a fare trasmissioni culturali a Italia Radio – l’emittente nazionale del PCI all’epoca – nel 1988. Ho seguito nei primi anni 90 tutta l’editoria sia saggistica che soprattutto “letteraria” di quei primi anni. Li intervistavo un po’ tutti e specie dal 1994 in poi con l’avvento di Berlusconi, la radio divenne un rifugio di libertà rispetto agli editti della destra sui canali pubblici. Tra quelli che conoscevo, c’era Marco Lodoli che sentivo spesso per lavoro, anche perché noi eravamo la versione radiofonica dell’Unità di Veltroni. Marco lesse le mie poesie, con lui che era gentile e non se la tirava, feci il primo gesto di “dare un manoscritto” credo sia stato il primo. Mi incoraggiò e mi disse: portale a Sandro Veronesi – che avevo intervistato pure per il suo primo o secondo libro e conoscevo – all’epoca segretario di redazione di Nuovi Argomenti. Sono andato col mio pacchetto di fogli stampati, in redazione, lo lasciai dopo una breve e intimidita chiacchiera a Sandro che mi disse qualcosa come “pubblichiamo una poesia nel prossimo numero” ma forse era una frase più prudente o solo una vaga promessa. Va tenuto conto che erano gli anni del dominio assoluto su Roma di Enzo Siciliano, che pure avevo intervistato più volte e avevo avuto in trasmissione. Ebbene, Nuovi Argomenti non pubblicò mai la poesia, io decisi che era vero quel che si diceva in giro (il mondo di camarille romane e raccomandati) e decisi pure che sarei stato “puro” e non avrei mai chiesto niente per non dover dare indietro. Andai più volte a casa di Siciliano, che era il direttore di NA e l’autorità suprema a Roma,  per intervistarlo e mai feci più, con lui come con nessuno dei tanti scrittori che ho poi incontrato negli anni, il gesto che avrebbero fatto tutti i/le giovani poet* : “ Scusi maestro, avrei qui delle mie poesie” (nel mio caso, lasciando intendere come poi ho capito sempre negli anni si faceva, e lasciando intendere “io ti intervisto, tu mi leggi” ecc.
Da quel momento scrissi per me.
Era il 1994, appunto. Nessuna poesia è stata mai pubblicata, fino a quel giorno del 2007. Il pensiero che ebbi, con il libro in mano fu che fosse ormai tardi.

Lo misi come esergo, da Vittorio Sereni, versi che scrisse dopo essere stato in prigionia, mentre gli altri nel dopoguerra avevano già preso la loro posizione nel mondo culturale della neonata repubblica: “Troppo il tempo ha tardato/ per te d’essere detta/ pena degli anni giovani”. Era così. Avevo 43 anni ed esordivo in poesia. Quasi ridicolo.

La poesia per te è più di una fede o quasi una fede?

È una debole fiducia. Sono realista, poco ottimista.

La poesia inizia?

In realtà sono pochi gli incipit reali per me (della “poesia” in generale e in astratto non saprei dire nulla, né si potrebbe o avrebbe senso: la poesia è nella storia è quella che di volta in volta è riconosciuta come poesia).
La poesia per me, allora,  “inizia” senza iniziare davvero, ma “sta”,  in un campo di tensione immaginativa e semantica, in cui galleggiano o sfrecciano come pianeti, parole che fisso su un grande foglio. Pian piano da questa costellazione confusa, si aggruma un testo. Ma non so mai dire quando “inizia” una poesia.

La poesia finisce?

Mai. Scriverò sempre, magari tornando alla clandestinità. E poi anche i miei testi non finiscono (l’ultimi libro finisce con un verso troncato infatti) e potrei fare varianti nel tempo se volessi, come in parte ho fatto in questo ultimo quarto libro “Corpi solubili”, con alcune poesie, recuperate da libri precedenti.
Il testo non può essere quell’entità fissa che crediamo, come la materia dell’universo, lo teniamo finito per disinteresse, per sfinimento o disgusto dell’autore. Altrimenti per me è un processo di trasformazione di particelle.

Tanto più oggi che la scrittura è forse il linguaggio che subisce più mutazioni antropologiche rispetto ad altri linguaggi artistici, perché per sua fortuna e sfortuna è di essere immerso nella “langue” sociale e di quella subisce il perenne mutare.

 

 

 

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Autore

a.toscano@minima.it

Anna Toscano vive a Venezia, insegna presso l’Università Ca’ Foscari e collabora con altre università. Un’ampia parte del suo lavoro è dedicato allo studio di autrici donne, da cui nascono articoli, libri, incontri, spettacoli, corsi, conferenze, curatele, tra cui Il calendario non mi segue. Goliarda Sapienza e Con amore e con amicizia, Lisetta Carmi, Electa 2023 e le antologie Chiamami col mio nome. Antologia poetica di donne vol. I e vol. II. Molto l’impegno per la sua città, sia partecipando a trasmissioni radio e tv, sia attraverso la scrittura e la fotografia, ultimi: 111 luoghi di Venezia che devi proprio scoprire, con G. Montieri, 2023 e in The Passenger Venezia, 2023. Fa parte del direttivo della Società Italiana delle Letterate e del direttivo scientifico di Balthazar Journal; molte collaborazioni con testate e riviste, tra le altre minima&moralia, Doppiozero, Leggendaria, Artribune, Il Sole24 Ore. La sua sesta e ultima raccolta di poesie è Al buffet con la morte, 2018; liriche, racconti e saggi sono rintracciabili in riviste e antologie. Suoi scatti fotografici sono apparsi in guide, giornali, manifesti, copertine di libri, mostre personali e collettive. Varie le esperienze radiofoniche e teatrali. www.annatoscano.eu

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