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Il potere ai giovani vecchi! Sono nato tra quei ragazzi allampanati, secchi
i cui insegnanti di filosofia al liceo
leggevano la poesia di Pasolini a Valle Giulia invece di spiegarci Vico
– non l’avevano studiato neanche loro.
Io ho imparato la lezione a tempo proprio:
“poliziotti affamati contro i capelloni figli di papà”
è la storia su cui ho fatto la maturità, prendendo dieci.
E coltivando uno strano vuoto nello stomaco:
quando arriva il rito per diventare adulti?,
domandavo, c’è da uccidere qualcuno?
un padre? un vitellino? non si tratta di perdersi nel bosco?
È come se l’avessi già passato, hanno risposto. Sei un ragazzo intelligente.
Non ti serve niente. Ma impara che studiare è ciò che serve nella vita.
E la violenza è da stigmatizzare, sempre, mi hanno detto.
Poi chiudevano la porta, mi mandavano a letto,
e affilavano il coltello della pace.
Ho delle carenze, certo, come tutti. Non ho imparato molto su lavori manuali:
forbici, pugnali, non so costruire né molotov né croci.
Non so che guancia porgere né come tendere un agguato.
Ma ogni volta che qualcuno spacca una vetrina,
ho un riflesso incondizionato, che chiamo:
la Cultura, il Giornalismo, lo Sdegno organizzato.
È la Cura e ha funzionato,
vedo un bancomat spaccato, metto mano alla mia penna, e scrivo un bel commento
sul mio twitter, rapido e indignato. Scatto foto. So fare da padre senza i figli.
Da pompiere senza incendio. E da paciere
senza che nessuno dei miei amici provi disaccordo, mai.

Per questo l’altro giorno a Via del Corso,
ho provato a fare quel che dice Pasolini,
avevo fiori a mucchi da donare ai poliziotti.
Ma se mi avvicinavo, ero trattato
come faccio io coi bengalesi al ristorante.
Fingevano di parlare al cellulare, mi urlavano:
“Telare, cicciobello, o ti regalo un manganello”.
È stato allora che il narcisismo ha preso il sopravvento.
E ho provato a attirare l’attenzione facendo il quindicenne che non sono,
Ho dato fuoco a tutto: alla chiesa del Bernini, alla Madonna,
alla Conversione di San Paolo, a San Pietro Crocifisso a testa in giù,
agli affreschi, all’Assunzione, agli alberi del Pincio,
ai caffè della ‘ndrangheta sui lati, alla fontana,
all’obelisco, ai leoni che non si guardano tra loro, alle torri,
ai campanili, alle volanti, ai camioncini,
ai capelli del rastone che mi ballava accanto,
al mio corpo ingrassato e deperito
dalla cima del berretto alle scarpe da coatto.
Non era questione di politica, lo giuro,
è che volevo solamente rimanere per un giorno
senza voce, evitare un’altra cena
a analizzare come è andata la protesta,
se si forma un’alleanza condivisa
in nome della legge elettorale,
o scopare senza fiato la ragazza sul divano
dopo aver guardato Report una domenica invernale.

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9 commenti

  1. mi da l’idea che tra scorci di rivoluzione e vita ordinaria non abbia idea di dove stare..
    esattamente come mi sento

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Autore

fandzu@gmail.com

Christian Raimo (1975) è nato a Roma, dove vive e insegna. Ha pubblicato per minimum fax le raccolte di racconti Latte (2001), Dov'eri tu quando le stelle del mattino gioivano in coro? (2004) e Le persone, soltanto le persone (2014). Insieme a Francesco Pacifico, Nicola Lagioia e Francesco Longo - sotto lo pseudonimo collettivo di Babette Factory - ha pubblicato il romanzo 2005 dopo Cristo (Einaudi Stile Libero, 2005). Ha anche scritto il libro per bambini La solita storia di animali? (Mup, 2006) illustrato dal collettivo Serpe in seno. È un redattore di minima&moralia e Internazionale. Nel 2012 ha pubblicato per Einaudi Il peso della grazia (Supercoralli) e nel 2015 Tranquillo prof, la richiamo io (L'Arcipelago). È fra gli autori di Figuracce (Einaudi Stile Libero 2014).

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