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Rappresentare l’irrappresentabile. Impresa matta e disperatissima, che può essere sostenuta, nella sua impossibilità, solo da una tensione che insiste sul crinale estremo della vita, su quella linea dell’infinito che è il paradosso di una vita che fa segno a se stessa senza voler rappresentare/ri-presentare nulla, perché è già tutta-presente. Di fronte a questa infinita onni-presenza ciò che può essere messo in scena non è che la meraviglia. E solo meraviglia è questa impresa matta e disperatissima a cui abbiamo potuto assistere alle Saline di Volterra, nel fulgore della fabbrica del sale: Naturae – La valle della Permanenza, l’ultimo spettacolo messo in scena dalla Compagnia della Fortezza con la drammaturgia e la regia di Armando Punzo, atto conclusivo di un lungo lavoro artistico durato otto anni.

La meraviglia del creato, si è sempre detto. Qui si va oltre, perché è la meraviglia del creare. La meraviglia di una creazione infinita e perpetua, che non cessa mai di far sgorgare da sé forme, colori, movimento, essere. La meraviglia dell’origine che è ovunque, come diceva il filosofo. Un’infinità senza centro, un caotico divenire che è però, insieme, cosmos, perché diviene secondo leggi. Ti siedi ai lati dal grande capannone della fabbrica di sale, e Armando Punzo è lì che ti aspetta, con una grande palla rossa, come la palla dell’innocenza del bambino di Nietzsche – ti aspetta davanti a un grande tabellone bianco, una tabula rasa, rasa ma con delle griglie, come fossero le regole che presiedono alla creazione. Man mano, entrano sulla scena salina figure, personaggi, oggetti. Si muovono, danzano. Ci sono scale su cui salire per creare il cielo. Ci sono grandi cubi rotolanti, che vengono fatti girare vorticosamente, sempre più forte, sempre più veloci. Ci sono uomini con teste di coniglio, chissà se è quello di Alice ti chiedi, e la risposta non importa, perché qui anche gli stessi simboli sono oltre ogni significazione.

C’è una grande danza cosmica, mentre sei avvolto da loop di suoni e voci che gettano semi di parole, che sembrano mani tese per orientarsi: Cancellare la realtàCostruire immagini più efficaci… Istruzioni per l’uso, dove l’uso spetta a te, spettatore, che non devi più aspettare, perché sei convocato nel cuore di questa infinita creazione che è una continua ri-creazione. Questo è un presente parallelo che ricrea la vita  Ri-creare il mondo, ecco di cosa si tratta qui, riaprire un orizzonte di vita e di senso perché l’orizzonte è già qui, siamo noi stessi, no, non è finito tutto, no, non è vero che tutto è compiuto, no, non possiamo disperare, perché la vita è questa infinita invenzione, basta aprirci a quel che siamo per riaprire un tempo nuovo. Seguire gli slanci vitali, quegli slanci immaginati da Bergson che la voce-guida richiama. Tocca a ciascuno connettersi all’infinito che è, per dipingere un quadro che nessuno saprà dipingere allo stesso identico modo. Tu, spettatore, sei partecipe con il tuo sguardo di meraviglia alla meraviglia che si fa sulla scena, la meraviglia di stelle e pianeti che si allineano per cercare armonia. Forme, rapporti, proporzioni, tutto cospira nel medesimo senso. E se sei in grado di districare le trame, allora potrai dimorare sulla linea dell’infinito, oltre la quale c’è la beata eternità dell’essere. Dove l’ombra si ricongiunge con il sole.

Io guardavo gli attori e le attrici che formavano questa beata danza, Armando Punzo che guidava i movimenti con un riso di gioia senza fine, e avevo addosso Spinoza, la sua beatitudine sub specie aeternitatis, e mi chiedevo se avessi mai visto una meraviglia più etica di questa. Poi sono uscito dalla fabbrica di sale con quella gioia addosso.

E se noi fossimo la natura intoccabile che non ha nome?

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