di Marco Testoni
Il prologo
La conferma definitiva del nostro tour in U.R.S.S. arriva con soli 15 giorni di preavviso. Si parte il primo di febbraio e si ritorna il 19 dello stesso mese. Faremo 23 concerti suonando in tre città: Mosca, Chelyabinsk e Ufa.
Luciano Aiazzi della Romana Concerti e Marco Balestra, nostro manager, ci mettono di fronte al fatto compiuto. Accade tutto talmente in fretta che il nostro sassofonista, Marco Zu Ramacciotti, per problemi di passaporto scaduto deve forzatamente restare in Italia. Noi, restanti Selena Moor, avremo per quindici giorni le facce masticate da un misto di eccitazione e preoccupazione. Prova ad andare, infatti, da un qualsiasi musicista e digli che deve fare una tournée in Francia, in Danimarca, in Africa o in Australia: puoi stare sicuro che sarà, contento e preoccupato, ma in misura normale perché, almeno un minimo conosce o immagina che tipo di situazione troverà. Ma il pubblico e le organizzazioni russe chi le conosce?
E chi è mai andato a suonare in Siberia, dove noi faremo una dozzina di concerti?
Partenza
A Fiumicino, attendendo la chiamata del nostro volo per Mosca, pensiamo alla stranezza di tutta questa situazione. Il nostro primo disco Medio Eva (Angel Records) è appena uscito in Italia e noi per la prima volta lo andiamo a suonare in U.R.S.S. Chi conosce bene la vita di un gruppo indipendente può facilmente capire come tutto ciò sia, almeno, paradossale.
Alcol
“Questa, per voi Selena Moor, è la prima esperienza all’estero; per noi del Teatro della Gioventù di Mosca è invece la prima tournée che organizziamo per un gruppo occidentale. Speriamo che tutto vada per il meglio e che, per tutti noi, sia una “dolce deflorazione”, Nasdarovia!”. Risate. Ecco, questa è la cronaca del brindisi numero zero in terra sovietica …ne seguiranno altri cinquecento, credo. Ognuno per i motivi più impensati. Ma siccome è in corso una durissima campagna anti-alcool, ti domandi se la maggior parte della gente beve per brindare, o più semplicemente brinda per bere.
Segnali di Perestrojka
Il giorno dopo il nostro arrivo a Mosca i responsabili del Teatro della Gioventù ci portano a visitare – ancor prima dell’ l’Auditorium dove dovremo suonare – il Monastero delle Vergini: un luogo carico di simboli per i russi. Qui infatti, più precisamente in un cimitero poco distante, c’è la tomba di Kruscev (riconosciuto antesignano di Gorbaciov), l’unico capo di stato sovietico sepolto – per volere di Breznev – fuori dalle mura del Cremlino. Con questa visita, quindi, ci vogliono far subito capire come la pensano. C’è qualcosa in questa gente che sin dal primo impatto li rende simpatici, forse l’autoironia. In U.R.S.S. girano una marea di barzellette sui russi, la loro storia e le loro usanze. Un po’ come da noi per i carabinieri. Ma i primi che raccontandole con gran gusto si sbellicano dalle risate sono proprio loro.
Armenia
Il primo concerto che facciamo è a Mosca ma più che altro è un breve intervento all’interno di una manifestazione in favore dei terremotati dell’Armenia. L’atmosfera sembra piuttosto austera. Su un divano alla destra del palco due serissimi speakers presentano i vari artisti che man mano si esibiscono. E siccome c’è la TV sovietica tutti, eccetto noi, vanno rigorosamente in playback. Ma dulcis in fundo il pezzo forte della serata sembra essere una sfilata di moda dove viene presentata la collezione Primavera-Estate di qualche stilista moscovita. La cosa ci lascia francamente un po’ interdetti perché il contrasto è forte. Ma a giudicare dall’estrema naturalezza con cui viene accostato l’attore drammatico con il gruppo new-wave o il prestigiatore con la sfilata, mi rendo conto che se voglio capirci qualcosa è meglio, abbandonare il mio cervello da europeo per qualche giorno. E forse anche qualche moralismo di troppo. Se tutto questo può servire per l’Armenia, ben venga.
Chelyabinsk
Dopo il nostro primo e breve concerto pro-Armenia partiamo per la Siberia e più precisamente per Chelyabinsk (1.500.000 di abitanti). Questo e tutti gli altri spostamenti che faremo saranno via aerea e non potrebbe essere altrimenti viste le distanze tra una città e l’altra. Quando arriviamo la temperatura in pieno giorno oscilla attorno ai -20 gradi. Ci dicono che siamo il primo gruppo rock che si esibisce sia qui che in tutta la regione e, più in generale, il secondo gruppo occidentale. Prima di noi solo un’orchestra di musica leggera finlandese. Ma questa è solo la prima sorpresa che ci aspetta in questa città che, fino a qualche anno fa, era chiusa non solo al turismo ma anche agli scambi culturali e commerciali con l’occidente. Suoneremo nel Palazzo del Ghiaccio (nome più che appropriato), un enorme struttura polivalente con campi di hockey, spazi per concerti e spettacoli vari. La capienza è di 5000 posti, ma sono già stati venduti circa 60.000 biglietti per cui dovremo fare 14 concerti nel giro di una settimana. Un’esperienza massacrante perché suoneremo anche tre volte al giorno. Questa stranissima usanza, che ritroveremo nelle altre città dove andremo, è molto generalizzata in Russia. Fare come minimo un concerto pomeridiano ed uno serale è considerata una cosa normalissima. A Chelyabinsk il pubblico arrivava al Palazzo del Ghiaccio anche da cittadine limitrofe e tutti rigorosamente in pullmann. E non posso negare che, inizialmente, c’era venuto il sospetto che in questi pullmann la gente la caricassero a forza talmente erano pieni. Ma poi, aldilà dell’ironia, parlando con qualcuno di loro ti accorgi che qui la prevendita è organizzata in maniera strettamente capillare, praticamente in ogni luogo di lavoro e soprattutto nelle fabbriche. Senza contare poi l’enorme curiosità che suscita il gruppo che viene dall’Italia (ma dell’amore spropositato che i russi hanno nei riguardi di tutto ciò che è italiano parlerò più avanti). Il prezzo del biglietto si aggira intorno alle 6 mila lire. Suoniamo con ben tre gruppi spalla sovietici, due di heavy metal e uno rock-jazz, anche per loro è il debutto da queste parti. Ecco, se si esclude il grosso carico di lavoro che ci siamo sorbiti, questa settimana a Chelyabinsk risulterà per tutti la più viva. Grazie soprattutto al carattere del pubblico siberiano che, al contrario di quello che si può pensare, ha un temperamento piuttosto solare. Ed in fondo tra quelli visti mi sono sembrati gli unici a non avere l’aria di chi se la passa male. C’è una velata invidia verso noi italiani che abbiamo il sole, i mandolini e il mare, ma più che altro è una forte curiosità di capire se è vero quello che si dice di noi. No, non è gente questa troppo intristita dalla propria vita: l’esasperazione vera in U.R.S.S. la troveremo altrove.
Mosca
Dopo la Siberia torniamo a Mosca, qui suoneremo nel Palazzo della Gioventù. Uno stupendo auditorium che in Italia ci possiamo solamente sognare. Passano di norma sul suo palco tutti quei concerti, pieces teatrali, ecc… che in qualche modo possono interessare il pubblico giovanile moscovita. Mosca non è quello che si dice una bellissima città. Assomiglia più che altro ad una grande Mostacciano o a qualche agglomerato urbano dell’hinterland milanese; con la sola differenza che questi, però, non hanno al centro il Cremlino e la Piazza Rossa. C’è una strada, la via Arbat, di cui erano fieri tutti i moscoviti e dove tuttora si riuniscono pittori, musicisti e poeti. Ma un paio di anni fa, contro il volere degli abitanti, è stata completamente ristrutturata e rimessa a nuovo per essere trasformata in un asettica via ad uso shopping per turisti. Ha sempre il suo fascino, ma dicono non abbia niente a che fare con quello originario. Mosca è una città che sembra avere molta voglia di Occidente, consumismo e dollari ma il tutto in maniera molto contrastata perché contemporaneamente non puoi fare a meno di notare le code chilometriche davanti ai negozi di generi alimentari. E’ anche vero comunque che le code non le trovi solo lì ma ovunque ci sia una vetrina con qualche merce esposta. Il problema è che nessuno compra niente perchè la maggior parte dei possibili acquirenti detesta tutto ciò che è made in U.R.S.S.
Ma veniamo all’aspetto musicale: in quanto a rock Mosca non è la capitale sovietica, tutte le band più interessanti vengono infatti da Leningrado. Qui si produce soprattutto musica leggera, una grossa parte della quale di chiara ispirazione italiana. Quanto ai Selena Moor, dopo i nostri quattro concerti, abbiamo potuto constatare l’infondatezza del luogo comune che vuole il pubblico russo freddo e composto. Forse una volta perché adesso ti può capitare, come ci è infatti successo, di vedere gente che anche senza invito sale sul palco, comincia a ballare, ti abbraccia, ti si sbaciucchia e poi saltellando torna al suo posto. E siccome non abbiamo suonato probabilmente la “musica italiana” che loro si aspettavano, tutta questa estroversione non ha potuto far altro che sorprenderci. Mi sarebbe piaciuto che in quel momento ci fosse in platea qualche discografico italiano che conosco io, quelli che criticano la presupposta inintelligibilità di certe proposte musicali. Già me lo immagino pensare tra sé e sé: “Questi russi bevono proprio tutto!“.
I russi, Sanremo e la musica italiana
Qualsiasi persona incontri tra gli addetti ai lavori, ma non solo, ti domanda se sei mai andato a Sanremo. E ti senti un po’ come i mussulmani che se almeno una volta nella vita non vanno alla Mecca non possono considerarsi tali. In Russia sembra che se un musicista italiano non ha partecipato ad almeno un’edizione del Festival non possa affermare con orgoglio e senza timore di smentita: “Io sono italiano!”. Pupo, Cutugno, Riccardo Fogli, Celentano, Albano e Romina, questi sono gli alfieri riconosciuti della musica italiana in U.R.S.S. Tutto ciò non per chiusura mentale del pubblico russo (che invece è decisamente curioso) ma perchè altro dall’Italia non è arrivato. Unica variante i Matia Bazar ed un recente tour degli Avion Travel e dei Kim Squad.
I musicisti russi
Con strumentazione scarsissima ed impianti per la maggior parte autocostruiti, si impegnano in maniera commovente. Il tastierista dei Cetvertoe Izmerenie, un gruppo rock jazz che ci ha seguito per tutta la tournée, suonava con un modestissimo Korg Poly 800-2 (valutato in U.R.S.S. intorno agli otto milioni di lire, più del quadruplo del prezzo italiano). La maggior parte degli strumenti costa cifre pazzesche, anche perché, non esistendo importazione dall’occidente, quelli migliori provengono probabilmente da canali clandestini. I negozi infatti, sono sprovvisti di quasi tutto anche se abbondano di strumenti a fiato e fisarmoniche di produzione nazionale.
Esiste poi, il problema dell’informazione musicale. Non ho mai visto una rivista specializzata. C’è una sola etichetta discografica, la statale Melodja, che per quel che riguarda il rock si limita a produrre e distribuire solo una parte dei gruppi presenti sulla scena sovietica. Tutti gli altri si autoproducono nastri (che a volte raggiungono tirature notevoli) distribuendoli poi tramite i soliti canali non ufficiali. Tra i dischi di importazione (oltre all’onnipresente Pupo e compagnia bella) ho notato solo UB 40, Led Zeppelin e Emerson, Lake & Powell. Mi dicono ci sia anche dell’altro… ma non nei punti vendita ufficiali. E comunque, nonostante tutti questi handicap, il musicista russo non è uno sprovveduto. Possiede, quasi sempre, un ottima padronanza tecnica dello strumento ed inoltre, a differenza di noi europei, non ha mai preconcetti nei confronti di stili e tendenze musicali a lui poco familiari. Tutto questo però, se da una parte è sinonimo di duttilità dall’altra può essere inteso come un segno di insicurezza stilistica. La stragrande maggioranza dei gruppi che ho ascoltato, infatti, non ha un’identità musicale ben precisa. Danno tutti l’idea di essere in fase di apprendimento limitandosi in linea di massima a ricalcare fedelmente i più disparati modelli musicali, senza sbilanciarsi troppo, senza aggiungere una qualche caratterizzazione che differenzi la copia dall’originale. Insomma è la solita storia che accomuna tutti i paesi colonizzati. Prima di cominciare a sentire qualcosa di nuovo ti devi lasciare alle spalle un po’ di padri, miti, monumenti e devozioni varie. E se non sbaglio ne sappiamo qualcosa anche noi, qui in Italia.
Ufa
Il nostro tour termina a Ufa, nella Repubblica di Baschiria. Di questa tappa non ricordo altro che i -30 gradi che ci accoglievano al nostro arrivo ed un principio di avvelenamento da cibo subito da gran parte di noi ma in particolare da Giuseppe, il nostro interprete, che eppure la cucina russa già la frequentava da anni. Comunque, aldilà di questi traumi, a Ufa abbiamo soprattutto provato a tirare qualche conclusione sulla nostra tournée. La prima di queste è sicuramente quella inerente al pubblico russo. Abbiamo suonato, in totale, di fronte a 90.000 persone. Forse non vorrà dire molto, ma di certo testimonia con chiarezza come in questo momento vi sia in U.R.S.S. un grande interesse verso il rock europeo. La mia paura è però che presto questa apertura sarà probabilmente monopolizzata dalle più bieche e retrive proposte musicali. Questo in parte già accade ma avverrà in maniera definitiva quando il mercato russo diventerà più appetibile e lo diverrà prima o poi. In quanto a noi, il Teatro della Gioventù vorrebbe invitarci ancora per un nuovo tour che toccherà questa volta Leningrado e Kiev, mentre un’altra organizzazione ci vuole portare in Moldavia. Ma a me, guarda un po’, viene da pensare a tutti quei musicisti che ho conosciuto durante questa esperienza ed in particolar modo a quel loro ossessionante, ma più che giustificabile, desiderio di misurarsi con la realtà musicale occidentale a cui, però, possono accedere solamente tramite un invito ufficiale per motivi di lavoro.
No, non deve essere una condizione di vita piacevole, ma questo è un altro discorso.
Questo testo è stato pubblicato originariamente per Rock Magazine
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