
Pubblichiamo un pezzo uscito sul Messaggero, che ringraziamo.
L’amore inseparabile tra la venticinquenne Admira Ismić, bosniaca musulmana, e Boško Brkić, serbo ortodosso, è divenuto nel mondo il simbolo della multiculturalità ferita di Sarajevo, che dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996 ha resistito all’assedio più lungo della Storia moderna e contemporanea, ed è il manifesto della mostra «Più grande di me. Voci eroiche dalla ex Jugoslavia» del MAXXI a Roma.
Marina Abramović è la protagonista con l’installazione Rhythm 0 (1974) che celebra la lotta per la libertà del corpo. Nella performance video Abramović invitò i partecipanti armati di 72 oggetti, dalle penne a una pistola, a interagire con il suo corpo in stato di sottomissione fino al raggiungimento di una certa soglia di aggressività. Con lei sono cinquanta gli artisti della scena balcanica coinvolti con oltre cento opere provenienti da tutti i paesi dell’ex Jugoslavia.
Perché la mostra ha scelto Admira e Boško, raffigurati nel logo realizzato da Djordje Balmazović?
Che cosa rappresenta la loro vicenda a venticinque anni dall’Accordo di pace di Dayton? Definiti i Romeo e Giulietta di Sarajevo, rimasero abbracciati per molti giorni così come erano stati uccisi il 19 maggio 1993 dai cecchini, appostati sulle montagne intorno a Sarajevo, mentre cercavano di fuggire dall’assedio attraversando il ponte Vrbanja.
La coppia ebbe il coraggio di opporsi al concetto etnico di cittadinanza, imposto dalla guerra, che resta la ragione fondamentale delle tensioni e compromette ogni scenario di rilancio dell’area. La questione della ridefinizione dei confini è sempre un capitolo aperto. Non si è spenta la retorica nazionalistica che ha riempito il vuoto della dissoluzione della Jugoslavia.
Il percorso espositivo, curato da Zdenka Badovinac, direttrice dal 1993 all’inizio del 2021 del Museo di Arte Moderna di Lubiana, con Giulia Ferracci, illumina tutti questi nodi irrisolti e corrisponde a un’analisi critica del passato e del presente nei Balcani con la profonda e irrisolta crisi di senso, acuita dalle ferite di guerra non suturate, nel passaggio dal sistema della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia al libero mercato capitalistico.
L’artista serbo Vladimir Nikolić interpreta proprio questo aspetto dell’individualismo con l’opera video del 2019 800 m. Vediamo un nuotatore, solitario in una piscina deserta, che cerca di coprire la distanza creata dalla disgregazione dei legami e dunque della solidarietà con la guerra civile. Dal piazzale del MAXXI è visibile sulle vetrate l’installazione di Igor Grubić, Angels with Dirty Faces (2004 – 2006), che ben raffigura lo smarrimento della crisi post industriale ritraendo operai con ali d’angelo.
La rabbia per la fine violenta e fratricida della Jugoslavia non è svanita. L’anno prossimo ricorreranno in Bosnia ed Erzegovina i trent’anni dalla deflagrazione di una delle guerre più efferate. Adela Jušić con The Sniper (2007) esplora la relazione decisiva tra memoria privata e pubblica. Il cecchino riprodotto è suo padre. Lei come si rapporta alle sue azioni? Come può accettare le sue responsabilità e il ritorno alla vita? Domande che non solo in Bosnia sono tuttora difficili da trattare. «Più grande di me» non insegue la nostalgia acritica della Jugoslavia. Un sentimento sovversivo all’inizio, finché era proibito. Ora non ha più nessun potere.
«La nostra ricerca è uno strumento di “diplomazia culturale” – dice Giovanna Melandri, Presidente Fondazione MAXXI -. Le sensibilità degli artisti in mostra indagano gli intrecci profondi dei nazionalismi, raccontano un’altra visione della persona e della comunità che evoca anche un’Europa diversa». Le otto sezioni in cui è stato articolato lo spazio espositivo, interrogando la contemporaneità della figura dell’eroe, pongono questioni politiche, economiche, sociali e ambientali decisive nel nostro tempo.
Una di queste è senza dubbio l’uguaglianza di genere. La prima sezione della mostra si focalizza sull’emancipazione femminile che guarda al legame fra generazioni, dalle partigiane di ieri alle giovani di oggi che lottano contro il riflusso del patriarcato, con le icone scelte da Sanja Iveković in GEN XX (1997 – 2001) e Lady Godiva (2001) di Vlasta Delimar.
La mostra guarda anche al futuro. Anja Medved con Town In A Meadow ci porta a Nova Gorica appena nominata con Gorizia Capitale Europea della Cultura 2025. Il progressivo superamento della linea di demarcazione tra Italia e Jugoslavia indica l’unica strada possibile: rendere comuni le sfide da affrontare per neutralizzare le frontiere poste dalla storia.