Marco Lapenna al suo esordio letterario trova la forza per guardare dentro di sé e ricercare qualcosa di molto importante. E tutto quello riesce a trovare lo trova certamente nel cuore magico del mondo. In quella latitudine zero dove gli amori si compiono con la stessa violenza degli omicidi e dove la natura, in realtà mai selvaggia, esalta il cuore nero, e quasi tenebra, di ogni individuo.

Nella foresta dobbiamo abbandonare i nostri occhi, posare le maschere che le società ci hanno imposto e riscoprire quei totem e tabù che troppo presto abbiamo decostruito. Perché la foresta è da sempre un luogo indefinito; e più di una semplice leggenda vive la propria storia come se fosse la Storia e diviene incomprensibile solo a quanti, entrati in quegli spazi, pensano di potersi ritrovare ogni volta.

Nella foresta dobbiamo abbandonarci per riuscire a ritrovare la traccia del nostro desiderio, sia esso una donna o un pensiero, perché come racconta bene Lapenna: nella foresta non si danno spiegazioni e le visioni divengono immagini nitide in grado di spaventare solo lo spettatore che si crede reale.

In tutto il romanzo Lapenna muove una sorta di nuova svolta ontologica, ora letteraria e sofisticata, ora ermetica e mistica, invitandoci a guardare quel mondo – e non il nostro! –  con gli occhi che vivono in quegli spazi, come De Castro insegna e la dottoressa, presenza centrale nel racconto, sembra costantemente dimenticare.

L’autore ci accompagna allora verso dei luoghi sconosciuti e magici che mostrano ogni volta il loro aspetto indicibile, e proprio in quella latitudine 0° le persone assumono i tratti indefiniti (e indefinibili!) delle grandi foreste.

Ho visto uomini prendere la forma degli alberi! Ci sarebbe da dire accarezzando con la punta degli indici il tenero Mallarmé. Proprio la stessa donna di cui il protagonista cerca disperatamente una traccia è una donna dai tratti quasi sempre indefiniti, ed è quell’indefinito, proprio soltanto della natura, che si compie in questo romanzo inaspettato in tutti i suoi personaggi. I protagonisti rimangono infatti quasi sempre sospesi tra i loro nomi comuni (il russo, la dottoressa, Lagrange), sempre in cerca di qualcosa di nuovo da non poter ritrovare. E quello che Lapenna tenta di fare è proprio non smettere di cercare: come un bambino o un vecchio viaggiatore potrebbero facilmente insegnarci.

In questo senso latitudine 0° e tutti i personaggi del racconto non sono tanto diversi dalla mitica Eldorado, cercata con gli occhi del vecchio continente e per questo mai ritrovata; molto simili alla Nina di cui il protagonista cerca una qualche presenza. Eppure soltanto indossando gli occhi di un viaggiatore e rileggendo le fiabe con la voce dei bambini scopriamo che il mondo assume un senso e che i personaggi di un racconto vivono quasi sempre nell’impossibilità della loro esistenza. Ecco ancora Eldorado ed ecco i sogni pieni di desiderio che ogni bambino ripone nella notte. I nostri occhi, come gli occhi di un viaggiatore, somigliano agli occhi di un innamorato e proprio per questo, nella foresta, le donne sembrano prendere la forma degli alberi e ci ritroviamo noi, leggendo queste pagine, alla rincorsa di un’immagine nitida. Abbiamo dunque tutti una Nina da ricercare ma scopriamo ben presto che la ricerca di una forma riconoscibile, come del resto la ricerca dell’Altro e dunque (forse) la ricerca del Reale, è ricerca soltanto nel suo essere in atto. Ma a dir la verità ci interessa ben poco riuscire a trovare qualcosa, piuttosto vorremmo noi cercare qualcosa di riconoscibile. Sorge dunque una differenza importante tra ciò che è cercato ed è irriconoscibile (o ancora peggio ignorato) e ciò che pur essendo riconoscibile non è per questo – almeno ai nostri occhi – reale.

Lapenna, con una scrittura che tenta di avvicinarsi a quel realismo magico troppe volte frainteso, si riporta alla letteratura sudamericana non soltanto nelle espressioni ma forse, e ancora più, nel concetto – impresa ardua! – E così accade, quasi per caso, che tra le righe delle sue pagine, tra le urla di morti ammazzati e sorrisi di donne angeliche dal volto inesistente, tra tribù gerarchizzate e volti strafatti di crack, qualcosa viene fuori e si stampa, con grande facilità, sopra i nostri desideri. E ogni volta che leggiamo le pagine di questo racconto ci accorgiamo troppo tardi (o troppo presto?) di non essere mai in tempo, di non saper guardare, di non aver mai avuto i giusti occhi per guardare-attraverso. Ci basta gettare via le nostre maschere e imparare a guardare il mondo come infiniti mondi per scoprire che Nina è solo un pretesto, una nuova lingua, un desiderio che da sempre è appena oltre le stelle. Ho visto nina volare ed era una donna bellissima, una rincorsa, un lampo, un sogno, l’esordio di Marco Lapenna.

 

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Autore

m.soldaini@minima.it

Mario Soldaini è nato a Roma nel 2000. Ha studiato presso il Liceo Classico Ennio Quirino Visconti. È stato membro della giuria giovani del David di Donatello e Leoncino d'oro al Festival del Cinema di Venezia. Organizza concerti e mostre d’arte. Da sempre appassionato di letteratura italiana, collabora con diverse testate. Studia Filosofia presso la Sapienza di Roma e Global History (GHL) presso la Princeton University.

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