di Simone Bachechi
Nel corso di quest’anno molte sono state le testimonianze cinematografiche (per lo più di tipo documentaristico) che si sono occupate della cosiddetta “questione palestinese”, che se si perpetua da decenni con i drammi correlati all’occupazione israeliana della Striscia di Gaza e dei territori della Cisgiordania, ha avuto in questi ultimi due anni a seguito degli attentati di Hamas del 7 ottobre 2023 la tragica accelerazione e conseguenze che tutti conosciamo e che non può che essere definito un vero genocidio. Sul palcoscenico internazionale hanno visto la luce film e documentari quali La voce di Hind Rajab di Kraother Ben Hania premiato alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia (il titolo prende spunto dalla registrazione della telefonata con richiesta di soccorso intercorsa tra la Mezzaluna Rossa e la bambina di sei anni successivamente uccisa nel gennaio 2024, dopo che la sua famiglia era stata sterminata mentre stavano cercando di fuggire da Gaza), Palestine 36 di Annemarie Jacir, oppure Tutto quel resta di te di Cherien Dabis, una storia che attraversa tre generazioni di palestinesi svelando il volto nascosto dell’oppressione.
Senza dimenticare No Other Land, documentario del 2024 e premiato quest’anno con l’Oscar quale migliore film documentario. Questi solo alcuni, ai quali si aggiunge dal 28 novembre 2025 nelle nostre sale, in concomitanza con la sua proiezione al 43° Torino Film Festival nel quale è in competizione nella sezione documentari, The Encampments – Gli Accampamenti, un documentario di produzione USA e palestinese della durata di 80 minuti per la regia di Kei Pritsker e Michael T. Workman che è il racconto delle manifestazioni di protesta del 2024 degli studenti della Columbia University di New York contro l’occupazione israeliana e il genocidio in atto verso il popolo palestinese.
In questo caso la questione palestinese è affrontata dal punto di vista degli studenti dell’università americana, movimenti studenteschi del resto già attivi prima degli attentati del 7 ottobre che hanno dato il via alla sanguinosa offensiva israeliana. La mobilitazione studentesca farà da guida ai movimenti di protesta che presto si diffonderanno in tutte le università americane e poi europee come progressivamente in tutto il mondo a sostegno della causa palestinese. È bello realizzare che gli Stati Uniti non sono solo quelli della destra reazionaria, confessionale, razzista, omofoba e guerrafondaia trumpiana che viene continuamente divulgata dal tam-tam mediatico ufficiale.
L’università newyorkese è diventata dal 2024 capofila delle università e dei movimenti come avvenuto nel 1968 con le proteste contro la guerra in Vietnam e si tratta in questo in caso in effetti della più grande mobilitazione studentesca da quei tempi. I giorni delle proteste sono scanditi cronologicamente e arrivano fino all’occupazione delle sale dell’amministrazione universitaria verso la quale i manifestanti hanno rivolto le loro richieste inascoltate, fra di queste la Hind’s Hall, così battezzata in memoria della bambina palestinese uccisa. Il successivo sgombero del campus viola la norma rispettata da 50 anni che vietava l’ingresso della polizia nel campus. C’è un collegamento ideale tra gli accampamenti di tende allestite dagli studenti e quelle dei profughi palestinesi nella Striscia di Gaza rasa al suolo e dove tuttora si muore e si soffre la fame e gli effetti devastanti di una brutale aggressione a sfondo etnico e neo-coloniale.
Lo sdegno e la volontà di fermare l’orrore in corso in Palestina tramite la sensibilizzazione globale della protesta ha il suo fulcro nella denuncia degli studenti della collaborazione e vera e propria connivenza delle università coinvolte nella vendita di armi a Israele, oltre che sugli investimenti che legano le università americane all’economia israeliana . Lo slogan scelto dal movimento non a caso è «Disclose, divest, we will not stop, we will not rest» («Denuncia, disinvesti, non ci fermeremo, non ci calmeremo»).
Il documentario ha il merito di fare luce sul perché degli sforzi esagerati per sopprimere l’attivismo studentesco: sono esibiti i nomi dei sostenitori e i dati relativi agli evidenti conflitti d’interesse. Le immagini scorrono sulla violenta repressione,sia istituzionale da parte delle forze di polizia e dalle autorità universitarie che dei movimenti dell’estrema destra sionista, da riprese sul campo inedite e dalle parole dei leader della protesta: giovani americani ebrei, di origini palestinesi, borsisti arrivati dal medioriente. Tra di loro Mahmoud Khalil, palestinese cresciuto nei campi profughi (oggi espulso dagli Usa); Sueda Polat, la portavoce del movimento, americana di origini palestinesi; Grant Miner, statunitense ebreo, e Naye Idriss, nata in Libano e trasferita negli Usa.
Documentando il loro ruolo, il film rende lampante il paradosso: sono le menti più brillanti formate dall’università a ribellarsi contro l’università stessa. Le istituzioni, universitarie e mediatiche accusano proditoriamente gli studenti di antisemitismo e vaghi e ingiustificati sentimenti anti israeliani, quando invece lo sdegno e la denuncia è rivolta non a un popolo ma a un governo che ha messo in atto un genocidio con la complicità di stati e istituzioni democratiche, come dovrebbero essere quelle universitarie, che lo hanno fomentato. In un crescendo drammatico, la voce studentesca inchioda la complicità di chi non ha saputo prendere posizione per difendere Gaza, Cisgiordania, Libano e l’umanità stessa: dai governi ai media mainstream, dalle istituzioni universitarie a tutte le “intorpidite” classi dirigenti. Spiegano i registi Kei Pritsker e Michael T. Workman: «The Encampments è una testimonianza del coraggio dei giovani studenti, non solo nell’immaginare un mondo migliore ma anche nel lottare per ottenerlo. Questo film sfida la narrativa dominante rivelando il vero spirito degli accampamenti: le emozioni che alimentavano gli studenti e cosa motivava la loro azione drastica e necessaria. The Encampments è un’esplorazione di ciò che spinge una generazione a ribellarsi e lottare per il cambiamento».
600 accampamenti sono nati a partire dalla primavera del 2024 nelle università americane e di tutto il mondo. La commossa testimonianza della giornalista palestinese Bisan Owda da Gaza, la quale confessa sullo sfondo di altre tende, quelle dei campi profughi palestinesi, di non essersi persa un solo video dei coraggiosi manifestanti della Columbia University, mostra cosa la consapevolezza, la protesta e la lotta può fare, anche se 3100 studenti sono stati arresati e le tende sgomberate.
The Encampments- Gli Accampamenti è dal 28 novembre nelle sale italiane distribuito da Revolver Film e Valtellina Distribuzione, un documento sempre e ora più che mai necessario vista la prospettata e solo apparente soluzione dell’annosa “questione palestinese” divulgata dai media, uno strumento fondamentale per non dimenticare quello che continua a accadere in Palestina e sollecitare una riflessione sulla cronica questione: ora che sono sempre più chiare le conseguenze del neo-colonialismo nel mondo, siamo ancora certi che quello occidentale sia l’unico o il migliore sistema sociale e produttivo possibile?
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