Pubblichiamo un breve estratto da “Dialogo del caos”, postfazione a cura di Salvatore Toscano del libro “Diario del caos”, uscito per Wojtek.
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SALVATORE – Parto proprio dalle prime pagine di Diario del caos: “Può essere illuminante e impressionante vedere come un romanzo possa prendere forma divincolandosi drammaticamente tra mille altre possibili forme”.
Quanto pesano le idee abbandonate? Hai mai provato rimorso per qualcosa che avresti potuto scrivere e che non hai scritto?
ANTONIO – Certe volte, rileggendo alcuni miei diari di creazione (o di increazione) come questo Diario del caos, o quando apro delle vecchie buste commerciali dove avevo ficcato fogli e foglietti annotati in fretta per strada, pieni di idee, immagini, invenzioni e spunti narrativi e sorgivi che ho poi sviluppato oppure che ho abbandonato o dimenticato o che sono stati travolti e oltrepassati nel momento drammatico della presa di forma del libro, mi viene da domandarmi: perché alcune di queste idee e figure hanno preso il sopravvento mentre altre ‒ che non erano peggiori ‒ non ce l’hanno fatta a prendere vita? Sono le prime ad avere sterminato le seconde o sono le seconde a essersi suicidate per permettere alle prime di vivere? Forse quello che succede nel campo dell’invenzione artistica è simile a quel fenomeno che avviene tra le cellule degli organismi viventi ‒ compreso il nostro ‒ e a cui è stato dato il nome di suicidio cellulare, un processo di (volontaria?) autodistruzione dove è la morte stessa a scolpire e a dare forma alla vita. Perciò non provo rimorso per quelle che non ce l’hanno fatta o che, forse, si sono suicidate, oppure che sono ancora lì ad aspettare il loro momento, quando saranno loro a farne fuori altre. Ma la vita ha un termine, e quindi alcune, molte, rimarranno in una zona irraggiungibile o addirittura increata.
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