di Luca Todarello
Nel Naturalis Biodiversity Center di Leiden, nei Paesi Bassi, è custodita una delle collezioni tassidermiche più ampie del mondo. Il percorso espositivo si apre in uno spazio buio e acusticamente isolato, che richiama il silenzio profondo degli abissi oceanici. Un calamaro gigante sospeso dal soffitto accoglie il visitatore, che viene così introdotto a un’esperienza immersiva: un viaggio attraverso l’evoluzione della vita sulla Terra, fino a incontrare i grandi mammiferi della savana e le specie animali più conosciute.
L’effetto è profondamente coinvolgente. L’allestimento, volutamente essenziale nei materiali e nell’illuminazione, punta a suscitare una risposta emozionale immediata, quella meraviglia istintiva che ogni essere umano dovrebbe provare di fronte alla straordinaria varietà della vita.
Al piano inferiore, invece, un’intera ala è dedicata al tema della morte in natura. Anche qui dominano tinte scure, ma il buio nel racconto assume una prospettiva scientifica e naturalistica: la morte viene rappresentata non come fine, ma come parte integrante del ciclo vitale, nutrimento e risorsa per altre forme di esistenza.
Celebre a livello internazionale per la qualità delle sue esposizioni – in particolare quelle dedicate ai fossili e, appunto, alla tassidermia – il Naturalis, tuttavia, sembra omettere un aspetto oggi centrale negli studi zoologici: la dimensione politica degli animali.
Perché si parla così poco di politica animale? Eppure già Aristotele, padre della filosofia occidentale, definiva l’uomo come “animale politico”. È proprio da questa concezione antropocentrica – secondo cui l’essere umano sarebbe l’unico capace di vivere politicamente – che prende le mosse il pensiero di Eva Meijer, scrittrice e ricercatrice all’Università di Amsterdam. Nel suo ultimo libro, Il soldato era un delfino, edito da Nottetempo (traduzione di Chiara Nardo), Meijer propone una visione radicalmente diversa: anche gli animali, a modo loro, partecipano a forme di vita politica. Secondo Meijer, noi esseri umani dovremmo assumere questa consapevolezza come punto di partenza per ridefinire il nostro rapporto con il resto del mondo vivente e soprattutto con gli altri «animali non umani», per utilizzare una precisazione centrale nel suo lavoro.
Il grande malinteso che plasma la relazione fra questi ultimi e gli uomini, osserva l’autrice, nasce proprio dalla netta separazione che l’uomo ha tracciato fra sé e tutte le altre specie. Sulla scia delle riflessioni in tal senso di Jacques Derrida, Meijer sottolinea come tale distinzione abbia innalzato l’essere umano a metro di ogni valore, relegando tutto il resto alla condizione di “altro”. Questa asimmetria, che è di per sé una scelta irrimediabilmente politica, ha dato origine a un atteggiamento prevaricatore dell’uomo sugli altri animali, permettendo alla sfera di influenza dei sapiens di estendersi ben oltre i suoi confini biologici.
Rileggendo le principali teorie dell’animalismo, in particolare Zoopolis di Sue Donaldson e Will Kymlicka, e ponendo il diritto animale al centro della propria riflessione (anche gli animali non umani soffrono, sentono, provano emozioni), Meijer mostra come la visione politica unilaterale – e, potremmo aggiungere, capitalista – degli esseri umani abbia di fatto colonizzato l’ambiente e la vita di tutto il pianeta. «Se definiamo a priori la politica come un sistema antropocentrico – afferma Meijer – finiamo per ignorare che anche gli animali agiscono politicamente, e che il loro agire talvolta somiglia a quello umano». Una vera politica per gli animali non può dunque esistere finché non si ripensa radicalmente il concetto stesso di politica, oggi imperniato esclusivamente sull’essere umano. L’Antropocene segna, in questo senso, un punto di non ritorno.
Parlare di coscienza politica negli animali, quindi, non è affatto un’iperbole. Gli esempi di comportamenti che esprimono consapevolezza e azione politica sono numerosi: dal delfino Takoma, che si è rifiutato di continuare la sua missione a sostegno delle truppe americane nel Golfo Persico, alle oche dell’aeroporto di Schiphol, capaci di opporsi con ostinazione allo sterminio previsto per la bonifica dell’area intorno al grande scalo olandese. I lavori di Meijer, soprattutto il precedente Linguaggi animali. Le conversazioni segrete del mondo vivente (Nottetempo, 2021), abbondano di illuminanti esempi di questo genere.
Quali potrebbero essere, allora, le buone pratiche per costruire un nuovo equilibrio politico tra esseri umani e animali? Secondo Meijer, il primo passo è abbandonare la manifestazione più concreta della visione antropocentrica: il linguaggio. Per permettere anche agli animali di “deliberare”, è necessario adottare pratiche comunicative che non escludano i loro pensieri, le loro emozioni, i loro modi di esprimersi. Questo significa immaginare e costruire nuove forme di comunità multispecie, in cui ogni soggettività – umana o non umana – venga riconosciuta e rispettata.
Di conseguenza, anche gli spazi pubblici andrebbero ripensati: oggi concepiti per un uso esclusivamente umano, potrebbero diventare luoghi di fruizione condivisa, aperti a tutte le specie. Un gesto politico, questo, che supera la semplice tolleranza per abbracciare l’inclusione attiva.
E perché non cominciare da due semplici pratiche, tanto accessibili quanto rivoluzionarie? La prima è la curiosità verso l’altro, come suggerito da Donna Haraway: un atteggiamento che disarma l’arroganza umana e apre alla relazione. La seconda è il saluto, il più potente atto politico che un essere umano possa rivolgere a un animale non umano.
«I rituali ci aiutano a dare forma alle prassi e ci fanno sentire a nostro agio», ricorda Meijer. Anche nel rapporto con gli animali, il saluto assume un doppio significato: è un atto di riconoscimento e, allo stesso tempo, un invito a condividere lo spazio e il tempo dell’esistenza. Salutare un animale significa riconoscerlo come soggetto presente, sottraendolo all’invisibilità e disinnescando la celebre massima orwelliana per cui tutti gli animali sono uguali, ma alcuni – chissà quali – sono più uguali degli altri.
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