Ne La rivolta (trad. Tommaso Gurrieri, Edizioni Clichy) Clara Dupont-Monod riconsegna centralità storica alla figura di Eleonora d’Aquitania per rivelarne il ruolo politico determinante nelle vicende che la vedono artefice del rovesciamento di Enrico II il Plantageneto, attraverso un’opera dove il dato storico e l’invenzione si confondono. Si cala nella visione di Riccardo Cuor di Leone, uno degli otto figli della “coppia reale fiammeggiante”, per narrare le inquietudini e le scelte di una donna delusa e ferita, animata dalla vendetta. L’unione con Enrico II dopo la fine del matrimonio con Luigi VII di Francia rappresenta una scelta strategica importante per Eleonora, che nel portare in dote il vasto territorio francese contava di poterne preservare il dominio. Ripone speranze nell’incoronazione del figlio maggiore, nella convinzione di riuscire a regnare in parte attraverso di lui, per poi scoprire con sconcerto i veri piani del Plantageneto. Finirà imprigionata per circa quindici anni, senza però cedere mai perché interamente occupata dalla vendetta: questa convinzione è “il preambolo di un’immensa collera”.

Mia madre non abbassa mai la guardia. Rimane sulla soglia di sé stessa.

L’apparente disordine delle vicende raffigura le intermittenze emotive del suo narratore, le contraddizioni di un giovane uomo diviso tra l’amore per la madre e il senso del dovere, ferito dalla distanza con i suoi fratelli e convinto della necessità di ripristinare un’idea di giustizia.

“Incrocio lo sguardo di mio padre. Ci metto tutte le mie sfide perse, il mio odio e le mie guerre senza amore. Ci metto una madre incatenata, la rabbia di non poterla soccorrere e la vendetta promessa, la sua eredità in forma di pugno serrato”.

Sulla vicenda principale si innestano flashback del passato che restituiscono aspetti inediti di una donna consapevole che il dolore possa trasformarsi in una forma di insolenza, ma ancora in grado di fruire della bellezza della letteratura, suo principale nutrimento nelle serate animate dai poeti a corte, a cui chiede di offrirle un ribaltamento del noto, nella convinzione che solo la letteratura possa “rovesciare il destino, per il tempo d’un poema”.

La cromia dei ricordi amplifica la potenza delle immagini del passato che si riverberano nel presente. Il doloroso maneggiamento della memoria è un modo per Eleonora di addomesticare un’alleata per sovrastare il rimpianto e il peso della perdita. Riccardo ritrova invece nelle visioni sulla sua vita anteriore illuminanti scorci infantili che gli permettono di comprendere meglio le ragioni di una madre incapace di gesti d’affetto ma protettiva, una fine stratega, una donna fiera – “splendido furore che cammina e distrugge” – riconosciuta nelle remote scene domestiche nella sontuosa sala del palazzo ducale circondata da poeti, tra gli odori delle braci fredde, del giunco e dei gigli che riempiono le camere.

Il movimento ondivago della narrazione si apre con l’epilogo per arretrare e, in un intenso crescendo narrativo dal tono intimo e dal passo epico, seguire l’evoluzione interiore e le precise scelte strategiche di una figura cancellata dalla Storia. Il cambio di passo e l’adozione di prospettive diverse che si alternano a quella principale permettono al lettore di calarsi nella visione di Eleonora, percepire i tormenti e la disperazione di una madre allontanata dai propri figli, la collera crescente di una moglie tradita e umiliata, la determinazione di una donna che ha necessità di nutrirsi di disillusione per rafforzarsi. Il racconto della prigionia e della liberazione restituisce l’immagine di una donna tenuta in vita dall’odio, convinta della necessità di nutrirsi di risentimento per sopravvivere all’annientamento e progettare la rivolta.

C’era qualcosa di diverso. Sicuramente la fronte striata da nuove rughe, le guance meno rotonde, la sagoma quasi fragile, ma quell’agilità felina, quel passo fermo e soprattutto quegli occhi di corazza fissi su di me, in piedi in mezzo a chi si chinava.

Pur assegnando piena centralità alla condizione di Eleonora, Dupont-Monod mostra gli esiti di uno stravolgimento politico e famigliare isolando frammenti che attestano le conseguenze sugli altri protagonisti delle vicende, mostrando una sottile clemenza persino per la ferocia più abbietta, esibendone la fragilità recondita, esito di una solitudine radicata. Più che ripercorrere le tappe di una rivolta al potere, l’autrice si mostra interessata a tracciare gli stravolgimenti interiori che tali situazioni provocano, calandosi anche in altre visioni per mostrare come la verità storica possa avere narrazioni divergenti e risvolti inediti. Il cambio di sguardo consegna anche le voci di Adele, promessa sposa di Riccardo, violata dal futuro suocero e per questo ritenuta impura, e del Plantageneto, che in un inedito slancio si mostra fragile e vulnerabile, nel riflettere sul cocente smarrimento nel sentirsi tradito dai propri figli.

Essere padre significa piangere davanti a un baule vuoto. Significa aver attinto nella propria infanzia ciò che si credeva essere il meglio e riaverlo sbattuto in faccia. Significa sentire le risate dei propri figli divenuti demoni, e quell’orrore possiede e sporca il mondo: perché un tale rovesciamento è stato possibile, e un padre non può più leggere un libro perché potrebbe scottare, o vedere un cielo schiarirsi perché potrebbe andare in pezzi sulla sua testa. Essere padre significa perdere l’innocenza.

I ritratti composti sulla pagina riservano le contraddizioni di figure dominate da emozioni contrastanti. Per queste ragioni l’intento di un romanzo dai toni storici e d’invenzione come La rivolta non si limita alla mera ricostruzione documentale ma indaga il vero al di là del dato reale, identifica nell’esplorazione sensibile uno strumento funzionale all’esaltazione di aspetti privati che condizionano l’agire e la direzione degli altri. L’aspetto centrale dell’opera si cela nello scandaglio dei risvolti privati di un’insurrezione dagli esiti famigliari e collettivi, capace di illuminare il dramma nella ricognizione sensibile, nell’indagine sulla violenza, nel racconto di un livore rinnovato, nel confronto emblematico delle diverse forme che può assumere la rabbia, da grottesca e esplosiva nel Plantageneto a salvifica e necessaria in Eleonora.

Il ricorso storico è subordinato all’isolamento dell’esperienza per contrastare l’oblio: ogni figura si relaziona al proprio passato traendo da quel riflesso una mutata immagine di sé. I luoghi narrati in dolorose sequenze  diventano ulteriori agenti del cambiamento. Tale operazione si traduce narrativamente in scomposizioni e assemblaggi che assegnano pari importanza a scene leggendarie o a dettagli ordinari evocati nel ricordo. L’ibridazione formale produce uno sviluppo percettivo irrisolvibile, che sovrappone la cronaca di un evento alla sua ponderazione che, a sua volta, genera una versione mutata, inedita, del resoconto iniziale.

La scrittura di Clara Dupont-Monod tende a un’indagine estetica che anticipa la prova stilistica, riconoscibile già in Adattarsi (trad. Tommaso Gurrieri, Edizioni Clichy, 2022).

Gli stacchi lirici, la dimensione intima costruita nelle meditazioni private, le immagini detentrici dell’indecifrabilità di una figura impenetrabile indicano uno studio linguistico che non si esaurisce nelle sue costruzioni.

La prosa ricca di Dupont-Monod si distingue per l’attenzione estrema per la parola esatta. Il lavoro sulla lingua rivela nella sua intera produzione una ricerca inesausta che trova nella scelta formale, nei cambi di registro e nella costante alternanza di immersioni e emersioni dal punto di vista dominante il mezzo per amplificare il rilievo delle sollecitazioni esterne nei mutamenti interiori, all’origine di stravolgimenti irrimediabili. Come accaduto nel precedente romanzo, l’autrice assegna un particolare rilievo all’indagine fisica che annulla i confini tra la descrizione di un corpo e quella di un luogo tra frequenti analogie e metafore bellicose.

Allora eccoti, fortezza. Sei esattamente la prova che qui la pietra spunta come una pianta. Lascia che ti scopra. I tuoi fianchi sono coperti di spalti. I miei guerrieri non riusciranno a scavare nelle tue mura per farti crollare. Dietro la tua enorme porta immagino un’entrata angolare. Impossibile da sfondare come un ariete. E forse l’inclinazione del pendio su cui sorgi è stata pensata perché un cavallo al galoppo non possa prendere velocità. È probabile.

La necessità d’insurrezione che anima l’opera si foggia sul cambiamento che investe i protagonisti: saranno le nuove consapevolezze sulle prospettive aperte da scenari inattesi a condizionarne il destino. Con La rivolta Clara Dupont-Monod misura lo scarto tra verità e rappresentazione, compie un affondo sulla ferocia della brama attraverso un elogio della disubbidienza all’oggettivazione del reale.

 

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Autore

a.pisu@minima.it

Alice Pisu, nata nel 1983, laureata in Lettere all'Università di Sassari, si è specializzata in Giornalismo e cultura editoriale a Parma dove vive. Collabora per diverse testate di approfondimento, tra cui L’Indice dei libri del mese, minima&moralia, il Tascabile. Libraia indipendente, fa parte della redazione del magazine letterario The FLR -The Florentine Literary Review.

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