La capacità di osservare, di saper guardare e di espandere il più piccolo dettaglio a un campo molto vasto, è una caratteristica tipica dei poeti bravi, è una delle doti che spesso fanno la differenza tra chi scrive versi buoni e chi no. Saper osservare il reale, il quotidiano, di per sé, non servirebbe a molto se poi chi scrive non sapesse tradurre – ciò che l’occhio registra – in parole che rivelino il senso nascosto di qualcosa, un mistero, l’evidenza di una malinconia, il dolore che c’è dietro a un gesto, tutta la vita che passa in un cuscino sbattuto al davanzale, in un portone che sbatte, in un motore che s’accende, in un bambino che gioca.

Massimo Gezzi nella sua opera poetica ha fatto, tra le altre cose, proprio così. Ha saputo scavare nel quotidiano e trovarci tutto il tempo e tutto il mondo. Mi pare abbia afferrato il senso di precarietà che accompagna i nostri anni, il modo in cui siamo passati dall’adolescenza all’età adulta (qualunque cosa questo significhi), un modo lento, a volte accondiscendente, un transito inerme, come se da ragazzi, noi nati negli anni Settanta, avessimo già compreso che ci fosse poco da fare, come se provare a tenere botta, a sopravvivere, fosse già tanto. Il minimo indispensabile trasformato in tutto. Le vite vanno, però, e sono fatte di attimi, ogni tanto qualcuno di questi va fermato, uno scrittore lo sa, perché in quell’attimo è cristallizzato un universo, un microcosmo capace di spiegarci i giorni in cui stiamo.

Quando mi viene il malcaduto può essere dappertutto. Una volta ero sulla prima panchina del viale. Mi sono alzato, ho fatto due passi. Ho visto bianco. Nero. Mi sono svegliato con tanta gente intorno, male alle gambe. Sangue che colava sulle mani, dalla testa. Pietro Farina mi teneva due dita in bocca. Renato, Renato, urlava. Chiamate l’ambulanza, diceva guardandomi come se non mi riconoscesse. Io non riuscivo a dire nulla. Allora ho preso la sua mano, l’ho tolta dalla mia bocca e ho detto a tutti che stavo bene. Era solo il malcaduto, che non si spaventassero.

Gezzi torna con una raccolta di racconti, uscita da qualche settimana per Bollati Boringhieri: Le stelle vicine, si tratta di un libro interessante e molto riuscito. La prima cosa da dire è sul linguaggio, l’autore è pulito, accorto, sa variare dalla prima alla terza persona, sceglie bene i personaggi, non si sofferma su una sola categoria, ma tende a mostrarci un affresco di questo tempo. La tecnica, affinata con la poesia, viene usata nel testo narrativo con la stessa attenzione, non troviamo orpelli, eccessive descrizioni né dei luoghi, né dei personaggi.

Tutto sta nella scena, nel dialogo, nell’istante in cui la storia deraglia o s’accomoda, dove un incontro si consuma, dove qualcuno si perde, un altro reagisce, dove si sbaglia, ci si pente, si tenta un cambiamento, e dove più spesso è il cambiamento che viene a cercare uno dei protagonisti. Nel congegno di questi dodici racconti brevi ho ritrovato l’attenzione di Gezzi al dettaglio, al frammento, allo scarto che va a interrompere qualcosa di definito, di routinario. Non che l’autore marchigiano cerchi i bruschi episodi che spezzino la consuetudine, piuttosto intende farci notare che il consueto non viaggia su un pavimento liscio, su un binario unico e dritto. La consuetudine è in continua modulazione, soltanto che quasi mai ce ne accorgiamo.

Adesso concentrati, Carlo. Un respiro profondo, forza. Trent’anni di vita che vanno in fumo. Alla lettera, Ma devo farlo, non ho scelta. Non ho nessuna possibilità di scegliere. Quindi adesso dimenticati di tutto e diventa un cecchino. Freddo, cinico.

Dodici scene. Si passa dal bar di paese, l’atmosfera tipica di una sera degli anni Novanta, si conoscono tutti, la tensione che sale all’improvviso. Un’infermiera alle prese con il senso del dovere contrapposto a quello morale, in mezzo la sua umanità. Una piccola fotografia dell’inconsueto e della cattiveria umana, tutto si svolge su un bus. Il mio preferito si intitola L’ultimo saluto di Cattivik, la protagonista è un’anziana che ha qualche disturbo mentale, eppure vede alcune cose che gli altri sembrano non vedere. Mi è piaciuto il suo piglio e la velocità con cui il racconto scorre, la narrazione in prima persona e la punteggiatura che lascia fluire i pensieri della vecchia. Ragazzi che giocano al pallone, un imprenditore in difficoltà, uno che s’inventa una storia, un professore che commette un errore, un incidente, una vicenda di stalking, un’altra di emarginazione conseguente al disagio mentale e, infine, la meravigliosa strana ragazza dell’ultimo racconto.

Ancora non lo so come è andata. È passato un anno ma ancora non mi ricordo, mi dispiace.

Le stelle vicine si inserisce nel solco decisamente vitale del racconto italiano. Se ne discute spesso del fatto che gli editori non vogliano i racconti, per una questione di tradizione o perché vendono poco. Fatto sta che il racconto è una forma di scrittura preziosa, difficile, racchiude molte cose, porta con sé qualcosa della condensazione del testo poetico e poi la possibilità di sviluppo che in alcuni casi conduce a forme più lunghe, quali il romanzo.

Nel meccanismo di una storia breve non puoi sbagliare nulla, il lettore se ne accorge e l’autore non può rimediare al capitolo successivo. Inoltre, e questo Gezzi lo sa bene, la narrativa breve consente – come succede per la poesia più riuscita – al lettore di infilarsi in un varco in cui trovare, a seconda del momento, pezzi della sua memoria o brandelli del suo immaginario.

 

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1 commento

  1. La capacità di Gezzi di spostare l’attenzione sui dettagli e di inserire brevi frammenti di vita in contesti più ampi è quello che dà forza alla sua narrativa.
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giannimontieri@minimaetmoralia.it

Gianni Montieri, è nato a Giugliano in provincia di Napoli. Scrive per Doppiozero, minima&moralia, Esquire Italia, Huffpost e il manifesto, tra le altre. Prova a incrociare la letteratura con lo sport per L’ultimo uomo, Rivista Undici. I suoi libri di poesia più recenti sono Ampi margini (2022) e Le cose imperfette, editi da Liberaria. Ha pubblicato per 66thand2nd due titoli Il Napoli e la terza stagioneAndrés Iniesta, come una danza. Vive a Venezia. Altre info qui: https://giannimontieri.wordpress.com/biografia/

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