
“Mi chiamo Mihail. Quasi non so com’era prima, soltanto vagamente mi ricordo che una statua saltò dal tetto sopra di me e diventai tutt’uno col marciapiede”.
Al centro del nuovo romanzo di Radoslav Bimbalov (trad. Giulia Spadoni, Wojtek), due modi opposti di fare esperienza dell’esistenza, marcati dallo spartiacque di un incidente alla fermata dell’autobus. La componente surreale che intride le pagine favorisce biforcazioni diverse alla storia e lascia in chi legge la possibilità di interpretare quell’incidente come una fine entro cui si condensa un nuovo inizio.
Il titolo rimanda al singolare itinerario terreno e onirico compiuto dal protagonista nell’esperire l’emersione dal corpo e l’allontanamento della psiche grazie a un evento drammatico che assegna un senso nuovo alla sua intera esistenza (da metallaro neodiplomato a invisibile emissario divino) e favorisce una lettura inedita della vita precedente all’incidente.
Mihail ha il compito di accompagnare le persone destinate a una morte particolarmente emozionante per rubarne l’ultimo respiro vitale e serrarlo in una fialetta destinata a nutrire l’infinita collezione del capo supremo, entità chiamata di nessuno, che decide sulla vita e la morte degli individui e ne stabilisce il destino a sinistra o, nei casi peggiori, a destra.
La verità e che il mio a sinistra e il vostro a sinistra non possono essere lo stesso posto: io sarò sempre più a sinistra di fianco a voi oppure voi più a sinistra di fianco a me. Lo so, fa confondere, ma proverò a spiegarmi. Ogni persona riceve il suo a destra oppure a sinistra (se, per sfortuna, la rabbia di nessuno ha deciso così). Quello spazio è personale, non si mescola con i restanti né ci si incrocia o li ostacola. Tutti, indipendentemente da dove ci troviamo, siamo parte di un ininterrotto, smisurato Ventaglio che si spiega e riproduce in nuovi e nuovi spazi paralleli – dalla superficie comune – praticamente all’infinito.
La profonda originalità dell’opera risiede nel dosare con la stessa intensità pagine profondamente realistiche nel narrare un adolescente tipo della Bulgaria anni Novanta – “Eravamo incredibilmente difficili come generazione. Eravamo quelli appena sguinzagliati, assetati di libertà e piaceri nuovi di zecca, che si viziavano in poco tempo: i ragazzi della transizione” – accanto ad altre pervase da un peculiare lirismo nel definire l’esperienza di un corpo privo di materia, di sensazioni, dotato unicamente di coscienza.
Mihail finisce per non avere quasi più memoria della vita di prima, quella trascorsa in casa con la madre iperprotettiva che a ogni sua uscita gli ricorda, quasi come una minaccia, che per lei lui è la sola ragione di vita, e quella dei pomeriggi con Lara a scoprire le nuove frontiere dell’asfissia erotica.
In relazione al rapporto con l’ignoto e all’esigenza di trasgressione dall’asfittico ambiente domestico e di controllo di una realtà che costruisce finzioni e le perpetua come grotteschi emblemi di modelli irreali professionali e sociali, Mihail rappresenta l’urgenza di cambiamento radicale vissuta dai suoi coetanei. Incerti sulla direzione da prendere, i giovani come lui non sanno intravedere il loro posto e quali aspettative avere in un contesto ancora politicamente acerbo nel fornire modelli sociali nuovi, nel disorientamento generato dall’incapacità di maneggiare un potenziale indefinito.
La caduta del comunismo costrinse tutti noi a fare i conti con un’overdose di libertà, ma poiché di libertà in teoria non si muore, provavamo a finirci con alcol contraffatto e sigarette economiche.
Aspetti affrontati in particolare da Georgi Gospodinov nelle sue opere: memorabile in Romanzo naturale (trad. Daniela Di Sora e Irina Stoilova,Voland) il racconto della recessione di fine Novecento condensato nelle immagini di un mercato.
Qualcuno deve descrivere la miseria dell’inverno del ‘97, e tutte le altre miserie: l’inverno del ‘90, del ‘92. Ricordo una vecchia signora in fila davanti a me al mercato che chiede le venga tagliato mezzo limone. Altri si aggirano di sera attorno alle bancarelle vuote in cerca di qualche patata rotolata via per caso. Sempre più persone ben vestite vincono la vergogna e rovistano nei bidoni della spazzatura. I cani randagi ululano affamati lì accanto o si lanciano in branco sui passanti ritardatari.
Il rimando a Gospodinov investe anche il sapiente lavoro di traduzione che si deve all’attenzione di Giorgia Spadoni per la letteratura bulgara contemporanea evidenziata anche nel suo volume A Sofia con Georgi Gospodinov (Giulio Perrone Editore). La complessità dell’esperienza di traduzione di Bimbalov risiede nel calarsi nella peculiarità di una lingua definita a partire dalla capacità di maneggiarne le pieghe. Proprio Gospodinov esprime amore verso la raffinatezza stilistica e la sensibilità linguistica dimostrate dall’autore nel comporre libri che “adescano con il sottile oppio della narrazione, in cui non ci sono parole casuali e ogni riga sblocca nuove porte e percezioni”.
In merito a tali varchi, il continuo passaggio dalla dimensione terrena a quella ultraterrena è scandito dal rapporto tra l’infanzia e la morte che rappresenta la dorsale dell’intera narrazione, riconoscibile sin dalle pagine che descrivono il protagonista bambino e la sua paura dell’oscurità, ritenuta non un’omogenea “untuosità nera” ma un complesso insieme di ombre violette, contorni argentati: un oggetto concreto, vivo, “l’indescrivibile tocco di un velluto malefico che si strofina sulla mia pelle”.
L’indagine fisica assume piena centralità nella narrazione, nella duplice accezione di esplorazione del corpo in relazione al distacco dalla materia e in riferimento al rapporto con il paesaggio urbano e con un altrove ultraterreno.
Il grande vantaggio di a sinistra è la mancanza di doveri verso il corpo. Ce l’hai, è con te, ma non sei costretto a sopportarlo, punirlo o nutrirlo. In generale tutte le preoccupazioni nei suoi confronti che costituivano la vita di prima di andare a sinistra sono del tutto superflue. Il tuo corpo è un impegno venuto meno: apprezzi ogni attimo di libertà in cui niente fa più male, non odora, né invecchia. Hai tutto il tempo a sinistra per fluttuare nelle riflessioni, i tuoi pensieri sono il cibo e l’aria di cui hai bisogno, Dalla lista del tuo cervello vengono meno così tanti doveri terreni, che lo stesso si apre a nuove altitudini. A sinistra perfino la persona che ha vissuto nella miseria spirituale possiede le qualità creative di un artista.
Il corpo è lo strumento d’elezione nello studio del respiro inteso da Bimbalov come ultima traccia dell’individuo, come mezzo per esplorare il piacere nella sua privazione, come simbolo di un bagaglio da raccattare prima di lasciare la vita terrena. È l’elemento che unisce le storie narrate in una composizione all’apparenza intesa come un romanzo ma che si fonda sull’interconnessione tra narrazioni brevi.
Le storie delle persone inconsapevoli di essere accompagnate da Mihail a una morte improvvisa e emozionante – speaker radiofonici, modelle, gemelle anziane immortalate mentre fanno bollire sulla stufa le ciliegie bianche, ex pugili appassionati di pesca – permettono a Bimbalov di dare forma a un peculiare campionario umano e calarsi nelle incertezze del vivere attraverso un ritratto sociale trasversale capace al contempo di definire un dramma sotteso e di irridere visioni stereotipate con aperture farsesche ai limiti del surreale, utili a amplificare l’affondo sul noto, con una straordinaria capacità di muoversi tra registri diversi. Emblematico il confronto tra il protagonista e le sei sedie vuote, con palese rimando teatrale, che rappresentano le persone che ha accompagnato nella morte e che gli chiedono conto di una sua grave trasgressione mettendolo a processo.
L’insubordinazione al divino rivendicata da Mihail rimanda a un parallelo già esplorato in letteratura sull’immaginario contrasto tra Dio e suo figlio, tra chi detiene il sapere e chi possiede l’esperienza del mondo, delle sue pene e delle gioie.
Potevo tutto, perché ricordavo che una volta ero esistito. Mentre lui, di nessuno, non aveva provato niente. Mai. I suoi occhi non avevano lacrimato, le sue unghie non si erano conficcate in una pelle che non aveva avuto. Non aveva gridato con il palato tremante, né stretto i denti, non aveva lasciato che il suo cuore salisse su o cadesse nelle sue viscere. Non aveva mai provato il desiderio di essere inghiottito dal terreno, di vedere il cielo aprirsi, non gli era mancata l’aria.
L’elemento dirompente in Estasi risiede nel dare forma a un racconto irriverente, tra mito e ironia che usa il paradosso per enfatizzare aspetti centrali. Secondo una poetica del particolare fondata sul riconoscimento di minuzie determinanti, Bimbalov compone una memoria privata portatrice di istanze nuove anche in relazione all’idea di incarnazione e disincarnazione affine alle parole di Terenzio sul rapporto con l’umano e il male.
L’ossatura del romanzo è definita nella triade rappresentata dall’amore, dal sacrificio e dalla morte. L’amore, inizialmente carnale e intellettuale, in un secondo tempo assumerà contorni nuovi: segnato dall’impossibilità di contatto e condivisione, definisce una differenza fondamentale con di nessuno per l’abbandono totale e irrazionale epurato dal sentore delle conseguenze.
L’amore irrealizzabile condensa l’idea di sacrificio in relazione alla morte e favorisce modalità nuove di fare esperienza dell’altro, a partire dall’opportunità di essere vicino, seppur invisibile, alla donna amata. In tale prospettiva si inserisce la riflessione sul tempo, la sua diversa percezione rispetto a prima e dopo l’incidente tra dilatazioni di decenni e contrazioni di poche settimane sulla base di una misura di ordine diverso inserita tra sé e la fine. È significativa la riflessione sul morire e sulla morte che emerge nell’opera, nel narrare l’allontanamento dalla vita e la natura incoerente dell’essere umano che in modo inesorabile cade nell’errore ma preserva un’apertura invariata a ogni esperienza.
Il dualismo di Mihail, esplicitato nel passaggio dal terreno all’ultraterreno, si rivela nella consapevolezza fondamentale di non avere altro che la propria coscienza. Incapace di provare pena per le persone che accompagna nei loro ultimi giorni, è consapevole del benessere successivo che proveranno, percezioni che solo chi ha esperito il tempo dentro e fuori dal corpo è in grado di sentire.
Con una prosa brillante, esprimenti formali, giochi al contrasto, frequenti cambi di registro, aperture liriche allucinate e un erudito uso del comico come strategia per affermare l’incertezza, Radoslav Bimbalov compone con Estasi una parabola dai contorni filosofici con risvolti politici sull’insensatezza del vivere. Un inno all’insurrezione, una celebrazione tragica, mistica e farsesca della gioia del corpo e del mistero insito nell’idea di trascendenza, un invito a immaginare l’imperscrutabilità del destino degli individui per poi sovvertirla.
Alice Pisu, nata nel 1983, laureata in Lettere all’Università di Sassari, si è specializzata in Giornalismo e cultura editoriale a Parma dove vive. Collabora per diverse testate di approfondimento, tra cui L’Indice dei libri del mese, minima&moralia, il Tascabile. Libraia indipendente, fa parte della redazione del magazine letterario The FLR -The Florentine Literary Review.