
di Dario Borso
Nella primavera del 1955 il ventenne marchigiano Massimo Ferretti stampò a sue spese una raccolta di poesie intitolata Allergia (l’ultima edizione è di due anni fa, Gionetti & Antonello, Macerata 2019) e la inviò a Pier Paolo Pasolini redattore della rivista bimestrale «Officina».
PPP rispose chiedendogli una selezione, e così sul numero di febbraio 1956 ne apparvero sei, più un’inedita Lode d’un amico poeta.
Mesi prima Ferretti aveva letto su «Officina» l’elegia pasoliniana I campi del Friuli («Noi, non popolani, nella stretta / del popolo contadino, della magra / folla paesana, amati quanto / ci ardeva l’amare»), e da qui prendeva spunto la sua Lode: «Tu sei della stirpe di chi vince: / il male che scalfisci non ti tocca, / la tua maturità non ha timori» verso «gli alfieri delle “leggi” del partito, / i sacrestani delle muse benedette».
La corrispondenza continuò: PPP lo ritiene un «fantastico mistero», Ferretti risponde che l’unico suo mistero è un’endocardite reumatica; PPP lo critica («estetizzi, ti compiaci del maledettismo»), Ferretti ribatte («non recito nessuna parte da maledetto: non m’importa niente della poesia, anzi la odio»); PPP lo carica («non fare il superuomo, il solito poetastro rompicoglioni»), ma poi ritratta («ho esagerato un po’ nel fare il filisteo») e sul numero di giugno 1957 pubblica due nuove poesie di Ferretti accanto ad altre di Arbasino, Pagliarani e Sanguineti.
Intanto, sul numero di novembre 1956 era uscita Una polemica in versi, dove PPP accusa gli intellettuali comunisti di essersi assuefatti «al voluto tacere, al calcolato parlare», e dichiara di avere al contrario praticato «gli inutili angoli sperduti / del mondo, con qualche grido, qualche lume, / qualche parola di uomini venduti / nei più scuri mercati della vita. / Ne ho riportato attestati muti / d’allegria in cuore a una città nemica».
La cosa non passò inosservata a Franco Fortini, che sul numero successivo replicò con Al di là della speranza, coinvolgendo di striscio il laudatore Ferretti: «Quella libertà / che ti perdoni, ad altri tu la togli / e del nulla sei complice e del male / del tuo popolo. A corte, poi, ti vale / leggere come l’anima disciogli / nei tuoi poemi in limpide querele, / fra chi, come te, sa» e «vanta nel verso tuo la Vita / miele dei morti e del peccato».
Ferretti lesse su «Officina» sia la Polemica di Pasolini che la replica di Fortini, e dopo un po’ compose La canzone del filisteo, inviandola a PPP.
Passò un anno, inframmezzato da un incontro interlocutorio a Natale, finché nel giugno 1958: «ti mando nella stesura definitiva la seconda poesia che ho scritto per te (La canzone del filisteo). Voglio che – rispettando il testo dal titolo alla data – tu la passi al più presto possibile a qualche rivista. Naturalmente non sei obbligato a niente: ma non ti sembra che stizzirsi proprio ora sia da una parte comodo e da un’altra stupido? L’Ode uscì su “Officina” un mese dopo che te l’avevo mandata: questa è un anno che ce l’hai ed è più bella dell’ode: lo hai scritto tu».
La Canzone rimase inedita (esce qui per la benevolenza del fratello Maurizio, che ringrazio) e i rapporti peggiorarono ulteriormente, come emerge da una lettera di Ferretti del luglio 1959: «Mi scrivi di capire tutto di me: e dimostri di non capire niente. 1- Il “desiderio di morire” appartiene alla tua psicologia, alla mia è del tutto estraneo. 2- Né l’Italia né io siamo in pericolo per il mio presunto e potenziale fascismo: l’Italia come sempre è minacciata dalla sua sacra ed eterna Natura, io dall’Indifferenza».
Il climax fu raggiunto nel giugno 1962, quando Ferretti stroncò per lettera l’appena uscito racconto giovanile dell’antagonista («Il sogno di una cosa è la prova folgorante – tu che sei ancora innocente a quarant’anni – che innocente non lo sei mai stato. Sii generoso, ti prego, tu che sei marxista, con la mia gioia decadente») e PPP reagì pubblicamente con Il sogno della ragione, lunga apostrofe a un imprecisato «ragazzo dalla faccia onesta e puritana» che inizia con: «L’alibi della speranza dà grandezza, / ammette nelle file dei puri, di coloro, / che, nella vita, si adempiono. / Ma c’è una razza che non accetta gli alibi, / una razza che nell’attimo in cui ride / si ricorda del pianto, e nel pianto del riso», e chiude con: «Io mi vanto di essere di questa razza. / Oh, ragazzo anch’io, certo! Ma / senza la maschera dell’integrità».
Non finì così, a conferma di una ferita mai chiusa: nel 1974, anno della morte sopraggiunta per crisi cardiaca, Ferretti lavorava alla storia en travesti tra un illustre Osbert Owen Odds e un oscuro Maletto che gli dedica il Ditirambo per O.O.O. e in cambio riceve lettere dov’è «abominevole il tono delle lodi. Frasi come “sei una statua nera” o frammenti come “prepotente originalità”, “prematura maturità” e simili vanno sepolte dentro molta sollecita compassione. Più originale la sua tensione a crearsi un utero, sia pure ipoplastico e anteflesso. Ma non bisogna smettere di tener conto che tutto il mondo civile sapeva che Odds era un omosessuale evoluto e praticante, mentre Maletto Trunkful neanche lo sospettava», fino a scoprirlo su rivista e inviargli «un biglietto bianco dove era scritto soltanto: “La cosa non mi ha meravigliato. Però non lo sapevo e penso che avresti fatto bene a spiegarti prima”. Della replica di Odds solo l’inizio esclamativo (“Ma sei proprio un bambino!”) era dignitoso. Poi tutto rotolava verso abissi televisivi di volgarità (“tu forse hai idee preconcette sull’argomento”)» per finire in «un rovinoso consiglio da negoziante progressista: “leggi Freud: le cose assumeranno un aspetto scientifico con l’annesso distacco e l’annessa serenità”».…
Una certa serenità Ferretti comunque la raggiunse, pubblicando per Feltrinelli due romanzi sponsorizzati da Nanni Balestrini e instaurando un rapporto di amicizia vera con Antonio Porta, di cui casomai un’altra volta.
Qui piuttosto vale rinviare il lettore interessato a www.minimaetmoralia.it/wp/approfondimenti/mortem-ppp-un-articolo-ritrovato-elvio-fachinelli/, e ricordargli che Die Puppe di Ernst Lubitsch (noto in Italia come La bambola di carne) è visibile in web www.youtube.com/watch?v=YYvE4mm0Q6M.
*
LA CANZONE DEL FILISTEO
Io non sapevo, e tu lo sai –
e credo che mai nessuno al mondo
ha odiato quanto me la poesia.
Oh, cosa darei per uno specchio gigante:
che quando uno piange si vede che ride
e quando uno ride si vede che piange!
Proprio io, l’esperto di cose sessuali
che assediato da un gruppo di compagni
davanti al cinema assonnato
dove davano La bambola di carne
ho tenuto un comizio di due ore
per spiegare tutti i segni fallici
e che t’avevo con gran disinvoltura
assegnato tutti i miei complessi
dei fatali malesseri del tempo
e della pena d’una vita infame,
non avevo capito un accidente.
Ma ora che vorrei tanto colpirti
con una crudeltà pari all’ardore
che mi spinse a distinguerti in un’ode
non trovo che parole di tristezza:
t’ho ammirato come un fratello superiore,
il fratello eletto andato avanti
nella dura conquista della vita:
ed io che in te ho cercato la salvezza
ora che mi ritrovo tanto salvo
non so cosa farei per aiutarti;
ma l’adolescenza ormai è un ricordo
e i suoi impulsi troppo generosi
hanno l’atroce luce dello sguardo
di chi da poco è diventato adulto:
e mi scopro veramente solo,
condannato a riaprire le ferite
per riprendere la forza del cammino.
Non giudico la forza del tuo male –
ma nella luce del tuo destino umano
ho perduto per sempre la mia fede,
la fede di credere nel mondo
ignorando il dolore di difendermi
dal cupo tarlo della diffidenza
che avvelena i palpiti più puri.
E se togliamo al canto la purezza
nell’età del romanzo funzionale,
che possiamo pretendere dai versi
che scriviamo per il mondo
e li leggiamo solo noi,
facendoci le corna e le moine,
troppo orgogliosi per sentirci in gruppo
e troppo vili per restare soli?
E per averti cantato dentro un grido
di chi ha patito tanto
da avere fiducia nel dolore,
ho dovuto subire l’invettiva
dei versi esangui d’un ideologo contrito:
io il miele me lo mangio sopra il pane,
e i miei peccati li sconto in questo mondo
dove nacquero e dove resteranno
implorati alla sacra maestà della Natura
e a lei ridati con grata devozione.
E poi verranno gli Specialisti dell’Acido:
ma a loro offro solo un muro
dove allinearli con molta simmetria
e fucilarli con una gran pisciata.
È un gioco allegro difendersi da loro,
ma per difendermi dalla mia coscienza
ho crocefisso l’ultima illusione.
E a costo di sventrare la panciera
a qualche pitonessa da salotto,
e di fare orinare nei calzoni
gli inibiti delle redazioni,
ma all’onestà non posso rinunciare,
alla forza di essere me stesso
nella chiarezza e nelle confusioni
nella paura e nel coraggio estremo
nella furia e nelle debolezze;
non posso rinunciare alla potenza
di distinguere la vita dalla morte,
il bene immoto dal male sempre vivo.
Minima&moralia è una rivista online nata nel 2009. Nel nostro spazio indipendente coesistono letteratura, teatro, arti, politica, interventi su esteri e ambiente
oggi sto scoprendo molta poesia, vorrei condividere tutto, ma è troppo, questo poeta Male(de)tto poi è davvero troppissimo perfettissimo, iperdialettico delle emozioni primarie e secondarie, e delle diciture letterarie e non… che mi sconcerta, io che sono in cerca di coagulare un nuovo librino di poesia pur di potermi dire poeta (perchè pare che sia piuttosto un saggista poco saggio).
Grazie, a presto spero.
Nicola
Caro Nicola, in poesia
il troppo non stroppìa