
di Giovanni di Benedetto
(Venezia, 1725 – Duchov, 1798)
Ho sognato che Giacomo Casanova veniva a bussare alla mia porta al numero 9 di rue de Paradis. Era vecchio, grigio, le rughe incise agli angoli della bocca, lì dove i suoi sorrisi avevano un tempo archiviato l’amore. La sua parrucca era spettinata. Non si riusciva a capire se fosse appena uscito da un bordello o dal letto di un’aristocratica dalmata, o se fosse scappato dai sotterranei delle prigioni del Palazzo Ducale di Venezia. I suoi occhi erano come quelli dipinti sulle maschere di cartapesta dei carnevali, un artificio barocco, un esercizio di mimesi.
Era ancora sull’uscio quando, all’improvviso, mi diede del buffone mentre cercava di rimettere in ordine la sua parrucca che ormai non riusciva più a nascondere lo stato avanzato della calvizie. Poi tirò fuori dalla tasca della sua redingote una scatolina d’avorio con uno specchietto. Casanova mi guardava e continuava a mormorare che ero un buffone. Poi prese una fialetta di polvere bianca che versò sullo specchio. Tappò una narice e sniffò. Ripeté l’operazione una seconda volta e poi ancora una terza, prima di entrare nel mio appartamento e chiudere la porta. Estrasse da una tasca un astuccio di cuoio di Firenze da cui tirò fuori del tabacco e accese una pipa di legno dalla forma di un grosso fallo. Cominciò a fumare. Del suo viso, nascosto dietro una spessa coltre di fumo, si intravedevano appena le pupille dilatate, cristallizzate dall’osservazione metodica della mia libreria.
«Tutto questo», mi disse, «tutta questa polvere che puzza di merda, che puzza di morte, non è altro che un’imitazione degradante della vita, una conversazione effimera tra le mie palle e il mio culo, è il mercato nel tempio, è l’impotenza, è la peste, è teatro». Diceva tutto questo con una prosodia molto lenta, quasi come se stesse recitando un salmo. I silenzi tra ogni parola erano interrotti dal crepitio del tabacco. «Dimmi, non sei stanco», mi chiese guardandomi con i suoi occhi di carnevale. «Non sei stanco di tutta questa simulazione dell’amore? Guardami, buffone, ti dico». Alzai gli occhi e mi immersi nei suoi, nel suo sguardo incompiuto di cartapesta.
Si sedette sulla mia poltrona e mi chiese da bere. Allungò le gambe sul tavolino e mi porse lo specchietto con una striscia di cocaina prima di dirmi di sedermi accanto a lui. Sniffai una prima dose. Poi fu il turno di Casanova. E continuammo così, a turno, senza dire niente, per lunghi minuti. Sentivo il cuore battere sempre più forte. Sentivo una grossa erezione crescere tra le gambe e un forte desiderio di masturbarmi davanti a lui, davanti Casanova. «Avanti», mi disse, «fallo e confessami tutti i tuoi peccati, figlio mio». Allora mi inginocchiai davanti Casanova come per pregare il Dio Onnipotente: aprii la cerniera dei pantaloni e cominciai a far scivolare il mio sesso duro tra le dita. Casanova, intanto, fumava la pipa senza curarsi di me. Cominciai a masturbarmi più forte: si poteva sentire il rumore della pelle che copriva e scopriva la punta del mio cazzo, e mi misi così a confessare tutti i miei peccati. Dissi novantasette volte la parola “io”, venticinque volte la parola “infedele” e tre volte la parola “amore”, quarantotto volte la parola “poesia” e cinquanta volte la parola “letteratura”. Le parole “menzogna” e “verità” furono pronunciate rispettivamente quindici e undici volte. Le parole “nulla” e “morte” risuonarono per tre volte. La parola “vita” fu usata sette volte, “meraviglioso” dieci, “talento” una soltanto, “deserto” tre volte. “Napoli” fu pronunciata una volta, così come “Purgatorio”, “Clémence”, “droga”, “disperazione” e “convulsione”. Seguirono le parole “sesso”, “Dio”, “felicità”, “infelicità”, “distanza”, “ingoiare”, “suicidio”, “fallimento”, “alcol”, “passato” e “presente”. La parola “futuro” non fu mai pronunciata.
Non avevo ancora finito di elencare i miei peccati quando Casanova portò le mani al viso per strapparsi i suoi occhi di cartapesta invitandomi a guardare all’interno. Mi avvicinai e vidi una tela di carne. Poi sentii una voce senza capire da dove venisse. Corsi nella sua direzione con la sensazione di non riuscire mai ad avvicinarmi veramente. Poi sentii di nuovo la voce risuonare e vidi la tela di carne aprirsi in una, poi due, poi tre crepe che diventavano bocche umane. La tela si aprì su più di mille bocche femminili che, mentre si contorcevano, cercavano di dirmi qualcosa. Ne vidi una che somigliava a quella di mia madre e questa, riuscivo a sentirla, e quello che sentivo era la parola “colpevole”. Allora mi misi a piangere, e più piangevo, più riconoscevo le bocche impresse sulla tela di carne, quelle di tutte le donne che avevo scopato e quelle delle tre che avevo amato. Erano aureolate dalla luce del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e tutte ripetevano in questo coro di carne la parola “colpevole” all’unisono. Cercai di trovare l’uscita ma non c’era. Allora mi sdraiai e mi misi in posizione fetale. E all’improvviso, ero nell’utero di mia madre. Nacqui di nuovo e ripetei tutta la mia vita, esattamente uguale alla prima volta. Tutto ritornava identico, gli amori, le sofferenze, le gioie, le disperazioni, gli orgasmi, le ebbrezze, le perdite, le infedeltà, le lacrime, i sorrisi, i tribunali, le nascite, i ritorni, le deviazioni, le partenze. Rivissi mille volte ancora tutta la mia vita, fino al giorno in cui, mentre rivivevo per l’ennesima volta l’addio di Clémence, capii che ero all’inferno.

Vanni Santoni (1978), dopo l’esordio con Personaggi precari ha pubblicato, tra gli altri, Gli interessi in comune (Feltrinelli 2008, Laterza 2019), Se fossi fuoco arderei Firenze (Laterza 2011), la saga di Terra ignota (Mondadori 2013-2017), Muro di casse (Laterza 2015), La stanza profonda (Laterza 2017, dozzina Premio Strega), I fratelli Michelangelo (Mondadori 2019), La verità su tutto (Mondadori 2022, Premio Viareggio selezione della giuria), Dilaga ovunque (Laterza 2023, Premio selezione Campiello). È fondatore del progetto SIC (In territorio nemico, minimum fax 2013); per minimum fax ha pubblicato anche Emma & Cleo (in L’età della febbre, 2015) e il saggio La scrittura non si insegna (2020). Scrive sul Corriere della Sera.
Il suo ultimo romanzo è Il detective sonnambulo (Mondadori 2025).