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di Tiziana Plebani

Lisetta Carmi apre la porta. E Anna è lì.

Sulla porta c’è un piccolo cartello, quasi un pizzino. “Carmi. Suonare forte”.

Anna Toscano ha suonato e Lisetta è apparsa sull’uscio, come si vede nella seconda fotografia inserita in apertura al libro. Sull’uscio Lisetta sorride.

La porta è aperta e Anna è lì di fronte a Lisetta sorridente, a dialogare con lei, ad ascoltarla per noi.

Anna è lì con la medesima postura con cui è solita stare in compagnia delle donne poete o scrittrici e che dispiega nei tanti scritti e volumi a loro dedicati.

Anna si mette accanto, legge con attenzione, ascolta, raccoglie indizi, ma sempre con una distanza che è rispetto, che non è confusione, non è fusionalità che tanto male ha fatto alle donne.

Lei ricerca con tenacia e costanza le tracce dell’intelligenza, della comprensione del mondo delle donne che hanno voluto lasciare un segno con le parole e con lo sguardo. Con una complicità che è amicizia, che è amore, come il titolo di questo prezioso libro dedicato a Lisetta Carmi. Che fa parte dell’archivio che Anna sta pazientemente raccogliendo sulle tracce delle donne degli ultimi due secoli.

Ricorro volutamente a questo termine: archivio perché ci deve far riflettere sulla novità insita in questo lavoro paziente di riscoperta di voci e di esistenze femminili nella loro tensione verso la scrittura e le espressioni artistiche. Lo “ius archivi” sino al Novecento era un privilegio, con qualche eccezione, dei detentori dell’autorità e del potere nelle sue varie accezioni, le donne erano irreperibili o apparivano per difetto, come vittime o irregolari. Ma dal Novecento cominciano ad emergere nuclei documentari femminili, significativi di quel processo di autoconsiderazione che ha portato alcune donne a costruire una propria “autobiografia cartacea”, un autoritratto di inchiostro, fatto di testi, diari, ritagli di giornale, appunti, bozze, lettere, fotografie con l’intento di tramandare un’immagine di sé ai posteri. Forse in alcune o più di alcune è maturata pure l’idea che le loro parole sedimentate in carta potessero divenire “fonti”, ovvero strumenti di studio e di ricostruzione di una storia più ampia riguardante il periodo storico, la temperie culturale e la vita delle donne.

Questa non è, come potrebbe apparire, una divagazione.

Anna sta realizzando un archivio di parole e di vite di donne che è insieme immateriale eppure ha una portata ereditaria e genealogica.

Lisetta vi entra da protagonista e Anna ne distilla il senso di un’esperienza in un racconto che rifugge dalla biografia con una scelta stilistica precisa che si collega alla speciale postura che ho nominato e che qui è rappresentata da quella porta aperta da Lisetta e da Anna che è lì per ascoltarla e per chiederle con delicatezza, con premura. Il libro è un dialogo costante tra Anna e Lisetta.

Anna le chiede cosa provasse nelle sue diverse vite in cui ha messo al lavoro le mani da concertista, o da fotografa o da calligrafa. Ma non solo le mani: «perché vedete, è sempre stata una questione di mani, di occhi e cuore, e le tre cose sono separate e le tre cose vanno insieme» ed è questo il filo rosso che Anna raccoglie dalla vita di Lisetta, anzi dalle vite di Lisetta, che paiono diverse e distanti ma convergono e alla fine tutto ha un senso compiuto.

Ma c’è un altro filo rosso che Anna insegue: Lisetta e gli altri, il suo sguardo, la sua necessità, lo spazio degli altri insieme a lei. Quel bisogno degli altri che Lisetta stessa ha raccontato: «dovevo riuscire a sviluppare l’apertura verso gli altri, l’amore per l’umanità».

E Anna questa necessità della relazione ha voluta tradurla nella scrittura, non lasciando sola Lisetta.

Dialoga con lei ma non si limita a questo: allarga il campo e incorpora chi legge, coinvolge i lettori nello lo spazio e nell’emozione dell’incontro che Lisetta ha perseguito durante le sue vite.

Quella da concertista che infine ha abbandonato perché ha compreso di doversi difendere dalla sua stessa passione che la isolava dagli altri. La fotografia, intrapresa quasi per caso in un viaggio in Puglia (regione che tornerà come luogo del cuore), perseguita come autodidatta, per capire la realtà e le persone che sceglieva di riprendere. Lisetta che racconta: «ho fotografato per capire», non certo per produrre immagini.

Non attende commissioni, richieste, fotografa il mondo che pulsa, che le interessa.

E Anna le chiede del suo sguardo, di cosa intravedeva nell’altro che aveva di fronte, la interroga delle sue mani, le sue mani che prima spaziavamo sul pianoforte e sugli spartiti, e che poi sono passate a impugnare la macchina fotografica. Le domanda a cosa pensasse mentre il dito premeva il pulsante dell’otturatore sulla scena della nascita, sulle statue del cimitero di Genova, sui “camalli” che trasportavano pesi nella fatica e nel sudore.

Le chiede che ci faceva in quel capodanno del 1965 a casa di travestiti nel ghetto genovese. Lei risponde che lì era a suo agio, anzi, che la loro scelta l’aveva aiutata a definirsi fuori delle convenzioni imposte, senza ruolo, oltre i limiti del doversi riconoscersi maschio o femmina. Non aveva voluto pubblicare le foto che aveva fatto a loro, non cercava uno scoop. Il libro che ne è sortito poi per volontà di un amico è circolato clandestinamente. Un successo nato quasi per accidente. Ma mai nulla avviene per caso.

E poi la scelta di lasciare tutto per fondare un ashram in Puglia, a Cisternino, come le aveva richiesto il suo maestro Babaji, incontrato in India a Jaipur, come se la fotografia e le altre vite di prima fossero state un apprendistato al servizio verso gli altri, un percorso teso a cogliere la spiritualità dell’umanità e la verità della vita delle persone.

Fino alla scelta del silenzio. E Anna le chiede: Lisetta cos’è per te il silenzio?

E in fondo è una domanda che si riverbera in chi legge e ciascuno potrà tentare di dare una risposta, accettando il dialogo che Anna ha intessuto con amicizia e amore, sedimentando un altro segmento di quel prezioso archivio di parole e sguardi di donne sul mondo.

Con amore e con amicizia. Lisetta Carmi
è uno dei primi tre volumi usciti per la collana Oilà, Electa Editore, curata da Chiara Alessi, che presenta le storie di protagoniste del Novecento. Figure femminili che si sono distinte in rapporto a discipline e mestieri ritenuti da sempre parte dell’universo maschile. I libri, pensati per essere letti ad alta voce dall’inizio alla fine in quarantacinque minuti – un viaggio breve – , sono racconti di persone condotti attraverso una lente speciale sulle loro biografie, i lavori, i fatti privati e i risultati pubblici. Il progetto grafico è a cura dello Studio Sonnoli.

 

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