
di Christian Raimo
Dal 24 giugno a oggi 6 settembre sulla cronaca di Roma del Messaggero sono stati pubblicati una quarantina di articoli contro i tram: una media quasi quotidiana, ma alcuni giorni i pezzi sono stati un paio. Fino al 23 giugno gli articoli sui tram di Roma sul Messaggero erano simili a quelli prevedibili di qualunque altro giornale: lo sciopero del trasporto pubblico, la deviazione del percorso, l’accoltellamento di un pazzo salito a bordo, l’incidente di Ciro Immobile…
Il 24 giugno esce il primo pezzo singolare e seminale: i commercianti di via Nazionale e il presidente di Confcommercio Pier Andrea Chevallard sono contro il tram che dovrebbe collegare Termini e Aurelio, previsto per il Giubileo. I tempi di realizzazione rischiano di essere troppo lunghi e il commercio potrebbe risentirne. Il secondo pezzo arriva il 30 giugno, viene data voce all’esperto, Guido Gentile ordinario di Pianificazione dei Trasporti all’Università La Sapienza, che sostiene che i tram vanno bene per Roma, e ci vogliono le metropolitane.
Ci si comincia a chiedere il perché di questa ostilità ai tram. Effettivamente il gruppo Caltagirone, proprietario del Messaggero, è anche a capo di Vianini, una delle società che hanno l’appalto della costruzione della Metro C, e potrebbe averlo di altre linee. È questa la ragione?
Comunque per il Messaggero la campagna è appena iniziata: l’8 luglio esce il terzo pezzo, il primo per cui i residenti di Roma per il Messaggero sono esasperati dal passaggio dei tram. Si parla di un problema che nessuno ha mai riscontrato: l’insofferenza degli abitanti del Flaminio nei confronti del tram. “È davvero un disastro. È difficile pure dormire. […] Ora persino il letto vibra quando passa il tram. E siamo pure su un rettilineo». Giovanna è un fiume in piena. Esce dalla tintoria a viale Pinturicchio e del tram non vuol nemmeno sentir parlare. Insieme a Giovanna c’è la sua amica Laura: «I tecnici venissero a stare una settimana qui: vibra tutto, il letto, i bicchieri, il lampadario, le bottiglie, le pentole, gli arredi in salotto».”
Il 12 luglio nel quarto pezzo anti-tram si torna a via Nazionale, dove dovrebbe passare il nuovo tram Termini-Aurelio. Si dice che ci sono luoghi storici “come palazzo Bonaparte e palazzo Grazioli, che tutto il mondo fotografa. Potranno essere minati da un tram”. Si intervistano due residenti che hanno casa anche a Flaminio dove sono infastiditi dal rumore, si comincia a sondare se gli archeologi hanno qualche perplessità.
Il quinto pezzo interpella i residenti di ponte Matteotti, “che non ne possono più del tram”: in realtà a essere intervistato è solo un signore 83enne, rappresentante solo di sé stesso, che tuona contro il 2 e il 19; nel pezzo si rievoca l’incidente di Ciro Immobile e le rotaie potenzialmente assassine.
Sesto pezzo il 14 luglio, che inizia così: “Sul tram la maggioranza in Campidoglio si spacca. E la frattura fa rumore, proprio come i binari del tram quando il mezzo sferraglia”. Stiamo di nuovo parlando di via Nazionale: ora a intestarsi la crociata contro il tram Termini-Aurelio sono di nuovo i commercianti, nello specifico il presidente di Federmoda Massimo Bertoni, proprietario di un negozio su via Nazionale che non vuole perdere clienti con i lavori dei prossimi anni, ma anche un paio di consiglieri comunali su cui evidentemente questo lobbysmo anti-tram del Messaggero comincia a fare presa. Sono Giorgio Trabucco, capogruppo della Lista civica Gualtieri, e il presidente della commissione Urbanistica Tommaso Amodeo. Che provenienza ha la lista civica Gualtieri? Raccoglie un’area di centro, e ha espresso l’intraprendentissimo come assessore al turismo Alessandro Onorato, che ha militato con Alfio Marchini dal 2013, e che tra Calenda e Gualtieri ha scelto il secondo alle ultime elezioni. Molto attivo nella comunicazione, Onorato sui tram – compreso quello di via Nazionale – è silenzioso. Non come i tram!, verrebbe da dire.
Il giorno dopo, 15 luglio, un altro pezzo, il settimo, sui tram a Centocelle: vengono intervistati tre anziani, un po’ nostalgici un po’ insofferenti: “«Quelli di una volta erano carini, coi sedili in legno e lo spazio per il bigliettaio», gli ricorda Piero, «ma quelli di adesso di romantico non hanno nulla». «Sì ma a parte il romanticismo, la verità è che è un mezzo di trasporto che si basa su un’idea vecchia ed è inefficiente: quante volte si blocca la linea per un ramo che cade oppure per un piccolo incidente?» rilancia il terzo della comitiva, Paolo”.
16 luglio, il giorno dopo, ottavo pezzo, compare per la prima volta la definizione di “No tram”. Il Messaggero riesce a scovare una famiglia che si definisce “no tram”. Sono due residenti di Flaminio: “«Vorremmo tanto essere una famiglia “detrammizzata”. Tantissime persone soffrono come noi. Basti pensare che l’intero caseggiato ha circa 300 famiglie. Sicuramente ad affacciarsi qui, come noi, sono circa 150»”. Passa ormai l’idea che a Roma ci siano moltissime persone che “soffrono per lo sferragliamento” o che sono “vittime del caos che fa il tram ogni volta che passa”. In Campidoglio questa campagna comincia a funzionare, con risposta bipartisan: dopo la lista Gualtieri, si espone anche un consigliere di Fratelli d’Italia, Federico Rocca, che dice che il futuro è delle metro, non dei tram.
Il 20 luglio esce il nono pezzo anti-tram, viene data la parola a un nuovo esperto, Ezio Rendina, ingegnere indipendente esperto di impatto acustico, che spiega perché i tram a Roma vanno eliminati (troppo pesanti, rischiano di bucare il suolo; e troppo strette le rotaie, fanno rumore nelle curve). Nell’articolo si parla di un conflitto aperto: “Roma è ostaggio di quella che i residenti (ormai sul piede di guerra e che hanno presentato anche esposti alla Procura della Repubblica) hanno definito lobby tranviaria che continua a proporre questi mezzi come parte della “cura del ferro” per la mobilità cittadina”. E alla fine si dà voce anche al presidente della Società italiana di neuropsicofarmacologia, Claudio Mencacci, che parla degli effetti degli eccessi del rumore sia a livello psichico (con l’aumento di ansia e di stress), sia fisico (con effetti anche sull’apparato cardiovascolare).
Il 3 agosto escono ben tre pezzi (saltiamo quelli sulle lamentele dei viaggiatori per la mancanza di aria condizionata sui tram), una specie di dossier: il decimo prende spunto da un deragliamento del 3 a San Lorenzo per ribadire che i vagoni sono vecchi e inadeguati e che il tram è in sé un mezzo del passato, e che ci vorrebbe una metropolitana come a Londra e a Parigi; l’undicesimo rintuzza su via Nazionale: contro i tram vengono arruolati Giuseppe Roscioli, capo di Federalberghi, e l’imprenditore David Hayon, che insieme al suo socio Cesare Toffolon, gestisce su via Nazionale del The Flann O’Brien, che parlano di incubo e di inferno per l’idea di un tram che passi sulla strada; il dodicesimo dà voce ai turisti nei b&b e ai residenti di viale Regina Margherita (tram 3 e 19): dicono che non riescono a dormire, che si svegliano con le vibrazioni, tutta colpa del tram, auspicano altri mezzi non di superficie. “Cambiano le strade, non la sostanza”, sentenzia il pezzo.
Il 5 agosto c’è un pezzo, il tredicesimo, che s’inoltra nella campagna anti-tram, sfidando davvero la vox populi. Da mesi il tram 8 Casaletto-Torre Argentina – una linea strategia del trasporto pubblico romano – è fermo per manutenzione, ma questo per il Messaggero non causa disagi, anzi. “A Monteverde da quando il passaggio del tram 8 si è interrotto per dare modo di aprire il grande cantiere per il rifacimento della massicciata e dei binari ormai deteriorati, sulla Gianicolense le orecchie dei residenti riposano”.
Il giorno, il 6 agosto, il quattordicesimo pezzo anti-tram, è ancora un articolo su chi “non si lamenta” perché l’8 è bloccato dai lavori in ritardo. “Quando riprenderanno a circolare i tram sarà di nuovo un inferno – sottolinea Vittoria, impiegata in un ufficio di via Arenula”.
La produzione di pezzi anti-tram del Messaggero comincia a essere praticamente quotidiana: l’8 agosto, nel quindicesimo pezzo, è la volta di Umberto Broccoli, ex volto noto Rai, ex soprintendente, che, intervistato, liquida così il progetto di tram di via Nazionale: “«Non voglio arrivare ad usare l’espressione “stupro” di via Nazionale perché purtroppo lo stupro è una cosa serissima. Ma tanto più che quest’opera non sarà mai realizzata tutta per il Giubileo e per tutta intendo fino al Vaticano ma, al massimo, arriverà a piazza Venezia, ecco, io penso che si debba assolutamente rimettere mano al progetto”.
Il giorno dopo, il 9 agosto, esce il sedicesimo pezzo, e ormai gli abitanti intervistati ringraziano il Messaggero: “Giovanna, passeggino con bambino al seguito, fuori dal supermercato Penny: «Il tram lo uso e anche tanto. Ma voi del Messaggero avete ragione: è un mezzo vecchio proprio come concetto»”; “«Ho letto la vostra inchiesta. Solo a Centocelle ci vivono quasi 55mila persone. È ora di dotare questo quartiere di una metropolitana non di un mezzo che ha più di 100 anni come concezione. Con buona pace di tutta quella sfilza di lobbisti pro tram di questa sinistra. Checché ne dicano loro, vogliamo un sistema di trasporto pubblico moderno», chiosa così Vincenzo, operaio, a largo Delpino”.
Il 10 agosto, il diciassettesimo pezzo: nulla di particolarmente nuovo. A essere intervistati sono esercenti e abitanti che gravitano tra piazza Vittorio e Termini (i tram che passano lì sono il 5 e il 14). Dicono che praticamente il tram gli arriva addosso e che il rumore è insostenibile: “Abbiamo i vagoni in casa”, titola il pezzo.
L’11 agosto, il diciottesimo pezzo, si torna su via Nazionale, con un altro esperto Giuseppe Brando, professore di “Tecnica delle Costruzioni” e di “Costruzioni metalliche” alla Facoltà di Ingegneria dell’Università di Chieti. Il titolo gli fa dire che il progetto è sbagliato, mentre in realtà nel pezzo Brando esprime alcuni rilievi e chiede attenzione nella progettazione vicino al mercato traianeo.
Nel diciannovesimo pezzo si riporta il parere della sovrintendente Daniela Porro – il Messaggero è l’unico giornale a farlo – che avrebbe sottolineato un altissimo rischio per i monumenti vicino via Nazionale.
Il ventesimo pezzo – siamo arrivati a Ferragosto – riporta che i residenti dei dintorni di Termini hanno cominciato a raccogliere firme contro i tram: “La verità – dice Antonio, ex dipendente comunale – è che il tram è un mezzo vecchio, di fine ‘800, quando le esigenze di mobilità erano decisamente diverse da oggi”.
Il 17 agosto viene pubblicato il ventunesimo pezzo dedicato all’8, in cui si parla dell’ira degli abitanti, che pregano che i lavori di manutenzione non finiscano mai e che restino le navette sostitutive dei tram: fragore, stridio insopportabile sono molto peggio dello smog.
Il giorno dopo il 18 agosto, il ventiduesimo pezzo, l’ira è quella dei residenti di viale Liegi, che ce l’hanno con il 19 e il 2, perché lo sferragliamento e lo stridio raggiungono “livelli insopportabili”; viene intervistata una coppia – “Annarita e il marito” – che dicono di aver dovuto rifatto lavori a casa perché le vibrazioni continue avevano lesionato pareti di casa loro con delle crepe.
Il 19 agosto discetta contro i tram un altro professore nel ventitreesimo pezzo: Bruno Della Chiara, del Politecnico di Torino, che sostiene che il tram è un mezzo ottocentesco, “i tram non hanno mai avuto successo dove erano presenti metropolitane classiche”.
La campagna si martellante: 20 agosto, ventiquattresimo pezzo. Confcommercio di Roma si schiera contro il tram di via Nazionale, il direttore Romolo Guasco: “Noi mettiamo in discussione questo tram che taglia in due la città. Soprattutto nel tratto in cui fra Termini e il Vaticano attraversa il centro”.
Venticinquesimo pezzo il 21 agosto: viene ripristinata la funzionalità normale del 2 (c’erano stati lavori di manutenzione anche lì) ed è come se fosse tornato l’inferno. “«Vedi», dice Pierpaolo il terzo della comitiva che si dirige, sciarpetta al collo all’Olimpico, «Il fatto è che quando sono le quattro e mezza di mattina il rumore è l’equivalente di una cannonata»”.
Il 22 agosto esce il ventiseiesimo pezzo in cui si dice che il tram di via Nazionale non sarà mai pronto per il Giubileo, gli scavi porteranno a ritardi continui per il rinvenimento di reperti. Forse si potrebbe direttamente accantonare il progetto.
Fare una linea tram a via Nazionale è pericoloso, viene detto nel ventisettesimo pezzo, le rotaie si consumano e il rischio incidente è dietro l’angolo: a sostenere questa tesi sono ancora i residenti del quartiere Esquilino e Termini, che ne sanno qualcosa perché da decenni convivono con i binari del 5 e del 14.
Nel ventottesimo pezzo viene intervistato nuovamente il proprietario di un negozio su via Nazionale e presidente di Federmoda, Massimo Bertoni (avevamo sentito la sua voce anche nel sesto pezzo), che dopo un mese e mezzo non ha cambiato ovviamente idea. A lui si aggiunge Valter Giammaria, presidente di Confesercenti «Noi siamo assolutamente contrari all’opera in sé che riteniamo sbagliata come soluzione di mobilità: fallita dove è stata riproposta. E assolutamente non possiamo permetterci di avere un cantiere che rimane aperto per anni. Bisogna smettere con i progetti che calano dall’alto in nome di ragioni politiche e ideologiche e che non tengono in alcun conto le realtà imprenditoriali e produttive e i residenti»”. Insieme a loro due viene intervista anche Franco, un residente qualunque: “Noi il tram non lo vogliamo: non vogliamo le vibrazioni, le frenate stridule». «E le promesse del Comune che questo tram sarà diverso, che sarà silenzioso. Ma pensano che abbiamo l’anello al naso?”.
Il 26 agosto un altro ritorno, nel ventinovesimo pezzo: quello del presidente di Federalberghi Giuseppe Roscioli – già sentito nell’undicesimo pezzo. È più apocalittico di un mese prima. È sicuro che l’impatto del tram di via Nazionale sarà devastante: “Saremo murati vivi, perderemo i nostri clienti”.
Il giorno dopo, nel trentesimo pezzo, è il turno della Confartigianato contro “la lobby tranviaria”: si chiede di sospendere i lavori; Romolo Guasco, presidente di Confcommercio (già sentito nel ventiquattesimo pezzo) ripete l’allarme per un tram che taglierebbe in due la città.
Trentunesimo pezzo, di nuovo la voce ai cittadini, questa volta San Lorenzo: “Rebecca esce dal forno, con un cagnolino al guinzaglio: «Che le devo dire? Qui vibra tutto. Passa il tram e stride in curva, frena, accelera in mezzo a sobbalzi e tintinnio di ogni cosa». «Io non capisco questa lobby di sinistra che il tram lo difende a spada tratta: si rompe ogni tre per due, quando è pieno è stracolmo oppure gira vuoto. Fa rumore in curva, causa lesioni ai palazzi più vecchi, vibrazioni del letto, dei mobili, dei bicchieri. Ci sveglia all’alba. Dire che è un mezzo che non è più funzionale a Roma non è mica un delitto capitale», aggiunge Mirko, studente fuori sede che abita in via dei Reti”.
Il 30 agosto escono due pezzi, il trentaduesimo e il trentatreesimo. In uno viene detto che l’allarme è ormai generalizzato. “Da Centocelle a piazza Ungheria, da Termini a viale di Trastevere il tram è democratico: danneggia i palazzi della periferia e delle zone di pregio, disturba i sonni di tutti. Per avvalorare questa tesi si dà la parola a Annarita che “vive proprio sopra il curvone di piazza Ungheria”, che dice «Qui abbiamo dovuto rifare le case visto che il tram ha aperto le crepe nei muri». Un dubbio viene al lettore: sarà la stessa Annarita di “Annarita e il marito” del ventiduesimo pezzo? Ma non c’è solo Annarita, sembra ribadire il Messaggero, ma anche il direttore del museo etrusco di Villa Giulia, che però dice che ha realizzato una pedana antisismica. Nell’altro pezzo, ecco i tassisti, anche loro sul piede di guerra: “«Opera sbagliata», «investimento stratosferico», «caos assicurato», «corse perse», «tutti in fila dietro il tram come una lunga “processionaria», sono i virgolettati raccolti. A essere intervistati sono il rappresentante dell’Ugl e Federico Bittarelli del 3570. Nel pezzo viene riassunta la composizione del fronte anti-tram: “Dopo Confcommercio Roma, Confesercenti, Federmoda, Federalberghi e Botteghe storiche, si uniscono al coro del no anche le auto bianche”. A cui si aggiunge anche l’ex comandande dei vigili urbani Antonio Di Maggio nel trentaquattresimo pezzo, in cui ritroviamo anche Valter Giammaria, presidente di Confesercenti, già visto nel ventottesimo pezzo e sempre più tranchant: «Via IV Novembre rischia di essere una trappola infernale». Anche il due settembre c’è una doppietta.
Nel trentacinquesimo pezzo e nel trentaseiesimo pezzo ancora vox populi. Nel primo c’è San Giovanni contro il 3, per cui si stanno facendo dei lavori, ma poi tutto ricomincerà, e quello snodo di via Carlo Felice tornerà a essere “la curva dell’inferno”. Nel secondo Ottaviano contro il 19: “Perché qui, nel cuore di Prati, passa il famigerato 19, perfetto paradigma dell’ubriacatura ideologica di una certa sinistra filotramviaria”.
Nel trentasettesimo pezzo altre voci, stavolta dalla zona del Colosseo, che sperano che i lavori di ripristino del tram non finiscano, “a testimonianza di quanto sia molesto il passaggio di un mezzo amato solo dalla lobby filotranviaria di sinistra”.
Nel trentottesimo pezzo, il 5 settembre, vengono intervistati negozianti vicino a Termini, increduli e allarmati dal progetto di via Nazionale: “«Via Einaudi diventerà un caos per il traffico e noi saremo completamente tagliati fuori dal tram che diventerà un Muro di Berlino per chi lavora qui: da una parte i binari, dall’altra il nulla», chiude Federico, il barista”.
Nel trentanovesimo pezzo si torna un po’ dovunque, ritroviamo varie voci che avevamo ascoltato, per esempio a viale Regina Margherita Mario l’edicolante, che spolvera i suoi giornali dalla polvere di ferro alzata dai tram. Ma la battaglia è ormai chiara, da Parioli fino a Roma sud: “I residenti della zona di San Giovanni una cosa hanno notato in tutto questo periodo: la fine (seppur momentanea) del gran trambusto di un mezzo di trasporto che nella Capitale è stato sostenuto da una certa lobby tranviaria guidata e sostenuta da una parte della sinistra”.
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Il Messaggero, ed il suo padrone, non è nuovo a questi sistemi. Basta ricordare cosa fece dal giorno successivo all’elezione di Ignazio Marino a sindaco dopo che la giunta aveva bloccato il così detto piano di sviluppo di Tor Marancia i cui terreni erano di Caltagirone. Adesso la storia si ripete con questa folle opposizione allo sviluppo delle linee tranviarie dove il sig Caltagirone non può fare affari. È quanto mai necessario che sindaco giunta e consiglieri facciano politica parlando e incontrando i cittadini per spiegare e far conoscere il progetto e i benefici. Ultima cosa: abito a Gregorio VII sopra quella che dovrà essere la sede tranviaria
Oggi è stata presa di mira la linea 2, che collega piazza Mancini con Piazzale Flaminio. Glielo dice qualcuno a questi del Messaggero che anche chi abita sopra le metropolitane si lamenta di rumori e vibrazioni?