Si terrà a Pesaro, dal 1 al 3 luglio, la XI edizione di Popsophia 2021, il festival nazionale della Filosofia del Contemporaneo. Paradisi artificiali, questo il tema, in omaggio a Charles Baudelaire, nel duecentesimo anniversario della nascita. Ma questa non sarà l’unica ricorrenza celebrata dall’appuntamento: la giornata del 3 luglio sarà interamente dedicata alla filosofia di Jim Morrison in occasione del cinquantesimo anno dalla morte del poeta simbolista e performer.

Un’edizione dedicata al racconto delle estasi e dei risvegli del giorno dopo, il ritorno alla normalità dopo le ebbrezze del sogno. Tra gli ospiti che animeranno le tre giornate – condotte con lo storico format del philoshow, a cura dall’ensemble musicale Factory – anche il filosofo Davide Sisto che, nella serata del 2 luglio, interverrà sul tema dei paradisi artificiali nella realtà virtuale. Qui di seguito un’anticipazione del suo intervento. Tutto il programma è disponibile su www.popsophia.com.

HEAVEN IS NOT A PLACE ON EARTH. Il paradiso della realtà virtuale

di Davide Sisto

Los Angeles, 2033. Una donna entra in un’agenzia dal nome alquanto peculiare, “Aftertravel – The Best in Digital Life Extensions”, e consegna al direttore una specie di hard disk esterno contenente i dati digitali di cui è composto l’avatar del figlio morto, Nathan. L’agenzia, infatti, offre un’ampia varietà di paradisi virtuali all’interno di cui si può soggiornare – a pagamento – per sempre: da una versione di Facebook in stile Las Vegas, del tutto personalizzata visto che la creatura di Zuckerberg conserva ogni dato dei suoi utenti, a una versione di Instagram in stile safari, la cui risoluzione – tuttavia – è pessima. La donna desidera la migliore estensione della vita digitale post mortem per l’avatar di Nathan, dopo che egli ha espresso la decisione di lasciare il Lakeview, il paradiso virtuale di proprietà della Horizen Society in cui era stato uploadato a morte avvenuta. L’abbandono, alla fine solo momentaneo, dello splendido hotel offerto da Lakeview è la conseguenza diretta di una delusione d’amore: l’avatar di Nathan pensa, infatti, che il suo sentimento non sia corrisposto dall’avatar del suo “angelo custode”, Nora, la quale gestisce da viva il legame con l’aldilà dagli uffici della Horizen Society, ubicati a New York, tramite un visore di realtà virtuale. Chissà, poi, cosa direbbe Ingrid, la fidanzata del Nathan ante mortem, che è in eterno contatto con il suo avatar tramite un semplice smartphone, finanziando da Los Angeles la sua permanenza eterna a Lakeview.

L’ottavo episodio – “Comprare altre realtà ultraterrene digitali” – di Upload, popolare serie tv di Amazon Prime, attualizza in termini ironici e disimpegnati le apocalittiche previsioni futuristiche cyberpunk anni ’80, traducendo nella finzione due domande che molti appassionati di tecnologie digitali si stanno ponendo seriamente: sarà possibile vivere per sempre, trasformando i propri dati digitali – registrati e condivisi online – in un avatar eterno, all’interno di un paradiso virtuale? E cosa succederebbe se si potesse incontrare un proprio parente deceduto in un simile paradiso? “Forse è davvero il Paradiso. Ho visto Nayeon, che mi ha chiamata, mi ha sorriso, è stato molto breve ma è stato un bel momento. Penso di aver vissuto il sogno che ho sempre voluto. Spero che tante persone si ricordino di Nayeon dopo aver visto lo show”. Questa è la risposta data implicitamente alle due domande da Jang Ji-sung, la donna sudcoreana che ha incontrato tramite la realtà virtuale la figlia Nayeon, morta nel 2016 a sette anni a causa di un tumore. L’“incontro”, testimoniato dal documentario I Met You e trasmesso in televisione il 6 febbraio 2020, è il risultato di otto mesi di lavoro condotto dall’emittente sudcoreana MBC. Innanzitutto, sono state ricostruite gradualmente le fattezze e la voce di Nayeon, a partire dalle fotografie e dai documenti audiovisivi che l’hanno immortalata nel corso della sua breve vita. In secondo luogo, è stata sottoposta un’altra bambina della stessa età a più sessioni di motion capture per rendere realistici i movimenti dell’avatar. Infine, è stato creato il paradiso virtuale per l’incontro tra la madre e la figlia: un parco colmo di vegetazione e illuminato da un cielo azzurro, pieno di nuvole bianche. Inserito l’avatar di Nayeon nel paradiso virtuale, una volta integrate insieme le sue personali memorie digitali e le movenze dell’altra bambina sottopostasi al progetto, Jang Ji-sung ha indossato un visore per immergersi a sua volta in questo luogo particolare. Il documentario sovrappone costantemente la presenza “fisica” della madre nell’asettico studio di registrazione alla sua presenza “virtuale” nel mondo creato a tavolino. La gestualità, le lacrime e le urla di gioia della donna evidenziano la piena “presenza psicologica” che – secondo Jeremy Bailenson, direttore del Virtual Human Interaction Lab in California – dovrebbe rappresentare la caratteristica fondamentale della realtà virtuale, annullando la distanza tra il mondo reale e quello virtuale.

Rest in pixels. Il paradiso virtuale in cui è collocata la riproduzione digitale di Nayeon è, per ora, il punto di arrivo di un lungo percorso di progressi tecnologici che cercano, più o meno autenticamente, di realizzare quell’immortalità immanente a cui aspirano molti esseri umani. Già nel 1995, quando internet era in una versione decisamente rudimentale, Mike Kibbee aveva creato il World Wide Cemetery, sito di incontro tra i morti e i loro conoscenti, i quali lasciavano commenti e fiori all’interno di un luogo scenograficamente molto più simile all’idea che abbiamo del paradiso che al semplice cimitero. Oppure, nei primi anni Duemila, non sono pochi coloro che hanno sorriso guardando lo strampalato social network Line for Heaven: aperto ai credenti di ogni tipo di religione, Line for Heaven dava la possibilità ai suoi utenti di raggiungere il Paradiso e di occupare – addirittura – un posto accanto a Dio. Bastava accumulare il numero più alto di punti karma, tramite la confessione dei propri peccati e delle buone azioni compiute. Certo, se si convincevano anche altri amici a unirsi nel percorso verso la santità dentro Line For Heaven, stile “porta un amico in Vodafone”, i punti guadagnati aumentavano spropositatamente. La santità era, in altre parole, per Line for Heaven la conformità completa della volontà alla legge digitale, con buona pace di Kant.

A parte gli scherzi, l’atavica paura della morte e il dolore lancinante per la perdita intercettano le caratteristiche dell’attuale mondo “onlife”, in cui non ha più senso separare una dimensione offline da una online. Come osservano correttamente Margaret Gibson e Clarissa Carden, nel libro Living and Dying in a Virtual World, dedicato a Second Life, e Patrick Stokes, nel recente Digital Souls, i prolungamenti delle nostre identità nel mondo online sono sempre più simili a particolari forme di “carne digitale” (Digital Flesh). Flesh, parente stretto del tedesco Fleish, non indica tanto la presenza corporea quanto quella carnale nella realtà digitale: accumuliamo, infatti, al suo interno connessioni, memorie, investimenti emotivi e temporali che, nel corso del tempo, aumentano la vulnerabilità della nostra identità sociale, culturale ed esistenziale. Attraverso la perdita e il lutto, secondo Gibson e Carden, diventano limpide le prerogative autentiche di questa carne digitale, vulnerabile, soffice e non del tutto decomponibile. Ecco, quindi, la speranza di poter ritagliarci un angolo di paradiso, seppur solo virtuale, all’interno della Rete, usando i dati registrati online per incontrare, parlare e sfiorare le persone che abbiamo amato o, in alternativa, per limitare la paura di scomparire nel nulla, una volta deceduti. Certo, questo tipo di paradiso immanente, che rende eterno il dialogo “attivo” tra i vivi e i morti, è alquanto pericoloso: impossibile può diventare l’elaborazione del lutto, a causa della confusione tra la rappresentazione solo virtuale del morto e la sua presenza corporea. Ne segue il rischio di una dipendenza che vanifica il ruolo salubre delle ritualità funebri: obnubilato il significato positivo della rottura tra il mondo terminato (vissuto insieme alla persona deceduta) e il nuovo mondo (vissuto senza la persona deceduta), si rimane prigionieri dei ricordi e della sofferenza per l’assenza di un legame che è venuto fisicamente a mancare. Per tale ragione, è utile tenere a mente le parole di Jang Ji-sung, una volta terminato l’esperimento di I Met You: la donna ha vissuto questa esperienza come la momentanea evasione all’interno della rappresentazione teatrale del suo paradiso personale o, in alternativa, come la breve fuga nel suo ricorrente sogno, quello in cui incontra e parla con la propria bambina morta. Nulla di tutto ciò ha che vedere con l’immaginaria vita post mortem di Nathan in Lakeview, a meno che non si interpreti il suo avatar come una persona diversa: fermatosi definitivamente il tempo per il Nathan in carne e ossa, il suo avatar può emanciparsi liberamente da lui, cominciando a colmare – forse – i rimpianti della sua precedente vita. Che sia questa una chiave di lettura convincente del desiderio di un paradiso virtuale in cui far sopravvivere per sempre i nostri dati online?

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