Riot police in Tor Sapienza

(fonte immagine)

E così nel pomeriggio del 9 giugno, in piazza Santi Apostoli[1], i tre sindacati uniti convocano una Fiaccolata per la legalità, dopo la seconda ondata di arresti per “Mafia Capitale”. Non esattamente una folla oceanica. Dal palco parlano i tre segretari regionali di Cgil, Cisl e Uil, preceduti da una compilation registrata di cantautori di ogni tempo. Parole che si perdono nell’afa. Sul finire della manifestazione arriva il sindaco, Ignazio Marino, scortato da mezza giunta. La scena accelera rapidamente. Boati di fischi, qualche applauso, le urla “vattene” o “dimissioni”, soprattutto da gruppi di lavoratori coinvolti in vertenze varie. Il gruppo-sindaco-fotografi scivola prima dal fondo verso il centro, sottopalco, poi devia a sinistra, quindi imbocca una viuzza laterale, proprio mentre gli altoparlanti diffondono i rullanti che aprono “La canzone popolare” di Ivano Fossati. Nel frattempo volano insulti tra pro-sindaco e anti-sindaco. Si accendono le fiaccole, una ventina, nel cielo ancora luminoso delle sette. La piccola folla si disperde.

È come se negli ultimi mesi i grovigli che covavano sottotraccia nella città  si fossero dati appuntamento, tutti insieme, per uscire allo scoperto. È come se si fosse riaperto – seppure in una forma a volte farsesca – l’abisso immaginato da Nathaniel Hawthorne nel Fauno di marmo: «Senza dubbio», disse Kenyon battendo il piede con fermezza, «questo è il punto esatto dove si aprì l’abisso in cui Curzio si gettò insieme al suo nobile destriero. Immaginate il grande squarcio buio, d’insondabile profondità, i mostri informi e gli orridi volti che indistinti si intravedono sul fondo, con grande spavento dei buoni cittadini che spiavano dall’orlo! Ecco, questo è un buon soggetto a cui finora non si è mai pensato, per una storia sinistra e orrorosa, e forse, con una morale profonda come la stessa voragine. Al suo interno, è fuor di dubbio, c’erano delle visioni profetiche – preannunzio di tutte le future calamità di Roma – ombre di Goti e di Galli e persino dei soldati francesi di oggi. Fu un peccato richiuderla così presto! Darei non so cosa per dare un’occhiata in quell’abisso».

Il 4 dicembre 2014 i carabinieri del Ros arrestano Massimo Carminati  a bordo della sua Smart in una strada di campagna a Sacrofano, accendendo i riflettori su “Mafia Capitale”. Anche grazie alla pomposità metonimica dell’operazione, Mafia Capitale diventa nei mesi successivi la porta dell’abisso che sembra inghiottire la città, dalla stazione di servizio in corso Francia, presunto quartier generale di Carminati, fino ai piedi del Marco Aurelio in Campidoglio, le cui mura tremano sotto i colpi delle intercettazioni, degli arresti e dei sospetti. Qualcuno sostiene che l’operazione sia tutta fuffa (“roba da stracciaculi e giudici intrufolini”: è la posizione del Foglio), altri che sia l’ennesima e non ultima tappa di una nazione endemicamente corrotta, i partiti di opposizione fiutano l’occasione di cavalcare il mostro. Ma non si ferma a Mafia Capitale quello che sta vivendo questa Roma immortalata tra la fine del 2014 e i primi sei mesi del 2015.

A febbraio viene fuori la cosiddetta “Affittopoli” : appartamenti sparsi in tutta la città, centro compreso, affittati da anni a canoni fissi e irrisori, con perdite per il Comune di milioni di euro tra evasione e mancati incassi. Sempre a febbraio, a cavallo della partita di Europa League tra Roma e Feyenoord, centinaia di ultrà olandesi si danno appuntamento in pieno centro. Scontri con la polizia, scene di guerriglia tra piazza di Spagna e Campo de’ Fiori. La fontana della Barcaccia imbrattata e colma di bottiglie diventa immediatamente un simbolo – un altro, per una città che ne ha fin troppi. Il mese si chiude con la discesa nella Capitale di Matteo Salvini, accolto dai camerati di Casapound in piazza del Popolo. Le bandiere verdi della Lega che si vedono dal Pincio erano inimmaginabili fino a qualche anno fa, ma nel complesso la manifestazione non sfonda, e nelle stesse ore un ben più nutrito corteo, “MaiConSalvini”, sfila per le strade della città.

Se Lega e neofascisti hanno visto in Roma un’opportunità di propaganda, è perché come e più di altre città italiane la questione dell’immigrazione e delle periferie esasperate ha rappresentato durante questi mesi un altro fronte in ebollizione, probabilmente il più rumoroso e redditizio in termini di consenso elettorale. Nel novembre scorso brucia Tor Sapienza, quartiere periferico che ospita un centro d’accoglienza – poco tempo prima era toccato al quartiere di Corcolle. Bruciano i cassonetti, monta (o viene montata?) la protesta – si diffonde la voce di un nuovo centro – si rivede l’ex sindaco Gianni Alemanno.  Il 27 maggio un’automobile travolge nove passanti nel quartiere di Primavalle, ancora periferia, uccidendo una donna e ferendo altre otto persone. A bordo della macchina ci sono tre residenti in un campo nomadi sull’Aurelia. Il mattino dopo, il titolo del «Tempo» è “Saluti da Rom”.

Poi, a intorpidire ulteriormente l’aria di una città già depressa, ci sono gli sgomberi e la chiusura dei locali storici, affondati da altri nodi irrisolti che si trascinavano da anni. Il 16 marzo vengono messi i sigilli al Circolo degli artisti, spazio che negli anni ha ospitato decine di concerti, mostre, tante serate di banale divertimento («Il punto è che al Circolo ci va tanta gente diversa. È così grande e misterioso che mi verrebbe di paragonarlo a una spiaggia. Ognuno si diverte a modo suo e per conto suo», ha scritto Francesco Pacifico all’indomani del sequestro del locale). A inizio maggio la polizia con un blitz sgombera lo Scup, un centro sociale che dal 2012 ospitava una palestra popolare, una biblioteca, una cucina economica, una ludoteca per i bambini.

In giro, nei discorsi e nelle chiacchiere che si fanno – ogni giorno ne viene fuori una! –  si tende a vivere tutto questo con rassegnazione (“che ci vuoi fare?”). I più ottimisti confidano in tempi migliori, in una rinascita a breve, ma è pura professione di fede. Nei confronti del sindaco si oscilla tra l’autentico odio politico e la compassione umana per chi si è ritrovato a governare in una delle fasi storiche più delicate degli ultimi trent’anni. Di certo, di fronte a tutto questo, la piazza dei sindacati semivuota e i fischi al suo indirizzo sembrano riflettere l’immagine di questa rabbia/rassegnazione; e il 2015 è ancora lungo.

 

 

 

 

 

 

 


[1] La piazza delle “vittorie” del centrosinistra dai tempi del bipolarismo. Autenticamente festosa quella celebrata nel 1996, quando il neonato Ulivo sconfisse il centrodestra. Grottesco-surreale  il raduno notturno nel 2006, quando l’Unione vinse alla Camera per poche migliaia di voti.

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gavroche1983@yahoo.it

Liborio Conca è nato in provincia di Bari nell'agosto del 1983. Vive a Roma. Collabora con diverse riviste; ha curato per anni la rubrica Re: Books per Il Mucchio Selvaggio. Nel 2018 è uscito il suo primo libro, Rock Lit. Redattore di minima&moralia.

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