“Il montaggio è uno dei più importanti e affascinanti mestieri del cinema, ma anche tra i meno raccontati e compresi. Montatrici e montatori sono tipicamente restii alle luci della ribalta e affetti dalla solitudine del maratoneta, ma sarà proprio come vuole lo stereotipo o in realtà si scopriranno dei gran chiacchieroni?”
Si presenta così Montatori Anonimi, il podcast realizzato a partire dallo scorso gennaio da Gabriele Borghi, Pierpaolo Filomeno e Beppe Leonetti. Tre colleghi montatori che, vista la sostanziale assenza di approfondimento e racconto di questo mestiere, a un certo punto si sono chiesti: e se iniziassimo noi a parlarne?
Quando chiudiamo l’intervista con Gabriele, Pierpaolo e Beppe, Montatori Anonimi è arrivato alla sesta puntata. Dopo un primo, interessante episodio di riscaldamento (da ascoltare assolutamente se si è morettiani, nel senso di Nanni Moretti), il podcast ha ospitato Aline Hervé, Francesco Fabbri, Enrica Gatto, Enrico Giovannone e Annalisa Forgione.
Come nasce l’idea di Montatori Anonimi?
[Gabriele] Nasce tra tre colleghi montatori di film di finzione e documentari che sono anche amici. A un certo punto abbiamo capito che vivevamo una contraddizione: amiamo quello che facciamo ma non possiamo parlarne con molte altre persone. Un tempo c’erano le equipe di montaggio (il montatore, due assistenti), ora spesso siamo l’unico montatore del film, così sono poche le occasioni di scambio con i colleghi, a differenza di quanto avviene per i professionisti del cinema che lavorano sul set. E quando non stiamo lavorando tentiamo, con più o meno successo, di parlare d’altro. Il desiderio di discuterne coi colleghi però rimane e credo sia fondamentale, tanto a livello individuale quanto collettivo, per superare le piccole frustrazioni che si vivono quotidianamente e non perdere la passione iniziale.
[Pierpaolo] Sì, infatti l’idea di Montatori Anonimi nasce proprio dalle lunghe videochiamate che facevamo già tra di noi. L’atto del montaggio è molto personale e indecifrabile, quindi ci chiedevamo innanzitutto cose tipo “ma tu da dove parti quando devi montare una scena?”. Poi molto spesso, a causa di questa “solitudine del maratoneta”, si parlava anche delle nostre condizioni lavorative. E diventava anche un po’ terapia di gruppo, per così dire. Durante una di queste videochiamate, alla fine del primo lockdown, Gabriele dice: “Dovremmo farne un podcast!”.
[Gabriele] A onor del vero ti ho detto “Dovresti farne un podcast, ahaha”… In ogni caso approfittando dei buchi che la pandemia aveva creato qua e là nelle nostre agende abbiamo creato questo podcast, provando a ricreare con altri colleghi montatori quell’atmosfera rilassata e curiosa delle nostre videochiamate.
C’è qualcosa di simile a cui vi siete ispirati, in Italia o all’estero?
[Beppe] Esistono alcuni podcast che cercano di analizzare e descrivere il lavoro dei montatori. Il più famoso è forse The Cutting Room su Art of the Guillotine, un grande portale dedicato esclusivamente alla post-produzione. Ci sono anche alcuni blog come quello di Steve Hullfish, ma tutti hanno come riferimento il cinema americano, che ha altri metodi di lavoro rispetto a quello europeo. Per quanto mi riguarda, l’ispirazione più chiara viene da un libro di Roger Crittenden, Fine Cuts, una raccolta di interviste a montatori europei, tra l’altro uno dei pochissimi testi sul montaggio. A differenza della letteratura sulla regia, la sceneggiatura, la fotografia, eccetera, la letteratura sul montaggio è praticamente inesistente, se si escludono opere teoriche come quelle di Ėjzenštejn. In qualche modo abbiamo tentato di costruircela noi, interrogandoci insieme ai colleghi intervistati.
[Gabriele] Credo che l’ispirazione più grande sia stato Archivio Pacifico di Francesco Pacifico, era un po’ l’atmosfera, l’approccio e i tempi lunghi che immaginavamo per il nostro podcast. The Art of Guillotine è molto più tecnico e incalzante, il nostro è più un podcast da compagnia, tant’è che è apprezzato da molte persone che neanche lavorano nel cinema.
Avevate valutato altre possibilità, oltre al podcast? Dirette in streaming, videointerviste, un semplice blog…
[Gabriele] Io sono un grande consumatore di podcast, e mi sono sempre chiesto se fossi in grado di realizzarne uno. Tutto sommato viene facile pensare che sia come montare un film, ma senza la traccia video. Ecco, su quest’aspetto mi sbagliavo, ma quella convinzione è stata utile per iniziare.
[Pierpaolo] La scelta del podcast è stata naturale, anche perché con la pandemia i podcast sono diventati pane quotidiano per moltissime persone, noi compresi. Le dirette streaming poi hanno il difetto che non le puoi montare…
[Beppe] E il testo scritto, l’ipertesto, che da un lato ci avrebbe permesso di inserire specifici contenuti visivi, avrebbe però eliminato quella familiarità, quella confidenzialità delle nostre discussioni che il podcast, la registrazione audio, ci ha regalato.
Il tono confidenziale si sente in Montatori Anonimi ed è molto godibile. Vengono fuori aneddoti di vita non strettamente professionale anche molto divertenti, tipo il primo incontro di Beppe con Nanni Moretti…
[Beppe] Sono tanti gli avvenimenti che costellano e aiutano a rafforzare il rapporto tra regista e montatore, e che avvengono in genere senza testimoni. Volevamo avere la possibilità di ascoltarne alcuni e di condividere i nostri, di tirarli fuori dalla sala montaggio. E ci siamo trovati davanti ad alcune vere e proprie perle, come la partita a calcio tra Johannes Nakajima e Alberto Fasulo per decidere la struttura di una scena.
Prima invece accennavate alle differenze nei metodi di lavoro tra cinema americano e cinema europeo.
[Beppe] Credo che il cinema americano, essendo un’industria (e dunque mi riferisco al cinema degli Studios, ai blockbuster) ha una scansione del metodo di lavoro, dei ruoli e dei tempi molto rigida, rispetto a quanto avviene nel Vecchio Continente. Se pensi che oltreoceano esistono figure come il montatore che si occupa esclusivamente di montare i dialoghi, mentre qui da noi, dove, c’è da dire, i budget sono molto più esigui, si è mantenuta quell’aura di artigianalità che era una caratteristica del cinema italiano degli anni d’oro.
[Pierpaolo] Forse in Europa la vera differenza di metodi di lavoro e di condizioni la vediamo tra il cinema e le serie, che sono l’unica cosa assimilabile ai blockbuster e al cinema degli Studios. Che poi, in Europa se ne fanno blockbuster? In ogni caso secondo me la differenza maggiore la fa ancora il fattore umano: il regista, i produttori e le persone con cui lavori. Mi è capitato di partecipare a film che sono andati a Cannes o Berlinale in cui tutte le pressioni che si possono immaginare sono sempre rimaste fuori dalla porta della sala di montaggio, le discussioni con i produttori lucide e pacate (nonostante le grosse aspettative e le somme di denaro in gioco)… Questo perché erano le persone ad aver creato un ambiente di lavoro sano. Viceversa può capitare che lavorare diventi più stressante per tutti anche su un film a budget più ridotto, perché è il carattere, la maniera di vivere la pressione e il lavoro di squadra delle persone che lo determina.
La grande avanzata delle piattaforme streaming sta cambiando il vostro lavoro?
[Pierpaolo] Da un punto di vista globale le piattaforme streaming possono essere una grande opportunità per scardinare finalmente un sistema distributivo “perverso” che tagliava completamente fuori il cinema indipendente, il cinema documentario e in generale faceva fuori dopo qualche giorno qualsiasi cosa non fosse il blockbuster di turno. Secondo me esiste da tempo invece una domanda sommersa verso tutti questi film che vengono esclusi prestissimo dalla programmazione in sala, o che nemmeno ci arrivano. Un po’ anche grazie alla pandemia (ma il percorso è cominciato prima) molte piattaforme come Mubi, Tënk o in Italia Chili, MyMovies ma anche alcune sale cinematografiche indipendenti come il Beltrade di Milano, hanno risposto a questa domanda sommersa distribuendo online e permettendo a questi film di arrivare in tutta Italia, non solo nelle grandi città dove magari già arrivavano per una proiezione una tantum. La popolarità delle piattaforme streaming dà anche un altro segnale: la domanda di cinema e serie è fortissima e che con una politica dei prezzi più popolare e un’offerta più ampia, le sale tornerebbero a essere gremite, a pandemia finita.
Ma tornando alla tua domanda, non so se questo processo sta già cambiando la maniera di fare e montare i film, un punto sicuramente lo ha centrato uno degli acerrimi nemici delle piattaforme streaming, Thierry Frémaux, delegato generale di Cannes: ricordiamoci che questi bellissimi film che stiamo guardando in streaming sul nostro computer o tv ci piacciono tanto perché sono stati pensati per il grande schermo, per il cinema.
Però oggi guardiamo sempre più video nati direttamente per il digitale, in particolare per social e smartphone. Mi chiedo se l’esposizione a questo tipo di contenuti finisca con l’influenzare a livello formale anche il vostro lavoro, anche solo inconsciamente.
[Gabriele] Inconsciamente di sicuro. Io, per esempio, fuori dal lavoro non guardo quasi mai film e mi trovo invece sempre più spesso a fruire di questo genere di contenuti (storie su instagram, video ricette asmr o vlog su Youtube). Quindi penso: guardo questi haiku estemporanei sullo smartphone e pretendo di poter montare lungometraggi con distribuzione in sala, forse sto sbagliando qualcosa. Poi, grazie anche a queste chiacchierate con altre montatrici e montatori, ho capito che è molto comune il fatto di non sentire il desiderio di guardare film, e che quindi non sono l’unico a vivere questo paradosso. Il che mi consola, ma in ogni caso bisogna stare attenti, perché i film appartengono a un altro linguaggio. Lo sforzo che dobbiamo fare è ricordarci costantemente che quello che facciamo noi non sarà estemporaneo, non pensare troppo agli stili del momento e quindi cercare di avere una prospettiva di lungo, lunghissimo periodo. In fondo fino a qualche anno fa Youtube premiava video sotto i 3 minuti e sembrava che la soglia di attenzione sul web fosse destinata a ridursi progressivamente, poi la stessa piattaforma ha deciso di premiare video lunghi, lunghissimi, e ora in tendenza ci sono sempre contenuti che durano ore.
Ultima domanda prima di salutarci. Si sta già muovendo qualcosa attorno a Montatori Anonimi?
[Gabriele] Abbiamo appena saputo che anche in Germania è nata parallelamente e contemporaneamente a Montatori Anonimi una iniziativa simile, Credit to the edit. È bello sapere che c’è questo bisogno, che non siamo gli unici ad averlo sentito. Lentamente ma con costanza, alla spicciolata, altri montatori ci scrivono di aver ascoltato le puntate e ci ringraziano per l’iniziativa. Stiamo riscontrando un generale apprezzamento per aver creato queste opportunità di confronto che evidentemente anche altri sentivano. Ce lo hanno detto con entusiasmo soprattutto le montatrici e i montatori con cui abbiamo chiacchierato nel podcast, che è una delle cose più gratificanti. Noi speriamo che nasca una piccola ma stretta comunità attorno a questo podcast, che potrebbe allargarsi verso altri format o altri mezzi di comunicazione, chissà.
[Pierpaolo] Ci piace pensare che questo podcast sia un po’ un messaggio nella bottiglia, che si rivolga tanto ai montatori di oggi quanto alle ragazze e ragazzi che lo saranno in futuro: che possano trovare finalmente da qualche parte una raccolta di esperienze e testimonianze utili a capire e vivere meglio questo mestiere.
(Illustrazione di copertina: Laura Simonati per Montatori Anonimi)
Marco Montanaro (1982) vive in Puglia, dove si occupa di scritture e comunicazione. La sua newsletter si chiama Sobrietà.
