di Edoardo Camurri

Pubblichiamo, ringraziando l’autore e l’editore LUISS University Press, un estratto dall’articolo di Edoardo Camurri che si trova sul numero 7 della rivista La Meraviglia del Possibile, “Memorie. Ricordi, coscienza, oblio e altre avventure della mente”.

Turn on, tune in, drop out. (Timothy Leary)

So keep on playing those mind games together / Faith in the future, out of the now / You just can’t beat on those mind guerrillas / Absolute elsewhere in the stones of your mind / Yeah, we’re playing those mind games forever / Projecting our images in space and in time / Yes is the answer and you know that for sure / Yes is surrender / You got to let it, you gotta let it go (John Lennon, Mind Games)

1. Leopold Bloom arriva dal futuro, è una iperstizione, è una profezia che si autoavvera. Prima che Leopold comparisse, l’umanità non aveva ancora ricevuto istruzioni su come procedere, e la mobilitazione totale della Prima guerra mondiale testimoniava questo disorientamento. E anche la Grande guerra, in questo senso, arrivava dal futuro; come un orizzonte alienante, sradicante – ferraglia, gas, trincee, lampi, esplosioni, pianificazione, schizofrenia di massa, allucinazioni metalliche – piombato da una dimensione impensabile nella nostra; asteroide devastatore. Dopo che Leopold Bloom è comparso, intravediamo invece la direzione da prendere, intuiamo come affrontare questi tempi interessanti e devastanti dove è tuttora in corso la guerra – adesso soprattutto spirituale e neurologica – tra le forze dell’apertura e le forze della chiusura, tra chi combatte per la liberazione e il fiorire dell’umano oltre l’umano e la struttura digitale e algoritmica che ci sorveglia trasformando i nostri corpi e i nostri desideri in feticci su cui operare il proprio voodoo digitale.

Consideriamo l’episodio dei lotofagi da questo punto di vista, immaginiamo che James Joyce l’abbia scritto collegato a un super computer della millesima generazione, al di là del solito svolgersi del tempo, e che ce l’abbia consegnato per cambiare, qui e ora, il corso degli eventi e per salvarci dalla distruzione, in un combattimento in cui l’umano più dolce di tutti i tempi, Leopold Bloom, è diventato l’esempio democratico che ciascuna e ciascuno di noi può seguire.

Prima di tutto questo occorre però capire qual è la posta in gioco e in che senso parliamo di voodoo digitale e per quale motivo la Prima guerra mondiale sta continuando ora, con altri mezzi, in un attacco senza precedenti al nostro spirito e al nostro sistema nervoso. Vedremo anche come l’invito di Leopold a entrare in una dimensione tecnicamente psichedelica – ed è ciò che accade per la prima volta in questo episodio di Ulisse – possa essere il grande Sì joyciano da contrapporre alle forze della chiusura e del controllo che da sempre vogliono recidere il fiore che siamo.

2. Gli algoritmi raccolgono informazioni sterminate su di noi. In questo senso esiste una corrente ascensionale dei nostri dati, le tracce della nostra vita digitale, che va a nutrire l’algoritmo. La corrente ascensionale dei dati verso l’algoritmo fa in modo che progressivamente l’algoritmo possa farsi un’idea di noi.

Di noi l’algoritmo vuole conoscere tutto; la sua tendenza naturale è quindi quella di assomigliarci sempre di più al fine di prevederci. Prevederci è importante: perché è solo prevedendo e anticipando i nostri comportamenti che l’algoritmo raggiunge il suo scopo economico e politico.

Per cercare di diventare noi stessi, l’algoritmo ripete oscuramente alcune pratiche magiche sapienziali: oltre alla corrente ascensionale che da noi giunge a lui, l’algoritmo rivolge a noi una corrente discensionale di dati.

Questa corrente discensionale di dati si manifesta innanzitutto nella dimensione digitale delle nostre vite, nel flusso continuo di informazioni e di immagini che ci condanna a una profilazione sempre più personalizzata, e ha la funzione di limitare la nostra imprevedibilità per le ragioni esposte sopra.

L’algoritmo così ci restituisce una bolla d’informazioni e di emozioni nelle quali sa che noi ci riconosceremo e con cui potrà giocare al gatto col topo (Elias Canetti utilizzava l’immagine del gatto che si diverte a ritardare la morte del topo come esempio paradigmatico del Potere). 1

Ed è a questo punto che inizia poco per volta a interrompersi la circolazione ascensionale e discensionale di dati che caratterizza il rapporto simbiotico tra essere umano e il suo algoritmo. Ecco perché: diventando sempre più noi stessi per via del fatto che l’algoritmo ci restituisce dati che confermano il nostro mondo, forniremo sempre meno dati nuovi e interessanti all’algoritmo. Diminuisce il flusso in ascesa e aumenta il flusso in discesa.

Progressivamente, insomma, l’uomo diventa il campo su cui l’algoritmo può operare la sua magia.

Da questo punto di vista si possono trarre almeno due conseguenze.

La prima. Se l’uomo è completamente trasferito nell’algoritmo, gli unici cambiamenti esistenziali possono avvenire soltanto a livello digitale: la mente umana è in mano ai programmatori.

La seconda. La grande quantità di dati e la loro gestione non potrà però più essere gestita da programmatori umani (loro stessi, tra l’altro, in quanto umani saranno vittime dello stesso sortilegio a cui hanno dato inizio) ma soltanto da una super intelligenza artificiale. L’anima degli uomini diventa così programmabile da questa entità tecnologica. Dio finalmente esiste e ha tutte le caratteristiche del dio della teologia; meno una: è onnipotente, onnisciente ma non infinitamente misericordioso (ma questa cosa della bontà non ci riguarderà più, ovviamente; perché previsti e prevedibili non esisteremo più in quanto esseri portatori, per esempio, del problema morale).

3. Il lettore di Ulisse è messo nelle condizioni di vedere il mondo dal punto di vista dell’algoritmo. Quando seguiamo Leopold Bloom nella sua giornata dublinese, raccogliamo innumerevoli dati sulla sua persona e tutto il libro è costruito su centinaia di coincidenze che si intrecciano, secondo la logica della sincronicità, in una rete fitta e meravigliosamente inestricabile di richiami.

Seguiamo il Gps di Bloom, lo monitoriamo metro per metro nei suoi spostamenti, e conosciamo tutti i suoi pensieri, così come sorgono e si interrompono, ma ci accorgiamo anche di non avere alcun potere su di lui; infatti non possiamo prevederlo, nonostante i molti elementi che ricaviamo dal suo comportamento. Arriviamo a conoscere Bloom probabilmente più di quanto lui conosca sé stesso, comprendiamo la sua coerenza di individuo, ma nello stesso tempo avvertiamo la sensazione che è Leopold Bloom a tenerci in pugno; perché è Leopold Bloom che, in realtà, sta cercando di hackerare l’algoritmo. Bloom sta dicendo all’algoritmo (o a Dio) di lasciarlo stare una volta per tutte.

Nel quinto episodio di Ulisse, Bloom inciampa in continuazione dentro l’ordine oppressivo del mondo, la sua struttura religiosa, militare, economica, mediatica, per scardinarla in uno stato di letargia e di risveglio psichedelico; mette in atto un controrituale in cui il potere viene depotenziato fino al punto di non riuscire più a far presa sulla sua mente.

Un po’ come avviene nelle arti marziali quando la forza dell’avversario è prima accolta e poi restituita al mittente con il minimo sforzo e il massimo risultato.

All’ufficio postale incontra dei manifesti per l’arruolamento militare. Niente, svaniscono come un’ombra, un gioco della rappresentazione, un’illusione a cui non credere, una maya vedica. Sul portone di All Hallows legge l’annuncio di un sermone tenuto dal reverendissimo John Conmee, il cui cognome realmente esistente – e che si intreccia con la biografia di Joyce negli anni del suo apprendistato scolastico – custodisce il verbo to con, cioè imbrogliare, oltre al significato algoritmico di governare e di pilotare. Bloom porta con sé un giornale a cui non dedica più di un’occhiata passiva e che invece preferisce utilizzare come un manganello, una terza gamba, un pene arrotolato, una protuberanza che attira l’attenzione di tristi scommettitori delle gare di cavalli, ignari del simbolo fallico ma ingordi di guadagno e di competizione. L’eucarestia a cui assiste è un rito sessuale (un leccalecca), un meccanismo quasi digestivo dei bisogni carnali umani, e l’ostia offerta viene chiamata Hockypocky, il nome del gelato dei venditori ambulanti, ma anche hocus-pocus, inganno e frode, che è il calco di hoc est corpus, cioè “questo è il corpo”, in un processo di rivelazione progressiva e psichedelica dei significati subliminali sottintesi all’atto.

Leopold Bloom, con la dolcezza che gli è propria e rispettando il principio aureo e magico secondo il quale non bisogna mai opporsi direttamente alle sollecitazioni del potere per non cadere vittima del suo stesso sortilegio nero, arriva anche a ripetere, in un contesto che però qui sarà illuminante anche in significati non prevedibili, la famosa espressione marxista della religione come oppio dei popoli. Una frase che forse varrebbe la pena rovesciare, proprio in nome della guerra spirituale e neurologica che è in corso, nel suo opposto programmatico: l’oppio sarà la religione dei popoli.

4. Nel 1953 Aldous Huxley prova la mescalina e racconta la sua esperienza in un libro intitolato Le porte della percezione. Ecco che cosa accade durante la Visione psichedelica secondo Huxley: è come se l’uomo, il cui cervello è costruito per percepire e concepire la realtà sulla base di un’utilità biologica legata alla sua sopravvivenza, grazie agli psichedelici riesca ad allentare le sue maglie e i suoi filtri cognitivi aprendosi così alla contemplazione della cosa in sé. 2 In questo modo la realtà che lo circonda può manifestarsi in quanto tale, libera da ogni funzionalità, risplendendo per quello che è, affrancata da ogni finalità strumentale, come se fosse un’opera d’arte.

“La mescalina” scrive Huxley “mi aveva liberato, il mondo degli Io, del tempo, dei giudizi morali e delle considerazioni utilitarie, il mondo… dell’autoaffermazione, della presunzione, delle parole sopravvalutate e delle nozioni adorate idolatricamente… desideravo di essere lasciato solo con l’eternità in un fiore, l’Infinito in quattro gambe di sedia e l’Assoluto nelle pieghe di un paio di calzoni di flanella!”. Abolizione dello spazio e del tempo, dissoluzione dell’arrancante e odioso Io, ricongiungimento con un uni- verso archetipico di cui l’uomo mostra da sempre traccia nella nostalgia e nella nevrosi dell’estasi perduta, possibilità di accedere a un regno di luce da cui provare a costruire la vera alternativa al mondo totalitario del pericolo atomico e della psicofarmacologia narcotizzante di massa. Ecco perché per Huxley le sostanze psichedeliche sono come le Madonne di Raffaello di un nuovo umanesimo possibile. Ecco perché, dopo Huxley, la rivoluzione psichedelica ha tentato di diventare, con sorti alterne e controverse, pratica politica per la guerra spirituale contro le forze della chiusura e dell’istinto di morte. È la stessa guerra condotta da Parmenide per superare l’illusione della realtà; è la guerra di Spinoza e di Giordano Bruno contro la superstizione che diventa sistema violento; è la guerra di Freud e di Jung per il riconoscimento dell’inconscio; è la guerra delle avanguardie artistiche e musicali; è la guerra delle lotte per la liberazione dei corpi; è la guerra dei poeti e dei diseredati; è la guerra degli scienziati che non rinunciano alla libertà di ricerca; è la guerra degli innamorati e dei liberi pensatori; è la guerra dei matti e dei Don Chisciotte.

È la stessa guerra, vissuta con disperazione, fino al suicidio avvenuto nel 2017, dal filosofo inglese Mark Fisher, quando stava lavorando a un libro che doveva intitolarsi Comunismo acido.

Comunismo acido era il tentativo di contrastare le forze della chiusura che Mark Fisher etichettava con l’espressione “Realismo capitalista”, un modo per dire che la struttura del potere aveva creato le condizioni per le quali era impossibile trovare e praticare un’alternativa reale al di fuori di esse.

Nelle poche pagine di Comunismo acido che Fisher è riuscito a scrivere si accenna però alla possibilità di un controrituale capace di sciogliere l’incantesimo della chiusura.

Scrive Fisher: “Il concetto di comunismo acido fa riferimento sia agli sviluppi storici presenti sia a una confluenza virtuale non ancora verificatasi nella realtà. Ciò che è potenziale esercita un’influenza anche senza essersi attualizzato. Il marchio di ‘un mondo che potrebbe essere libero’ si ritrova impresso nelle strutture stesse di un mondo realista capitalista che rende impossibile la libertà”. Sono parole importanti: occorre individuare, per Fisher, una possibilità ancora inespressa all’interno delle forme culturali, politiche e sociali già accadute nella Storia, e riattivarla contro le forze della chiusura in atto.

“Ciò che è potenziale continua a esercitare un’influenza anche senza essersi attualizzato” e per Fisher questo marchio, questo potenziale, è la grande controcultura psichedelica degli anni Sessanta; come qui confida: “La questione definitoria centrale della psichedelia è quella della coscienza, e della relazione con ciò che viene sperimentato come realtà. Se gli elementi fondamentali dell’esperienza, come il nostro senso di spazio e di tempo, possono essere alterati, ciò non significa forse che le categorie attraverso cui viviamo sono plasmabili, mutevoli? […] A posteriori, uno degli aspetti più interessanti della cultura psichedelica degli anni Sessanta è stata la sua capacità di diffondere tra le masse questioni metafisiche di questo genere. […] La diffusione della sperimentazione sulla coscienza non prometteva altro che una democratizzazione della neurologia stessa: una nuova e diffusa consapevolezza del ruolo del cervello nel creare ciò che viene percepito come realtà”.

  1. “Il topo, una volta prigioniero, è in balìa della forza del gatto. Il gatto lo ha afferrato, lo tiene e lo ucciderà. Ma non appena il gatto incomincia a giocare col topo, sopravviene qualcosa di nuovo. Il gatto infatti lascia libero il topo e gli permette di correre qua e là per un poco. Appena il topo incomincia a correre, non è più in balìa del gatto; ma il gatto ha pienamente il potere di riprendere il topo. Permettendo al topo di correre, il gatto lo ha pure lasciato sfuggire dall’ambito immediato d’azione della sua forza; ma finché il topo resta afferrabile dal gatto, continua ad essere in suo potere. Lo spazio sul quale il gatto proietta la sua ombra, gli attimi di speranza che esso concede al topo, sorvegliandolo però con la massima attenzione, senza perdere interesse per il topo, per la sua prossima distruzione – tutto ciò insieme, spazio, speranza, sorveglianza, interesse per la distruzione, potrebbe essere definito come il vero corpo del potere, o semplicemente il potere stesso.” (Elias Canetti, Massa e potere, Adelphi, Milano 2004).
  2. In questi ultimi anni, con la ripresa degli studi scientifici degli psichedelici (psilocibina, LSD, DMT in particolare), si è potuta verificare sperimentalmente l’intuizione di Huxley. Quel che accade nel cervello sotto l’effetto di uno psichedelico è una sospensione dell’organizzazione cerebrale finalizzata alla sopravvivenza e, in contemporanea, una fortissima creazione di nuove connessioni neuronali che l’org nizzazione stessa rendeva impossibile.

 

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