di Luca Todarello

Un libro vischioso, stratificato. Una corporeità avvolgente da cui ci si può liberare solo alla fine della storia. O forse nemmeno allora. Scintille di Alice Zanotti, appena uscito per Nottetempo, è uno di quei testi in cui la materia stessa diventa racconto e in cui il linguaggio domina la storia dei protagonisti, in questo caso tre bambine, le sorelle Kokulčua, e la loro realtà.

Dopo Tutti gli appuntamenti mancati, originale lavoro biografico dedicato ad Amelia Rosselli sospeso fra osservatore e osservato, Zanotti imbocca la via del romanzo, o meglio il sentiero impervio di una scrittura che non smette mai di interrogarsi sul letterario.

Nel paese di Montefosca, «stretto fra i monti come un vestito impigliato a un chiodo che sporge», vivono Alma, Anna e Maria – detta Buia –, tre sorelle che hanno uno stretto legame con il bosco e con i suoi spiriti sussurranti, gli Škrat. La loro esistenza, cadenzata dai ritmi della vita d’altura e dalle barriere fisiche e mentali imposte dalle montagne, viene sconvolta dall’arrivo del progresso, rappresentato dalla strada che verrà costruita dagli stranieri giunti in paese a tale scopo. Le uniche vie di fuga dalla piccolezza del mondo avvincente che è stato promesso loro ed è atteso da molti abitanti restano il silenzio e la natura. Buia ha rinunciato alle parole e le ha trasformate in scintille capaci di infiammare ciò che la circonda («Le nostre voci, una sopra l’altra, sono vive, accendono il fuoco»). Sommessamente legata al giovane Pietro, non riesce a capire perché parole come “amore”, “futuro”, “felicità” siano scivolate via dal vocabolario di tutti, e per questo si è chiusa nel mutismo. Buia dice che sono stati gli Škrat a rubarle le parole ma non ricorda cosa ha ricevuto in cambio: per questo ha scelto di chiamarsi come l’oscurità.

Montefosca non funge da mero fondo scenico alla narrazione ma è un serbatoio di vicende al quale Zanotti affida voce narrante. Dora, che abita sul confine magico fra bosco e paese, «chiama ogni giorno il marito che se ne è andato e non tornerà mai più»; Nina Koĉianua, vecchia forse «come il nocciolo del campo», legge le ossa di rana e alle domande sul futuro concede solo risposte «che sanno di mistero»; la piccola Rina, che «ha una macchia sulla faccia che sembra muschio» e nella cui testa c’è sempre e solo la fame, vuole essere e parlare come le tre sorelle; e poi c’è Špleat, che ha scritto il nome dell’amata sul muro di casa e ringrazia gli Škrat per averlo ricoperto di edera.

Se il progresso bussa alle case di Montefosca è perché le parole del bosco e della montagna sono definitivamente smarrite, assorbite da un linguaggio, quello della strada in costruzione, che connetterà il paese alla presunta “unica” Storia, la direttrice dello sviluppo. «Le curve del sentiero […] ci aiutano a pensare, servono a ricordare» dicono le tre protagoniste in coro, «quella strada dritta invece ci farà dimenticare chi siamo». La funzionalità, l’unidirezionalità dell’infrastruttura nascente non lasciano scampo a contadini, artigiani, falegnami: i loro pensieri «doppi, storti, che non combaciano», come quelli di chiunque viva fra i monti, verranno appianati dal progresso.

Buia e le sue sorelle non ci stanno e preparano una guerra, combattendola   prima sul piano del linguaggio, poi su quello dei riti e infine su quello della strada. Dalle scintille arriverà il fuoco, ma esso non servirà ad altro che a certificare la sconfitta di ogni resistenza, secondo un il topos in cui tutto viene perduto tra le fiamme. «Nessuno crede più a noi» certificherà Buia una volta deposte le sue armi ancestrali, perché «quando la strada sarà finita non ci sarà più tempo per pensare. Ci sarà il domani, ci saranno gli anni». Ecco che Scintille diventa un libro d’addio alla Storia.

Zanotti ha scavato a fondo in un mondo quasi del tutto scomparso e di cui sopravvivono solo alcune tracce – per tornare al fulcro della sua indagine narrativa – nel linguaggio. Girando al largo dalla compassione e infondendo una disperata vitalità alle sue protagoniste femminili (altro aspetto trascinante del testo), Scintille assume l’indirizzo di un romanzo corale in cui i personaggi si nutrono del silenzio che li avvolge, rischiarato da bagliori che evocano le atmosfere di William Golding e attraversato dall’eco inconfondibile di un classico come Casa d’altri. In questa tensione fra parola e oblio, fra fiamma e cenere, ecco l’elemento imprescindibile: ricordarci che ogni perdita è anche un modo di continuare a dire, e che solo nella lingua arde ciò che resta.

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