Provare a prendere Andrés Iniesta, il meno leggibile tra i calciatori degli ultimi quindici venti anni, è stata un’impresa complicata per i migliori interditori da lui incrociati sui campi da calcio; intercettare un visionario può essere impossibile. Ci è riuscito Gianni Montieri, poeta, scrittore, giornalista culturale che i lettori di minima&moralia conoscono molto bene: Andrés Iniesta, come una danza, è il racconto del corpo e della testa di un campione che ha fatto della leggerezza il proprio tratto essenziale. Leggerezza di pensiero, di visione, persino di stare sul rettangolo di gioco, movimento perpetuo di svolazzi e passaggi in orizzontale e verticale, intuizioni da issare oltre le consuetudini della geometria. Quella capacità di capire lo sviluppo dell’azione con qualche attimo di anticipo sugli avversari, di spiazzarli, di sorprenderli.
Prima di andare a giocare gli ultimi anni di carriera a Kobe, in Giappone, don Andrés ha sorpreso tutti, in Europa; tutti tranne i suoi geniali compagni di squadra, pronti a sfruttare le sue letture. Si dirà che lo sport e il calcio in particolare sfuggono alle leggi della matematica, ma se sommiamo il talento di Iniesta, Xavi e Busquets, e moltiplichiamo le loro giocate attraverso terminali offensivi come Leo Messi, David Villa o Luis Suarez, ritroviamo una tale quantità di soluzioni da essere quasi insormontabili per chiunque. Una dittatura creativa che ha dominato nel calcio per club e nazionali, dando vita a un ciclo assai difficile da replicare. Non che siano mancati, gli aspiranti replicanti, ansiosi di fare come in Catalogna e dunque in affannosa ricerca del proprio demiurgo in salsa tikitaka, si legga alla voce Pep Guardiola: ebbene, nessuno ci è riuscito; e anche l’originale, seppur vincente, mai ha potuto riprodurre la stessa bellezza a latitudini differenti, pur contando su proprietà a dir poco munifiche (Manchester City) o su un impianto e una solidità con pochi eguali in Europa (Bayern Monaco).
Ma è proprio qui che il calcio si riprende la poesia, espellendo la matematica: potrai spendere miliardi di euro, prendere il meglio che offre la piazza in termini di calciatori e tecnici, ma la magia, quella non puoi comprarla. Ecco: in Andrés Iniesta, come una danza, Montieri compie un viaggio dentro la magia, portandoci – attraverso un montaggio serrato che alterna racconto e immaginazione – da Fuentealbilla, piccolo borgo nella comunità autonoma di Castilla-La Mancha, fino agli stadi stracolmi di Spagna, Europa, Sudafrica, Giappone. Per farlo, non potendo riprodurre su pagina le immagini che stanno lì archiviate sui documentari o su YouTube, Montieri ricorre alla storia del calcio – ecco qui i fantasmi del leggendario portiere Ricardo Zamora, o l’ombra di un precursore come Luis Suarez, regista del Barcelona e della Grande Inter negli anni Sessanta – e soprattutto alla letteratura, aiutato da un atleta che possiede giù in sé vibrazioni letterarie, suggestioni lontane da quelle robotiche di un Cristiano Ronaldo.
A cominciare dalla regione di nascita, la stessa Mancha dove Cervantes immaginò Don Chisciotte, per proseguire con le suggestioni di Sandro Penna, citato direttamente con un paio di versi («Non c’è più quella grazia fulminante / ma il soffio di qualcosa che verrà») ma si potrebbe dire spirito guida dell’intero racconto. Scrive Montieri: «Se il primo verso di Penna potremmo applicarlo a tutti, da Robben a Puyol, da Sneijder a David Villa, il secondo lo può indossare soltanto Iniesta. Don Andrés non ci pensa proprio a trascinarsi fino ai rigori, lui vuole vincere, sa che è il suo Mondiale e quello della Spagna, non si sogna nemmeno di affidarsi al caso, ai tiri dal dischetto».
Siamo all’apice della carriera di don Andrés, il 2010, a metà tra i due campionati europei vinti nel 2008 e 2012 e nel pieno dei trionfi con il Barcelona. Ma non c’è solo spazio per la perfezione e la vittoria, nella parabola di Iniesta. È l’8 agosto 2009 – un anno prima del gol segnato a Johannesburg, contro l’Olanda, minuto centoquindici, il gol che dà alla Spagna il primo titolo mondiale della sua storia – quando Dani Jarque, calciatore dell’Espanyol, amico fraterno, muore per un improvviso arresto cardiaco a Coverciano, dove era in ritiro per alcune amichevoli da giocare in Italia. Per Iniesta è un colpo tremendo, che lo conduce a settimane di cortocircuito interiore, fino a parlare apertamente di depressione. Si rinchiude in se stesso, non riesce più a divertirsi, è un uomo sottratto dalla morte dell’amico.
Ne verrà fuori con l’aiuto della famiglia, della terapia, e dell’affetto della sua squadra. Perché, come racconta Montieri, «Bisogna osservare quei mesi se si vuole comprendere che uomo sia Iniesta, quanto sia stato (ed è) amato, quanto il suo essere una persona bella abbia contato nella sua vita e nella sua carriera. Iniesta è eccezionale in campo, ma lo è anche nel privato, nei rapporti personali. […] Quando regali così tanto a chi vive con te, che ti ha cresciuto, si tratti della famiglia o del club, quei doni ti ritornano». Dopo la rete segnata a Johannesburg, Iniesta solleva la maglia correndo di felicità: Dani Jarque Siempre Con Nosotros è la dedica per l’amico, per il gol più importante nella storia del calcio spagnolo.
Piccolo di statura con il suo metro e settanta, Andrés Iniesta ha attinto da un infinito bagaglio di genio calcistico: è uno di quei campioni che ricorderemo a vita, e libri come quelli di Gianni Montieri ci aiuteranno a farlo meglio, aggiungendo dimensioni ulteriori, allungando la danza ancora per svariati giri.
Liborio Conca è nato in provincia di Bari nell’agosto del 1983. Vive a Roma. Collabora con diverse riviste; ha curato per anni la rubrica Re: Books per Il Mucchio Selvaggio. Nel 2018 è uscito il suo primo libro, Rock Lit. Redattore di minima&moralia.
