Questa rubrica racconta le suggestioni nate dalla lettura dei libri di autori siciliani. Qui gli altri articoli. (Immagine: Luigi Ghirri.)

In questo lavoro ho voluto compiere un viaggio nel luogo che invece cancella il viaggio stesso, proprio perché tutti i viaggi possibili sono già descritti e gli itinerari già tracciati. Le isole felici care alla letteratura e alle nostre speranze sono ormai tutte descritte, e la sola scoperta, o viaggio possibile, sembra quello di scoprire l’avventura scoperta.

(Luigi Ghirri, Atlante)

Finito di leggere Entromondo, o qualsiasi altro racconto di Antonio Castelli, mi viene voglia di mettermi alla finestra. E provare a imitarlo. Più volte mi è stata rimproverata questa strana attitudine, più volte sono stato accusato di feticismo letterario, ma la travolgente forza del ricordo – che vibra durante tutto lo scritto – ha smosso qualcosa che, a volte, ho pensato sedato. «Paese come cosmo», e, per i cittadini, quartiere come paese e quindi come cosmo, nel districare i colori di un profilo architettonico, muovendo d’analogia.

Ricordo il bordò del palazzo dove vivevo, un’allegria di cemento armato a sei piani, in fondo allo stradone di Mezzo Monreale. Palazzo come quartiere, quartiere come paese, e dunque palazzo come cosmo. Mi metto in disparte – come Castelli – e intuisco appena la funzione che si è ritagliata all’interno del paese. Deve essere stata dura fare pace con il proprio ruolo di osservatore, defilarsi dalla vita per registrarne i battiti più soavi, con «genio di polpastrelli» e impercettibile pedinamento.

Lo spio invisibile, penna alla mano, timido di natura e nascosto anche a sé stesso, gironzolare tra gli appartamenti del mio palazzo, e non intervenire per fermare il signor Cardinale che, a penzoloni dal quarto piano, probabilmente sta pensando alla signora del primo, allo shock che le causerà l’indomani mattina quando, come ogni giorno, si sveglierà di buon’ora per dare l’acqua alle sue invidiate piante. Forse non interviene perché già sa, nel tempo confuso della memoria, che quel vecchietto non si lascerà cadere dalla finestra, con tutti i suoi stanchi ottant’anni, troppo pesanti per non sfondare il pavimento e scomparire inghiottito per sempre nelle viscere del palazzo. Chiude la finestra il signor Cardinale, e piange appena di quella sua gentilezza che gli costerà altri quattro anni su questa terra, prima che,insieme alla sua vita, il tempo si porti via anche il senno e la memoria della moglie.

Osservo l’osservatore «spartire» la gente del palazzo, e lo vedo seguire, quattro anni dopo, proprio la signora Cardinale, che ha un telecomando in mano e la vestaglia aperta sulla sottana. Con occhi d’Alzheimer si guarda attorno, smarrita e inconsapevole, finché Riccardo, per tutti sempre e comunque Riccardino nonostante si sia fatto un ragazzone, non la prende sottobraccio con l’amore del vicino di pianerottolo (che è un amore affatto particolare), mentre lei gli domanda Tu mi conosci? Riccardino non piange, lui è uno che da piccolo mangiava formiche, e le dice Sì, la conosco zia, e tutto questo mentre l’osservatore ha girato lo sguardo altrove, per ricordare quel bambino che affondava le mani nella terra ingabbiata in grossi vasi, l’unica terra possibile in città. Ficcava prima un dito e poi l’altro, l’indice e il medio e poi di nuovo indice e medio, mai gli altri. Chissà perché? Riccardino era oscuro a capirsi, primitivo, con un suo linguaggio cacofonico e dislessico, e due occhi neri di pece con i quali fissava le formiche camminargli sull’indice e il medio, prima di avvicinarle alla bocca.

Se il tempo esiste, quello della memoria ha confini incerti, e a noi «sradicati», dal nostro tempo e dal nostro spazio, non rimane che questo. Così pedino Castelli, che ha polpastrelli buoni e poesia da vendere, per capire come mia nonna mi salvò la vita, tanti anni or sono. Mi vedo!, e vedermi mi impaurisce, perché tra me e me non c’è uno specchio (che è una finzione accettata) ma un niente, e attorno solo estate che si appresta a «sgozzare la primavera» e a bruciare tutto nel suo sangue. Mi vedo giocare nel terrazzo al primo piano. Una palla rimbalza. Io la seguo. Mia nonna urla Accura!, ma non è questo il momento in cui mi salva.

Quell’attento, quell’accura gridato senza troppa convinzione, rientra tra i caratteri di mia nonna, che Castelli mi dice essere «mamma due volte» e perciò preoccupata due volte. In fondo la capisco, cammino con passo malfermo e non parlo ancora, mugugno suoni indistinti in attesa di governare le due lingue che ascolto dalla nascita, quella elegante e distinta dei miei genitori, e quella blandamente esclamativa di mia nonna. Lei ha perso il marito da tre anni, qualche mese prima che nascessi io. Sarei stato il suo primo nipote maschio, dopo due figlie femmine e tre nipoti, e per un isolano dall’aspetto fiero era un’attesa importante. Tuo nonno ha fregato la guerra, mi dice Castelli. Non lo sapevo, gli rispondo, ma non mi azzardo a chiedere spiegazioni, turbato dal fatto che lui sappia, del mio cosmo, più cose di me. Ma forse è giusto così, oltre ai polpastrelli servono anche occhi buoni per registrare tutto, per essere storico fra gli storici.

Un urlo lacera la mia distrazione e quando mi volto vedo il balcone del secondo piano staccarsi dal prospetto bordò del palazzo, farsi macerie con un tonfo terrificante sul terrazzo di mia zia. Ecco, sono morto, penso spaventato. La signora Ginetta, del terzo piano, nonostante la malattia che presto le prosciugherà la vita, torna ad affacciarsi. Aveva appena finito di stendere i panni, e aveva visto me e mia nonna giocare. Adesso urla Il bambino, il bambino è morto!, attirando alle finestre tutte le altre donne, i bambini. Castelli mi spiega che è perché «i bambini sono di tutti» che la signora Ginetta non considera mia nonna, sono di tutti come gli uccelli. E io penso che se solo fossi stato un’aquila avrei spiccato il volo con mia nonna tra gli artigli e, con quella confusione di immagini che è propria dell’Isola, l’avrei salvata. Invece appartengo all’umanità, e l’uomo è fatto di nascita e morte, estremi di una parentesi che speriamo mai chiusa.

Da tutto il palazzo accorrono a cercarci fra le macerie, mentre la signora del secondo piano guarda sconcertata lo squarcio oltre la sua cucina. Scavano furiosamente, scorticandosi i polpastrelli sul cemento armato che uccide rendendo fede al proprio nome, spostano pietre, balate, pezzi di ferro, e finalmente trovano il corpo piccolo di mia nonna. Ha gli occhiali storti, sul naso che praticamente non c’è più. La bocca, senza denti, simula un ghigno fuori luogo, e ha il cranio spaccato. Sulla schiena, sulla sua gobba, rivoli di sangue sembrano vene scoperte, o piccoli fiumi che seguono il solco delle rughe. Mia madre piange per sua madre, mentre il padre di Riccardino si avvicina a mia nonna per scostarla. Sotto ci sono io, miracolosamente vivo, salvo qualche piccola escoriazione. Il bambino è vivo!, urla Orazio, e tutti adesso gridano al miracolo, alla mano di Dio che ha salvato quel picciriddu muto! Ma io so che a salvarmi è stata mia nonna, che adesso appartiene agli angeli, che sono uccelli evoluti.

Sono stordito da quella visione, che avevo tante volte immaginato, colpevolizzandomi per la morte di una persona della quale, in fondo, non avevo che pochi ricordi. Castelli mi sorride, e gli domando cos’ha da ridere. Mica siamo storici, mi dice. E poi aggiunge Guarda là. Mi volto, e rivedo il balcone staccarsi dal secondo piano, i calcinacci farsi schegge di bombe di cemento, letali. Odo la signora Ginetta urlare Il bambino, il bambino è morto! Mi sembra la stessa scena di prima, e non capisco dove Castelli voglia andare a parare. Finita la catastrofe, però, vedo mia nonna uscire sul terrazzo, e io sono fra le sue braccia. Poco prima che il balcone si staccasse le avevo fatto capire di avere sete.

Torno in me quando un gatto nero zompa sul mio balcone, mi sento confuso. Non ricordo più come sia andata.

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Autore

gianlucacataldo2@tin.it

Gianluca Cataldo è nato a Palermo nel 1984, e vive ormai da molti anni a Bologna dove si è laureato in giurisprudenza. Suoi scritti sono apparsi in vari blog (Nazione Indiana , GAMMM, il blog delle Edizioni Sur, Pastiche, Terranullius ).

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