Nuovo appuntamento con la rubrica a cura di Anna Toscano. Dieci domande a poetesse e a poeti per cercare di conoscere i loro primi avvicinamenti alla poesia, per conoscere i loro albori nella poesia, quali siano stati i primi versi e i primi autori che li hanno colpiti, in quale occasione e per quali vie, e quali i primi che hanno scritto. Le altre puntate sono qui.

Qual è la poesia che hai incontrato, e quando, che ti ha fatto pensare, per la prima volta, che fosse qualcosa di fondamentale?

“I mari del sud” di Cesare Pavese. Avevo tredici anni, seconda media, perciò nel 1976. Un insegnante del sud arrivò in classe come sostituto di quello di ruolo che era ammalato. Per me fu una fortuna che mi aprì alla passione per la poesia e all’epica delle genti comuni. In un’epoca in cui il programma scolastico di letteratura italiana arrivava, al massimo, sino a Manzoni, questo professore ci parlò, trasmettendoci tutto il suo amore per essi, di Pavese, Fenoglio, Gadda, Pasolini… di autori che ci parlavano di una realtà che sentivamo in gran parte vicina, e ci fece sentire questi autori come persone, non come mezzi busti lontani e astrusi.

Qual è il primo autore o autrice che ti è rimasto/a in mente come poeta?

Saba. Conservo ancora una foto cartonata di Saba, in paltò e coppola scura che cammina, mani dietro la schiena, di fronte a un’edicola di Trieste. La trovai per caso, in mezzo ad un libro sugli insetti, in una bancarella dell’usato. Ancora non sapevo chi fosse quella figura, ma per me era già l’immagine di un poeta: un uomo (forse anziano, forse solo somigliante a un anziano), che vaga fra i suoi pensieri e la sua solitudine. Poi ho scoperto lui, la sua poesia, il discorso sulla poesia onesta, che è poi quello che ho sempre cercato di fare. Quindi sono venuti in me Romano Pascutto e Andrea Zanzotto (un altro poeta in coppola e paltò), la scoperta del dialetto come lingua della mia anima.

C’è stata una persona o un evento nella tua infanzia, o giovinezza, che ti ha avvicinato alla poesia? Chi era? Come è accaduto?

Ho già risposto citando quel professore supplente alle medie. Ma il vero evento scatenante è stato questo: avevo diciassette anni, e mi trovavo in un bar dove assistetti alla triviale, belluina reprimenda di un oste alla giovane, incolpevole, cameriera nel suo libro paga; nel volto umiliato e offeso di quella ragazza ho trovato la mia “musa ispiratrice” che già avevo per “compagna” all’interno della fabbrica di pannelli in cui avevo, da un anno circa, iniziato a lavorare. Con le mie parole ho cercato di dar voce a questa comunità che, quotidianamente, cerca nei propri gesti la ragione per andare avanti. Ho sentito che, con le mie parole, dovevo, in qualche modo, cercare di sanare l’umiliazione, la mortificazione mia, di quella cameriera e di tutti i subalterni.

Quali sono i primi libri di poesia che hai cercato in una biblioteca o in una libreria?

I “Canti” di Leopardi, in Biblioteca. Poi, in libreria, il primo libro di poesia acquistato “La divina Commedia”.

Il primo verso, o la prima poesia, che hai scritto e che hai riconosciuto come tale: quando è stato e in quale circostanza?

“Vóesse ‘na carezha de stee / inpizhàr el scuro dee mé scassèe” (Volesse una carezza di stelle / accendere il buio delle mie tasche). Intorno ai trent’anni. Ero sposato ma sentivo che le cose non andavano (dopo due anni io e la mia prima moglie ci saremmo separati), vivevo un periodo di estrema solitudine e anche economicamente la situazione era pesante. Sentivo il bisogno di una carezza, ed è arrivata con le parole, con quelle più intime, mie, è arrivata col dialetto.

Quando poi i versi sono arrivati copiosi, quali sono stati i tuoi pensieri?

Che avevo incominciato a scavare nella miniera dei miei sentimenti. Che dal letame, come da tanto dolore, possono davvero “nascere i fior”. Sono stati anni di una scrittura febbrile, quasi fossi sotto dettatura. Come Heaney (forse il poeta che sento più vicino, sicuramente il mio preferito) ho incominciato a scavare con la penna per portare a galla i cocci, le schegge celate di chi non ha storia né voce, i reperti umani e morali di una società ormai cieca e indifferente.

Quando hai avuto tra le mani le tue prime poesie pubblicate, cosa è accaduto?

Ho riscattato in parte un destino avverso. Causa problemi economici non ho potuto proseguire gli studi dopo la scuola dell’obbligo, e studiare mi piaceva e ne ero portato. Poi sono stato catapultato dentro una fabbrica del legno (e sono rimasto operaio per 43 anni). La poesia mi ha permesso di realizzare il piccolo sogno di veder “certificata” la mia anima, soffocata fra clangori, ringhi di seghe e nubi di segatura, urla, bestemmie e sirene laceranti. Annichilita in mezzo al frastuono, all’individualismo, a mobbing e delazioni.

La poesia per te è più di una fede o quasi una fede?

La poesia è un atto sacro, una preghiera, per me. Una dichiarazione d’amore che le parole fanno alla musica. Il poeta è un partigiano fra i monti assediati dall’incuria e dall’ingiustizia, fra le valli, i paesi o gli esseri abbandonati e affidati, ci siamo purtroppo vicini, all’algida versificazione dell’intelligenza artificiale.

Un testimone del suo tempo.

La poesia inizia?

Quando uno sguardo (spesso laterale) si sofferma su una cosa, un gesto, un’immagine che innesta un pensiero, e quando lo stesso pensiero cerca le parole più adatte per esprimersi e definire ciò che, sbalzato allo sguardo, era poco più che una intuizione o una provocazione.

La poesia finisce?

Quando, come ha detto Pierluigi Cappello, in trenta versi apre e chiude un mondo. Quando quel mondo è cinto, abbracciato con le parole. Allora è compiuta.
La poesia finisce, realmente, quando finirà l’ultimo uomo, col suo stupore, i suoi quesiti. O quando ognuno di noi crederà, con bieca supponenza, di poter fare a meno del conforto della parola.

 

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Autore

a.toscano@minima.it

Anna Toscano vive a Venezia, insegna presso l’Università Ca’ Foscari e collabora con altre università. Un’ampia parte del suo lavoro è dedicato allo studio di autrici donne, da cui nascono articoli, libri, incontri, spettacoli, corsi, conferenze, curatele, tra cui Il calendario non mi segue. Goliarda Sapienza e Con amore e con amicizia, Lisetta Carmi, Electa 2023 e le antologie Chiamami col mio nome. Antologia poetica di donne vol. I e vol. II. Molto l’impegno per la sua città, sia partecipando a trasmissioni radio e tv, sia attraverso la scrittura e la fotografia, ultimi: 111 luoghi di Venezia che devi proprio scoprire, con G. Montieri, 2023 e in The Passenger Venezia, 2023. Fa parte del direttivo della Società Italiana delle Letterate e del direttivo scientifico di Balthazar Journal; molte collaborazioni con testate e riviste, tra le altre minima&moralia, Doppiozero, Leggendaria, Artribune, Il Sole24 Ore. La sua sesta e ultima raccolta di poesie è Al buffet con la morte, 2018; liriche, racconti e saggi sono rintracciabili in riviste e antologie. Suoi scatti fotografici sono apparsi in guide, giornali, manifesti, copertine di libri, mostre personali e collettive. Varie le esperienze radiofoniche e teatrali. www.annatoscano.eu

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