In

di Christian Raimo

Non muore la madre, né il padre accorso immediatamente
sul luogo dove è avvenuto tutto, né i nonni, né nessuno
dei fratelli, se ha fratelli, o dei cugini, nessun parente,
anche lontano. Non muore l’addetta alla metro, non muore
nessun collega del pomeriggio, né del turno successivo.
Non muoiono gli altri passeggeri dentro l’ascensore,
né l’addetto alla manutenzione che ha eseguito la manovra
anomala – adesso dicono – per eccesso di generosità. Non muore
l’assessore alla mobilità, non muore il sindaco, nessuno
della giunta muore. Non muoiono i curiosi che son rimasti
accanto più di un’ora alla balaustra, e non muoiono nemmeno
quelli che hanno urlato vattene appena hanno visto il sindaco
arrivare. Non muoiono i vigili del fuoco, i vertici
dell’azienda dei trasporti, la procura, i magistrati
che hanno aperto già un’indagine. Nessun giornalista muore,
né i fotografi, i cronisti, quelli della televisione.
Non muore più il prefetto, il presidente alla regione,
non muore il direttore del famoso movimento genitori,
non muore nessuna mamma e nessun padre, nessun compagno
della scuola dell’infanzia, l’amichetto dell’asilo, nessuno
di quelli che lo conoscono, anche poco. Non muore
il controllore. La studentessa che per ultima è uscita
dalla metro, lei non muore; né il politico che dice:
addio angelo mio; né la senatrice che s’indigna e sbraita
contro la manutenzione, contro chi ha fatto i collaudi.
Nessuno di loro si fa prendere dal panico, si divincola,
prova a saltare nello spazio tra i due piani mentre si apre
un portello all’improvviso, nessuno di noi cade nel vuoto,
precipita per venti e passa metri nel vano ascensore.
Non morirà la folla al funerale, né muore la città
nel giorno di lutto appena dichiarato. Nessuno muore
nei minuti di silenzio.

Condividi

50 commenti

  1. un esercizio di stile sulla pelle di una bambino appena morto.
    Se ne sentiva il bisogno.

  2. Sai che non penso Rossella sia un esercizio di stile. Non c’è niente di particolarmente stilizzato in questa roba che ho scritto. Il risultato ovviamente puoi giudicarlo come vuoi. Ma l’intento è l’opposto. La notizia di ieri del bambino morto credo sia stata per tutti sconvolgente, eppure nessuna delle reazioni che avevo visto era una forma rituale. Oggi hai una morte che diventa subito conosciuta da tutti, e di quel dolore non sai che farci. Non è un dolore tuo perché quel bambino non lo conoscevi, però è un dolore tuo perché la morte di un bambino di quattro anni così atroce che ti viene raccontata in modo così preciso non può non toccarti. La storia dell’elaborazione del lutto, da Vovelle a Aries a Spellman, ci dice una cosa: che i vivi hanno bisogno di riti, per non impazzire. Mettiamo un lenzuolo sopra il cadavere, lo portiamo in una chiesa o in un altro luogo, lo seppelliamo. Questo ci lega agli altri esseri umani, ci permette forse di non impazzire. Per me queste righe, che magari giudichi brutte ma non sono un esercizio di stile, provano a avere questa funzione: tentano una condivisione minima emotiva con chi è ancora vivo. Mi dispiace non esserci riuscito con te.

  3. la lettrice si è guadagnata una risposta che nemmeno meritava, fosse solo per la polemica fuoriluogo che muoveva.ma forse qualcuno reagisce così.e tu sei riuscito ad esser delicato anche in questo.è difficile descrivere quello strano senso di colpa che anche da lontano impatta ognuno d noi, dici bene tu, come un rituale.

  4. Christian, ho condiviso emotivamente più la tua risposta a Rossella, della poesia. Grazie per entrambi.

    Di riti ne ho intravisti diversi (e comunque il tempo del rito viene dopo la risposta emotiva immediata: dopo la disperazione, dopo la confusione e l’impotenza e le parole a vanvera, dopo il silenzio). Riti contemporanei e no: “i curiosi che son rimasti accanto più di un’ora alla balaustra”, “quelli che hanno urlato vattene appena hanno visto il sindaco arrivare”, quelli che porteranno i fiori e poi pianteranno un’altra lapide in mezzo alla città, fino alla signora intervistata dal giornale che dice: “Siamo abbandonati a noi stessi”. (E perché, pensavi di essere data in affidamento a qualcuno? – eppure anche lei ha la sua ragione, come tutti).

  5. Forse, e dico forse, sarebbe stato più consono scrivere: “Non muore nemmeno l’aspirante poeta” perché, in fondo, si è unito anche lui al forsennato minuto di silenzio, giusto per essere presente al momento. Il vero silenzio è assenza di parole, non la presenza di alcune che chi ha scritto reputa migliori di altre.

    Un cordiale saluto.

  6. L’articolo è splendido.
    Dovrebbe far riflettere,certo poi dipende sempre dall’acutezza del lettore.
    Vederci ricami letterari è davvero inquietante.
    L’autore ha fatto proprio un dolore altrui donandoci una sorta di piccola preghiera per non dimenticare.
    Ma anche questo diventa errore quando l’ignoranza domina.

  7. Sara, mi perdoni se le rispondo, anche se forse non si riferiva a me. Ma quanto lei scrive, se fossi presuntuoso, potrei girarlo anche contro di lei, dicendo che proprio chi vede qui una piccola preghiera per non dimenticare è portatore di una moralità piccola, perché bisognoso che un terzo gli ricordi che dinanzi a un bambino morto bisogna soffrire. Ecco, se lei ha bisogno di questo, e se tante persone come lei hanno bisogno di questo, allora sì che l’ignoranza domina.

    Buona giornata.

  8. Io non ho bisogno di silenzio, per onorare la morte di un bimbo che non conoscevo. Io, se avevo bisogno di qualcosa e me ne sono accorto solo leggendole, era di sentire parole diverse. Queste sono parole diverse in un coro sempre uguale. Un pezzo stupendo di alta letteratura, perché questo è la funzione della letteratura: farti sentire meno solo e spiegarti quello che è successo. E quello che è successo potete leggerlo (anche) nelle bellissime righe di Raimo.

  9. Fatemi capire, quindi: dopo che lo strombazzamento mediatico è già stato messo in piedi, in una vicenda che fa leccare i baffi agli appassionati di cronaca nera quanto ai contestatori della Roma che non funziona “che loro ci pagano le tasse”, il problema è un post che cerca di stare con delicatezza su questa cosa – in una forma necessariamente retorica, ma non per questo invasiva? Ora, capisco che sarebbe buon metodo evitare di amplificare la cronaca nera, ma qui non c’era rischio di amplificazione, né – mi pare – di attenzione morbosa; senza contare, appunto, che non mi sembra nemmeno il classico “omicidio white trash” à la Sara Scazzi, ma che per il contesto e il suo svolgimento ha richiamato e messo in funzione un dispositivo più ampio che interpella a vari livelli la gestione della città di Roma e le reazioni dei suoi amministratori. Io non so manco se mi piace il post di Raimo, ma questa castrazione preventiva – per la quale no, non devi scriverne, perché ogni scrittura è sempre e comunque uno sciacallaggio – mi pare francamente un po’ troppo.

  10. Maurizio non mi riferivo a lei inizialmente.
    Non ho bisogno di ricordare.La bellezza dell’animo umano non è sempre marcia.
    Come un Renoir non mi è necessario per capire la bellezza di un paesaggio,
    delle parole dolci a spiegazione di una tragedia non mi ricordano che è avvenuta,ma mi fanno sperare nella delicatezza umana che forse lei ha problemi a percepire.
    Detto questo non vado oltre perchè non voglio essere intrappolata nel vortice dei commentatori on line che a perditempo dicono la propria senza il minimo timore di ferire o essere fuoriluogo.

  11. Gentile Sara,

    le ho solo dimostrato che a dare dell’ignorante a chi non la pensa come lei si rischia di fare brutta figura. E rispondere offendendo, come ha fatto lei, dimostra solo la sua mancanza di delicatezza umana, che nemmeno un post come quello di Raimo potrà regalarle mai.

    Sorrida alla vita, sapendo che a volte non è questione di essere migliori o peggiori, ma anche semplicemente di pensarla in modo diverso.

    Un saluto.

  12. Salve Enrico,

    quello che provavo a dire, è questo: se un aspirante poeta scrive una poesia per “dire male” di chiunque abbia rilasciato una dichiarazione sull’episodio, o su chiunque ne sia stato coinvolto, allora dovrebbe inserire anche se stesso nell’elenco, semplicemente perché anche lui ne sta parlando. Sarebbe stato un modo per fare vera poesia, adesso è solo un tentativo di chiamarsi fuori, che però fallisce perché, pur avendo scelto strategie comunicative diverse, sempre nel circo mediatico è finito (l’aspirante poeta, intendo). Perché, non dimentichiamolo, ha scritto su Minima&Moralia, mica su un diario personale.

    Un saluto.

  13. Non ho offeso nessuno.lei forse si è sentito offeso ma è una sua percezione.
    Ho semplicemente espresso la mia opinione su chi HA OFFESO il lavoro altrui.
    Adesso sto sorridendo ampiamente.La ringrazio moto SIG.Maurizio per questa esplosione di risate che mi ha regalato.
    Non è a me che deve insegnare a “sentire”.Se la smettesse di interpretare le parole altrui ancor prima di averle afferrate forse figure barbine ne eviterebbe a bizzeffe.
    E si ricordi che dimostrare qualcosa a qualcuno è cosa assai difficile SOPRATTUTTO SE NON RICHIESTA.
    la lascio e le auguro una buona giornata.LA RISATA MI CHIAMA.

  14. Vedi, Michele, penso che oggi gli eventi pubblici, e le morti spesso sono fra questi, richiedano per i tempi dell’opinione pubblica, ma anche per la nostra condizione umana una reazione emotiva immediata. Oggi quella reazione è postare qualcosa su fb e va benissimo. Ma spesso quello che secondo me non ci fa avvicinare è che quella reazione emotiva immediata è lo schieramento. La tifoseria aiuta a placare il dolore, e l’ansia. Ma di fronte alla morte di un bambino non c’è una sola reazione possibile. Il silenzio, l’urlo, la preghiera, la bestemmia, il ragionamento pacato, l’indignazione. Non c’è un nemico. Nel Vangelo quando chiedono a Gesù perché la torre di Siloe è crollata, i discepoli è quello che cercano è un capro espiatorio.
    Questo bel pezzo di Tiziano Scarpa diceva meglio di me questa cosa tempo fa: http://www.internazionale.it/opinione/tiziano-scarpa/2015/03/10/incidente-argentina-reality-elicotteri

  15. Ecco, Sara, e questa sarebbe tutta la sua delicatezza umana? Suvvia, quello che lei ha scritto è visibile a tutti, ognuno se ne farà una sua idea.

    Un caro saluto.

  16. Io tra l’altro non ho detto “male” di nessuno, proprio il contrario. Ho provato solo a mettere insieme l’asimmetria tra il mondo dei vivi e quello dei morti.

  17. Salve Christian (credo che l’utente minima&moralia sia lei, se non è così chiedo scusa),

    è ovvio che ogni reazione appare lecita dinanzi a un evento tragico, e non è questo il punto del mio (piccolissimo) commento. Semmai ho messo in evidenza che, forse, visto che si tratta di un intervento pubblico, sarebbe stato preferibile inserire un “Nemmeno l’aspirante poeta muore” o qualcosa del genere, più per trasmettere un senso di appartenenza, mentre così si trasmette un senso di autoesclusione. Da qui l’idea che l’intento possa essere quello di “dire male” (anche se non esplicitamente) di tutti gli altri, eccetto che di se stessi. La prenda come una riflessione estetica, però, non come un augurio di morte (forse, inutile chiarirlo, ma non si sa mai).

    Quanto, poi, mi risponde circa il fatto che gli eventi pubblici richiedano, visti i tempi e data la condizione umana, una reazione emotiva immediata, mi chiedo se un intellettuale, quale lei è, non dovrebbe agire diversamente, e proprio in un momento in cui le reazioni emotive immediate dominano la scena (pensiamo ad esempio a Salvini e alle sue esternazioni sui Rom, solo per citare un esempio). Ma questo è un altro discorso, che ci porterebbe troppo lontano.

    La ringrazio per la sua risposta, e le auguro una buona giornata.

  18. Mentre vi fate un’idea di me mi scuso per avervi annoiati con i miei pensieri poco graditi e rinnovo la mia approvazione all’autore di questo articolo che ho trovato molto concreto e toccante.
    La guerra tra uomini è patetica sia verbale che fisica.BANDIERA BIANCA.

  19. Certo, Michele, il senso era quello, e a un certo punto, a tre righe dalla fine c’è scritto “nessuno di noi” dopo aver scritto “nessuno di loro”.
    Buona giornata a lei.

  20. Sì, Christian, avevo letto il “nessuno di noi”, ma è cosa diversa dal dire “nemmeno io”. Tutto qua.
    Grazie ancora e al prossimo confronto.

  21. Non credo ci si debba continuamente dissociarsi da se stessi per esprimere un parere – anche poetico – credibile. Io non credo nemmeno che l’autoironia sia obbligatoria. Per cosa, poi? Per scontare la colpa di essere letterati? Direi che il “noi”, anche nei suoi obiettivi, Michele, va più che bene: l’autore partecipa di un soggetto collettivo che anch’esso è condannato a non morire. Gli elenchi, ci ha insegnato Borges con “una certa enciclopedia cinese”, sono in larga parte arbitrari, e se pure rivelano il nostro ordine del discorso non vuol dire che dobbiamo conformarli a una perfezione d’ordine che non c’è. E in ogni caso, per me l’ordine universale non potrebbe mai include l’autodafè obbligatorio del letterato o aspirante tale.

  22. oltre all’esercizio di stile non richiesto, non dimentichiamoci l’elenco di autori in linea per giustificarlo,ci mancherebbe. Evitabile,Raimo,stavolta poteva evitarlo.Peccato

  23. Per vivi, rimasti, potrebbe essere una buona occasione per considerare quanto l’incuria, la noncuranza e persino l’indifferenza, possano essere causa di tragedie in cui a farne le spese sono spesso e soprattutto le categorie più deboli. Non voglio neppure sapere i dettagli di questo incidente, una tragedia, sono certa che sarebbe potuta essere evitata se ogni adulto avesse fatto la sua parte, se ogni persona onesta avesse impiegato oltre al proprio dovere, anche l’ attenzione necessaria. Bè, adesso che è successo e che ci ritroviamo a parlarne dai vivi che siamo rimasti, se vivi lo si è dentro, da morti si riesce solo a fare polemica contro chi ne scrive e cerca nel modo suo, sbagliato o no, ruffiano o no, di smuovere le coscienze, come spero si sia mossa profondamentee sinceramente la sua. I miei saluti, Adriana

  24. Adriana, e lei, dando del morto a chi non la pensa come lei, crede di aver mostrato di essere viva?

  25. Mi spiace Michele, che la prenda male e sul personale. Ho scritto che si è morti dentro se si arriva a far polemica su queste vicende e chi in cuor suo, con i mezzi che ha, decide di parlarne. Lei può pensarla come vuole, non so neppure come la pensa, se mai dovessi accusarla di qualcosa, citerò il suo nome e mi rivolgerò direttamente a lei come sto facendo adesso. Sicuramente e senza ironia, lei è più vivo di me, lo metta a frutto. Cordialmente, A.

  26. Come scrittore dico che non mi passerebbe mai neanche per l’anticamera del cervello l’idea di dedicare uno scritto su questa vicenda; esercizio di stile, semplice prece o presunta analisi farcita di pietismo che sia. Lo dico perché come genitore, se il morto fosse mia figlia, questo scritto mi farebbe incazzare al pari di tutte le altre stronzate abissali, demagogiche e retoriche che da 24 ore stanno fioccando sul web come herpes fastidiosi.

  27. Mi piace sempre molto il tuo punto di vista sulle cose, è un piacere leggerti.
    Anche questa volta, con rapidità e leggerezza, senza eccessi o vuoti formalismo, hai saputo raccontare bene una storia terribile. Bravo.

  28. Adriana, io non mi sono sentito chiamare in causa, ho solo fatto una domanda, davvero senza nessuna ironia e senza voler intavolare nessuna gara a chi è migliore. Non riesco a farne quando si tratta di un bambino morto, io.

    I miei saluti.

  29. Non ho mai pensato, Michele, che usasse ironia nel suo scritto. Comprendo come tra le parole e le intenzioni come le interpretazioni si possano evidenziare differenze e malintesi. Si potesse partire con l idea nella maggior parte delle volte, che si è con buone intenzioni. A.

  30. Anch’io trovo fuori luogo queste esternazioni, così a caldo su una tragedia su cui tutti stanno speculando. Nonostante immagino non sia animato da sciacallaggio ma da buoni intenti, lo stesso lo trovo fuori luogo, del tutto. Il silenzio e l’attesa della ricostruzione dei fatti, con relativa sentenza del giudice, è un testo molto più congruo per fatti del genere. Brutta caduta, secondo me, Raimo.

  31. Caro Christian
    non ho letto tutti i commenti, solitamente non mi cimento in letture di scritti emotivi.
    Io solidarizzo con te, per quel che hai scritto, per le ragioni che ti ci hanno portato perché sono le mie.
    Purtroppo è vero che non muore nessuno ma ciascuno di noi, almeno per un attimo, dovrebbe fermarsi a pensare a quel piccolino che, per dirla con parole tue,
    “si fa prendere dal panico, si divincola,
    prova a saltare nello spazio tra i due piani mentre si apre
    un portello all’improvviso”!
    A mio avviso e per quel che credo è quel piccolo momento di preghiera; se del caso anche laica per chi non crede, quel momento di vicinanza che ci rende diversi, lo spero ma purtroppo lo credo sempre meno, dall’animale al quale siamo sempre più portati ad assomigliare.
    Spesso leggiamo di animali che muoiono e ci indignamo. Molto più che per questo bimbetto o per tutti quelli che muoiono di fame o bombardati, inermi, innocenti,
    INNOCENTI è la parola giusta.
    Tempo fa ho scritto una poesia su una ragazza che ha ucciso il padre. Per lei ci furono solo curiosità e chiacchiericcio, nessuno che pensò e cercò di capire il suo dramma.
    Se credi te ne invio una copia

    grazie comunque

    germano

  32. Forse il silenzio nel rispetto di questo bambino era la cosa migliore da fare. Forse bisogna smettere di cercare l’affondo commovente e gratuitamente inutile. Forse bisogna imparare a riflettere e poi concretizzare un gesto, anche di indignazione, ma tanti “non muore …” li trovo francamente banali e poco riflessivi.
    C’è sempre uno solo che muore e tanti che continuano a vivere …
    Chiedo perdono, ma questa mi sembra una vera caduta di stile.

  33. PS: Si mormora che toglieranno lo Strega a Lagioia per darlo al vero vincitore dopo questa poesia

  34. Raimo non si smentisce mai, nel momento in cui servirebbe silenzio – in subordine analisi, ragione, razionalità, pensiero -, per una tragica fatalità che sconvolge prima di tutto una famiglia (che in questi casi muore eccome), ci mette se stesso.

  35. Raimo non si smentisce mai, nel momento in cui servirebbe silenzio – in subordine analisi, ragione, razionalità, pensiero -, per una tragica fatalità che sconvolge prima di tutto una famiglia (che in questi casi muore eccome), ci mette se stesso, vanità, vacuità.

  36. Fenomenale, mi accodo alle sopracitate lodi, il tag “bimbo morto”.

    Leggiadro compromesso tra il “quattrenne schiattato” stile studioaperto e l'”un angelo in più” à l’Avvenire.

    Meno opinionismo politico e più liriche sui cadaveri (freschi)!

  37. Sarà, sbaglierò, ma le parole usate a contestare il testo di Raimo, appaiono ugualmente irrispettose, e il silenzio di certo non rende più onore di chi ne parla, a chi non c’è più. Purchè esista moderazione e rispetto per le vicende umane.

  38. Sono contento di queste reazioni, anche quelle negative e persino quelle liquidatorie.
    Perché qui vuol dire che il ricatto estetico non si esercita. Nella discussione molta gente dice: a me fa cagare sta roba senza rischio di doversi dare dell’insensibile, anzi. Quello che è cambiato rispetto a Pasolini (che scriveva a caldo poesie per i giornali) e Fortini (che glielo rimproverava), con tutti i paragoni del caso ovviamente, è che oggi Tutti reagiamo emotivamente scrivendo, postando, lasciando frasi, riportando articoli. Questi commenti lo sono. E se non ci fossero questi commenti ce ne sarebbero altri. E questo discorso non è mai poetico, ossia non si assume, a mio avviso, mai il rischio dell’ambivalenza o del valore anche estetico. Si dice: non si può dire niente! non si deve dire niente! si deve rispettare il dolore dei genitori! non strumentalizziamo! che indignazione! nulla di tutto questo discorso ampio pervasivo che plasma la nostra percezione del lutto si muove nell’ambiguità delle reazioni emotive meno scontate. Come se ci fosse una sorta di deontologia del lutto, ognuno ne ha una sua personale, perché non ne esiste una comune. Per questo ho scritto questa cosa, sostenendo il rischio che fosse retorica, confusa, irritante.

  39. Questo è uno dei casi in cui essere reazionari è d’obbligo, e diventa doveroso rimpiangere il bel tempo che fu quando il tempo libero e l’inchiostro per scrivere ce l’avevano solo Victor Hugo, Dostoevskij e pochi altri , che scrivevano di bimbi morti e di tutto il resto perché erano capaci di farlo. Mi permetto invece
    per noi di suggerire la regola sempiterna che ho dato a me stesso, chissà non possa essere utile anche a qualcun altro: limitiamoci alle cazzate, ragazzi, che è meglio.

  40. Limitarsi alle cazzate è una scelta molto personale e quindi da non suggerire ad altri. Ognuno li limita a pensare nel pieno della propria onestà intellettuale che, secondo me, è strettamente individuale.
    Il paragone con Pasolini, sebbene nel testo sia scritto con le dovute virgolettature, mi sembra arduo oltre che pretenzioso. Spiegare a noi che tutto questo è un esercizio di libertà, francamente lo trovo riduttivo. Penso, invece, che Lei Raimo ha solo fatto (male) quello che deve fare un giornalista: provocare una discussione. Anche i filosofi hanno lo stesso compito, eppure lo fanno con tutt’altro stile. Dico che Lei ha fatto male questo lavoro perchè, alla fine, siamo qui a discutere del suo stile piuttosto che interrogarci sui molteplici coinvolgimenti emotivi che una immane tragedia come questa scatena.
    Confermo quanto detto nel precedente intervento: una brutta caduta di stile, oltre che un inutile pezzo.

  41. Può anche accadere che in quella folla di astanti qualche cosa, dentro loro, magari non muoia, ma si ammali per un po’ e guarisca poi, molto lentamente, con un fare, istante per istante, più attento e amoroso.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Autore

fandzu@gmail.com

Christian Raimo (1975) è nato a Roma, dove vive e insegna. Ha pubblicato per minimum fax le raccolte di racconti Latte (2001), Dov'eri tu quando le stelle del mattino gioivano in coro? (2004) e Le persone, soltanto le persone (2014). Insieme a Francesco Pacifico, Nicola Lagioia e Francesco Longo - sotto lo pseudonimo collettivo di Babette Factory - ha pubblicato il romanzo 2005 dopo Cristo (Einaudi Stile Libero, 2005). Ha anche scritto il libro per bambini La solita storia di animali? (Mup, 2006) illustrato dal collettivo Serpe in seno. È un redattore di minima&moralia e Internazionale. Nel 2012 ha pubblicato per Einaudi Il peso della grazia (Supercoralli) e nel 2015 Tranquillo prof, la richiamo io (L'Arcipelago). È fra gli autori di Figuracce (Einaudi Stile Libero 2014).

Articoli correlati