
Breve premessa. Nei primi mesi del secolo corrente un Carmelo Bene ormai prossimo alla morte disse che Internet era una “pattumiera planetaria a mare aperto” e che la vera poesia andava cercata altrove. Oggi, oltre vent’anni dopo il monito beniano, la condizione del cosiddetto World Wide Web è evoluta molto ma non sembra essere migliorata, ciononostante, passando al setaccio i siti e i social network, non è impossibile trovare autentici poeti e scrittori che si nascondono online. Non penso ai casi più noti e fortunati, ovvero agli autori presenti sia nelle librerie che nel dibattito pubblico e conseguentemente anche in Rete, né agli aspiranti scrittori popolarissimi sui social che prima o poi potrebbero far gola a un editore e arrivare pure in libreria, bensì a quei pochi “illuminati buoni” (e di talento, e isolatissimi) che Guido Ceronetti cercava di reclutare nel suo Tragico tascabile.
Fine della premessa. Qualche tempo fa, in uno di quei momenti di svago intellettuale che seguono le mie letture o le mie scritture, mi sono imbattuto nelle tavole di un fumetto pubblicate su Instagram. Si intitolava Del mio piangermi addosso (e di come smisi), ed era brevissimo. Non racconterò la storia, ma a un certo punto il protagonista entrava in una locanda in cui sedevano Edgar Allan Poe e Charles Baudelaire. Si presentava e chiedeva se, visto il suo clamoroso fallimento esistenziale, poteva considerarsi loro fratello nello spirito. Nella pagina successiva, per tutta risposta, vengono ritratte le fronti di Poe e di Baudelaire. Sotto c’è scritto: “Baudelaire mi spiegò che non era possibile, perché sia lui che Poe avevano la stessa conformazione del cranio, mentre la mia testa era con ogni evidenza dissimile dalla loro.” Il narratore esce dalla locanda avvilito: un altro fallimento.
La battuta di Baudelaire mi immalinconì ma mi fece anche ridere. L’autore del fumetto si chiamava Dario Faggella; non ne avevo mai sentito parlare e tuttora non ho idea di come fossi finito a leggere quelle pagine. Nondimeno mi incuriosii e scoprii che Faggella era un disegnatore e uno scrittore. Trovai un suo sito molto curato; vidi qualche altro suo disegno e lessi un paio di suoi raccontini non disdicevoli ma neppure spettacolari. Faggella aveva pubblicato un romanzo intitolato Agnello Leone Maiale Scimmia con un piccolo editore e un libriccino dedicato a un fotografo che non conoscevo, Eugène Atget, anch’esso con un editore quasi invisibile. Fui, devo dire, lieto di aver scoperto quell’angolo inesplorato del web. I disegni di Faggella erano molto belli. Alcuni suoi testi erano davvero interessanti. In lui sentivo una sensibilità che mi era prossima e che tuttavia mi sorprendeva per la sua manifesta originalità. Mi sembrava di essere venuto a conoscenza di un segreto che valeva la pena di condividere con le persone che amavo.
Qualche giorno dopo, una volta che la meraviglia di quel primo incontro si era ben sedimentato dentro di me, ordinai il suo romanzo in libreria. Non mi aspettavo un capolavoro, pensando che la peculiarità stilistica di Faggella risiedesse nel disegno abbinato alla scrittura e non nella scrittura solamente. Però il titolo era intrigante: Agnello Leone Maiale Scimmia. Su Internet c’erano soltanto due recensioni su dei siti poco frequentati: un elogio e una stroncatura. La stroncatura era terribile. Capii che Faggella era uno di quegli scrittori che non frequentano il mondo letterario e che dunque (come me) non possono contare sulle recensioni di cortesia. D’altronde la casa editrice del romanzo, Aguaplano Editore, era molto piccola, e oggi la maggior parte dei “critici” chinano le loro teste solo sui libri degli editori amici o grandi o dei più abili frequentatori mondani. Da che mondo è mondo – da che Internet è Internet – una mancata recensione (o una stroncatura) è una stella al merito, per un autore esordiente e isolato.
Il libro arrivò. L’edizione era molto bella, con un disegno di Faggella in copertina che trovai in vendita sul suo sito. Cominciai quindi la lettura e nel giro di poche pagine capii che si trattava di un romanzo meraviglioso. Il giorno dopo lo avevo finito ed ero non solo incantato ma anche deciso a scriverne in modo entusiastico, sebbene non sapessi ancora come indirizzare il pezzo. Sono talmente tante le recensioni positive dei libri che escono ogni settimana, persino ogni giorno! Come potevo far capire ai miei venticinque lettori che Agnello Leone Maiale Scimmia era davvero un libro fuori dal comune? Pensai dunque di buttare giù un articolo “a briglie sciolte”, questo, l’esperienza di un libero lettore (per usare un’espressione cara ad Alessandro Piperno) che consiglia un libro sconosciuto ma straordinario. Sapevo che avrei dovuto tenere a freno il mio entusiasmo.
E arriviamo al presente. Cosa dire di Agnello Leone Maiale Scimmia? Non ho usato la parola “straordinario” a caso, perché l’esordio di Dario Faggella è un romanzo che si legge con facilità e che tuttavia ha uno stile particolarissimo, mai visto altrove. Il narratore abita il mondo con un passo a un tempo goffo e malinconico, come molti poeti e vagabondi del Novecento – penso in particolare a Robert Walser e a Andrea Pazienza, sebbene lo stile di Faggella possa piuttosto essere accostato ad Alberto Savinio (il Savinio di Tragedia dell’infanzia) e a Tommaso Landolfi. Mi si dirà: come puoi osare dei paragoni del genere? Savinio? Landolfi? Walser? Pazienza? Mi giustificherò con un brano del libro.
La situazione è questa: il narratore, ancora un ragazzo, è a letto con una donna anziana e si appresta a praticarle un cunnilingio, cioè quella pratica erotica consistente nella stimolazione linguale dei genitali esterni femminili, come recita la Treccani. Leggiamo. “Le tirai giù i pantaloni, dando alla luce della lampadina le sue mutandine. Non erano di pizzo nero, come immaginavo potessero essere, ma di stoffa e completamente bianche; in alto, come pietra angolare, vi era cucito un piccolo bozzolo di rosa, un vezzo che non mi lasciò indifferente. Le sfilai anche quelle mentre lei inarcava un poco la schiena per coadiuvare l’operazione, e allo scorrere della stoffa prendeva man mano volume, frondoso, un folto pube sbiadito, davvero molto fitto, che mi inibì per qualche istante, poi mi convinsi di qualcosa e mi risolsi a passarci sopra la lingua, ma un odore nauseabondo mi entrò con violenza nelle narici del naso, come se gli umori vaginali trattenuti da quei peli rilasciassero la pungente fragranza per punirmi l’olfatto. E mentre la mia lingua passeggiava avanti e dietro sul vello, mi parve impossibile raggiungere alcun lembo di carne, tanto quella peluria era fronzuta e selvosa, la quale, a conti fatti, finiva per fare da accesso invalicabile al frutto proibito, facendomi sentire un semplice gatto che allisciava il pelo a un altro felino. Tra le mie gambe tutto andava a deperire, e nel mio didentro tentavo di incoraggiare Eros a frullare le ali, e lui si sforzava, ce la metteva tutta, ma poi desisteva e mi confessava: questo è troppo anche per me. Ella vide che cincischiavo presso il suo antro boscoso, allora si piegò verso di me e con la mano mi alzò dolcemente il mento, poi mi disse: non devi farlo per forza. Io abbassai gli occhi tristi verso un angolo della camera, e mi chiesi se la ragione metaforica di quella stanza non fosse quella di una cripta e io non fossi di conseguenza capitato nella tomba dell’amore.”
Come si vede lo stile è davvero particolare; di scrittori del genere ve ne sono pochi. Nel giro di qualche rigo Faggella passa dalla comicità alla malinconia più profonda e quasi disperata, fino alla “tomba dell’amore”, alla morte; siamo dalle parti di Eros e Thanatos, però qui si ride e ci si commuove e da ultimo ci si incanta, come in molti altri episodi del romanzo. Leggere Agnello Leone Maiale Scimmia è infatti un’esperienza tanto narrativa quanto estetica e emozionale.
Riapro il libro, leggo altri brani. Potrei citarne parecchi, perché il romanzo ha una forte unità stilistica e non ci sono pagine malriuscite o anche soltanto deludenti. Mi vengono in mente – per incuriosire pure il lettore più scettico – la comparsa del demone Daiano, o il fantomatico popolo dei Girls, o i “bulli che ballano sulla piattaforma del mio cuore”, o un irresistibile esorcismo, o un uomo che tenta di nascondersi nel proprio prepuzio, o un’incurabile ossessione mammellare, o perfino una difesa di Don Abbondio e degli ignavi di Dante! E tutto questo senza cali di ritmo né note stonate; la grazia di Faggella è a tratti comica e a tratti inquieta ma sempre, sempre efficace e dolcissima. Per giunta la struttura del libro è solida, divisa in cinque parti (Nascita, Infanzia, Adolescenza, Maturità, Morte) volte a racchiudere l’intera esistenza del narratore e forse dell’autore, benché il romanzo non sia affatto un’autofiction né un’autobiografia ma piuttosto una narrazione o confessione mistica – una ballata! – che rifugge ogni tentazione realistica.
“Ho da sempre una forte repulsione verso la realtà e ogni forma di realismo” avverte Dario Faggella nella parte dell’adolescenza, arrivando a definirsi acerrimo nemico della realtà; ciononostante il suo fantasioso narratore – che a tratti sembra lui stesso – dovrà far fronte anche all’incombere del reale e ai divertenti disastri che ne conseguono. Ci sono pagine che strappano delle risate liberatorie.
Ma non voglio rivelare troppo di Agnello Leone Maiale Scimmia. Il romanzo si può ordinare in libreria e spero di aver incuriosito almeno due o tre lettori attenti, magari quegli “illuminati buoni” di cui scriveva Ceronetti; non rimarranno delusi. Il secondo libro di Faggella, uno smilzo volumetto dedicato al fotografo francese Eugène Atget (Eugène Atget, Parigi in dissolvenza, Coppola Editore), è anch’esso particolare, sebbene si tratti di un’opera minore. A un certo punto, in una pagina molto riuscita, Atget dice: “Siamo fantasmi destinati a svaporare, tutti quanti.” Ecco: anche i nostri libri svaporeranno, scompariranno, come noi lettori e autori, ed è bene che sia così, perché altri uomini e altri libri devono prendere il nostro posto e farci dimenticare. Tuttavia mi conforta sapere che opere quali Agnello Leone Maiale Scimmia – e ce ne sono poche – possano rimanere a lungo nei cuori di chi ha saputo leggerle e amarle e magari consigliarle o diffonderle. Di tutto resta un poco, dice una bella poesia di Carlos Drummond de Andrade. Credo che Dario Faggella sarebbe d’accordo.
Edoardo Pisani, nato a Gorizia nel 1988.
Mi hai incuriosita e penso che leggerò il libro.
Sono Convinta di fare parte di una schiera più numerosa dei due o tre che indichi e dei venticinque di manzoniana memoria che, a tuo dire, ti seguirebbero.
Grazie per il commento, spero che il libro ti piaccia. E approfitto di queste due righe per segnalare un mio piccolo refuso nel quarto paragrafo del pezzo: “una volta che la meraviglia di quel primo incontro si era ben sedimentato dentro di me”. Non ci si rilegge mai abbastanza, a quanto pare!