di Gaia Cangioli
Il libro di cui voglio parlare è uscito in Francia con il botto a gennaio del 2020, ha venduto tantissimo subito, è stato ristampato tre volte in poche settimane, l’autrice era intervistata ovunque, la casa editrice Grasset ha venduto i diritti di traduzione in quasi quaranta lingue facendo anche delle aste perché in diversi paesi c’erano più editori interessati. Poi è arrivato il lockdown e i volumi sono rimasti nelle vetrine chiuse delle librerie, sugli scaffali irraggiungibili, perché non alimentari, dei supermercati, ma i lettori hanno continuato ad arrivare, dopo un anno era già in tascabile e oggi in Francia ha raggiunto le 300 mila copie vendute. Viene studiato già a scuola e tra pochi mesi inizieranno le riprese del film omonimo. Si chiama Il consenso, la sua autrice è Vanessa Springora. 
Di cosa parla? All’inizio sembra la confessione alla prima persona di una donna, V., come Vanessa, che, ormai adulta, per la prima volta, riesce a raccontare di quando negli anni ottanta, da ragazzina, ha avuto una storia con un uomo che aveva trentacinque anni più di lei. Il lettore crede di intravedere una strana infatuazione di una tredicenne parigina insicura, con una famiglia assente, che si lascia corteggiare da uno scrittore affermato e popolare. Sullo sfondo percepisce una società popolata da intellettuali ex sessantottini, ancora ferventi sostenitori dello slogan “vietato vietare” e della libertà sessuale per tutti, quindi anche dei minorenni.
Molto rapidamente arriva il disagio, lo squilibrio tra le parti è palpabile, la manipolazione dello scrittore è palese, fino alla rivelazione che G., (perché anche lo scrittore è identificato solo dall’iniziale del suo nome), spesso va nelle Filippine in cerca di bambini con cui avere relazioni sessuali a pagamento. Il lettore fa questa scoperta insieme a V., che di nascosto legge i diari di G. pubblicati dal più famoso degli editori francesi, e inizia a sentirsi colpevole, complice dell’uomo che ama, che altro non è se non un pedofilo.
V. è sconvolta e decide di mettere fine alla loro storia, ma il predatore non ha nessuna intenzione di lasciarla andare, lei gli appartiene e soprattutto è una fonte di ispirazione per il suo lavoro. Le tappe del calvario di V. fino ad oggi sono molte: in sostanza lo scrittore ignorerà il suo bisogno di rifarsi una vita, di ricostruirsi dopo la loro storia; la perseguiterà per anni e si vendicherà tramite i suoi libri per aver osato abbandonarlo.
Questo libro mi ha conquistata dalla prima pagina, la prima volta che l’ho letto, tutto d’un fiato. Poi quando mi sono messa a lavorarci per tradurlo in italiano ho fatto più corse sulla sua giostra impazzita. L’autrice, infatti, mi ha teso la stessa trappola seduttiva che aveva impiegato G. con lei. Ovviamente fin dall’inizio avevo capito che come nelle fiabe, lei sarebbe finita vittima di qualcosa di tremendo, ma Springora non ha mai ceduto alla rabbia, al vittimismo, alla vendetta, il suo stile linguistico e la sua costruzione narrativa sono rimasti lucidi e obiettivi e quindi siamo finite insieme nel baratro, quasi senza accorgercene. Quando è arrivata la scoperta della serialità descritta nei diari, la giostra si è staccata facendomi cadere insieme a V. Me la sono immaginata sola, sull’asfalto, al buio, ferita, completamente spaesata. E lì è anche cambiato il suo stile, è diventato più allusivo, il suo racconto più onirico, e la vedevo perdere il contatto con la realtà, diventare evanescente, mi stava sfuggendo dalle mani, faticavo a trattenerla e infatti se ne è andata. Quando è tornata raccontava di aver avuto una crisi psicotica e di essere stata ricoverata. Ecco di nuovo freddezza e lucidità mentre ripercorre la sua lenta ricostruzione minata dalle imboscate di G. Anche quando l’ho incontrata, qualche settimana fa, non abbiamo parlato di lui, ma in fondo ai suoi occhi ho letto come un’interrogazione angosciata: mi farà ancora del male? starà preparano un’altra mossa? G., oggi quasi novantenne, continua a interpretare il ruolo che si è attribuito sin dall’inizio, ovvero quello di vittima, di perseguitato, adesso da questo libro, e credo che invertire i ruoli sia ancora un modo per non prendersi alcuna responsabilità.
A questo proposito, meritano attenzione alcune delle etichette che sono state usate da certa critica come quella di vendetta, per esempio, o di testimonianza del movimento #metoo. Certo è una testimonianza al femminile di una vittima, che ha osato uscire dall’ombra e liberarsi dal senso di colpa (per aver per l’appunto dato il proprio consenso). Ma sicuramente non è una vendetta, al limite un legittimo bilanciamento dei punti di vista, dato che per anni abbiamo sentito solo una campana, ovvero quella di G., i cui libri sono stati in circolazione fino all’uscita di questo.
Un altro spunto di riflessione è la nozione di consenso sulla quale l’autrice e il suo testo ci interrogano dalla prima all’ultima pagina, chiedendoci: che valore ha il consenso di una tredicenne di fronte a un predatore sessuale di cinquant’anni, famoso scrittore osannato dalla critica e dalla società? Perché di fatto G. non le ha chiesto di andare a letto con lui in cambio di un qualche favore e non l’ha neppure violentata, ma tutto il resto allora può andare? Inoltre questo consenso non è solo il suo, ma quello di un’intera società che ha permesso che i fatti avvenissero in piena impunità e ne ha protetto il responsabile. Per questo il titolo non contiene un aggettivo possessivo, che avrebbe potuto dar vita a il mio consenso, perché è anche quello della famiglia, degli editori di G., degli insegnanti, un consenso diffuso.
Per concludere, vorrei riconoscere a Springora anche il merito di un grandissimo coraggio nel consegnarci la sua testimonianza, nel raccontarci i suoi fatti più intimi, perché, anche se devo fare uno sforzo per crederci, purtroppo non tutti i lettori saranno benevoli nei suoi confronti. Ci sono anche quelli che non amano le confessioni di questo tipo e che le metterebbero volentieri sotto il tappeto, anche se penso che questo libro, prima o poi li farà inciampare. A tutti gli altri auguro buona lettura e buona scoperta di un’opera destinata a diventare, a mio avviso, un classico del genere memoir.
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(Gaia Cangioli insegna alla Sorbona ed è traduttrice, consulente editoriale e agente letteraria)
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Vanni Santoni (1978), dopo l’esordio con Personaggi precari ha pubblicato, tra gli altri, Gli interessi in comune (Feltrinelli 2008, Laterza 2019), Se fossi fuoco arderei Firenze (Laterza 2011), la saga di Terra ignota (Mondadori 2013-2017), Muro di casse (Laterza 2015), La stanza profonda (Laterza 2017, dozzina Premio Strega), I fratelli Michelangelo (Mondadori 2019), La verità su tutto (Mondadori 2022, Premio Viareggio selezione della giuria), Dilaga ovunque (Laterza 2023, Premio selezione Campiello). È fondatore del progetto SIC (In territorio nemico, minimum fax 2013); per minimum fax ha pubblicato anche Emma & Cleo (in L’età della febbre, 2015) e il saggio La scrittura non si insegna (2020). Scrive sul Corriere della Sera.
Il suo ultimo romanzo è Il detective sonnambulo (Mondadori 2025).

Anche se l’autrice di questo pezzo se ne vede bene dal farlo, si sarebbe dovuto contestualizzare la vicenda citando chiaramente Gabriel Matzneff e i suoi trascorsi con la Springora; Matzeneff che tra l’altro, ha risposto alla signora pubblicando lo scorso anno “Vanessavirus”. Il motivo per cui “Consenso” sia passato inosservato nel nostro paese mi pare abbastanza chiaro: Matzeneff, e ancor di più la Springora, in Italia non se li incula(ops!) nessuno.
varrebbe la pena ricordare anche quanto cazzo era scarso come scrittore Matzneff 😀