 
			Nuovo appuntamento con la rubrica a cura di Anna Toscano. Dieci domande a poetesse e a poeti per cercare di conoscere i loro primi avvicinamenti alla poesia, per conoscere i loro albori nella poesia, quali siano stati i primi versi e i primi autori che li hanno colpiti, in quale occasione e per quali vie, e quali i primi che hanno scritto. Le altre puntate sono qui.
Qual è la poesia che hai incontrato, e quando, che ti ha fatto pensare, per la prima volta, che fosse qualcosa di fondamentale?
L’aquilone di Pascoli mi pare di ricordare, a 10 anni circa. A scuola, dalla amate e crudeli suorine del Preziosissimo Sangue. Poi chiesi a mia madre di quella poesia che me la rilesse con la sua voce.
Scoprii solo anni dopo che la poesia di Pascoli aveva una seconda parte, quella sicuramente più straziante che ancora oggi mi tormenta (soprattutto la parte finale):
«Più su, più su: già come un punto brilla / lassù lassù… Ma ecco una ventata / di sbieco, / ecco un trillo alto… – Chi strilla? // Sono le voci della camerata / mia: le conosco tutte all’improvviso, / una dolce, una acuta, una velata… // A uno a uno tutti vi ravviso, / o miei compagni! e te, sì, che abbandoni /su l’omero il pallor muto del viso // Sì: dissi sopra te l’orazïoni, / e piansi: eppur, felice te che al vento / non vedesti cader che gli aquiloni! // Tu eri tutto bianco, io mi rammento; / solo avevi del rosso nei ginocchi, / per quel nostro pregar sul pavimento. // Oh! te felice che chiudesti gli occhi / persuaso, stringendoti sul cuore / il più caro dei tuoi cari balocchi! // Oh! dolcemente, so ben io, si muore / la sua stringendo fanciullezza al petto, / come i candidi suoi petali un fiore // ancora in boccia! O morto giovinetto, / anch’io presto verrò sotto le zolle / là dove dormi placido e soletto: // meglio venirci ansante, roseo, molle / di sudor, come dopo una gioconda / corsa di gara per salire un colle! //Meglio venirci con la testa bionda, / che poi che fredda giacque sul guanciale,/ ti pettinò co’ bei capelli a onda // tua madre… adagio, per non farti male».
Qual è il primo autore o autrice che ti è rimasto/a in mente come poeta?
Pascoli appunto e il Leopardi del Sabato del villaggio; e non ricordo come Campana (In un momento), quelle rose dimenticate
In un momento / Sono sfiorite le rose / I petali caduti / Perché io non potevo dimenticare le rose / Le cercavamo insieme
Abbiamo trovato delle rose / Erano le sue rose erano le mie rose / Questo viaggio chiamavamo amore / Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose / Che brillavano un momento al sole del mattino / Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi / Le rose che non erano le nostre rose / Le mie rose le sue rose // P. S. E così dimenticammo le rose.
Tuttavia al liceo cominciai a leggere gli autori nella loro completezza, laddove pure si trovavano traduzioni integrali o antologie. Trakl, senza dubbio, e poi Rilke, Eliot e Laforgue. E il Pianissimo di Sbarbaro.
C’è stata una persona o un evento nella tua infanzia, o giovinezza, che ti ha avvicinato alla poesia? Chi era? Come è accaduto?
Sicuramente mia madre, più che per una espressa volontà di farmi leggere, per una sottile e musicale gestualità interiore che mi suggeriva ‘le cose’, i sentimenti, l’approssimarsi alle parole, la vicinanza comunicativa del silenzio.
A cose fatte, fu più facile interagire con alcuni amici e scambiarsi libri e opinioni e fantasticherie. Foggia negli anni Settanta del secolo scorso, pur nella sua chiusa grettezza, in fondo era meglio di tante grandi città oggi – fondamentalmente autistiche dal punto di vista culturale e poetico.
Eravamo lontani da tutto e in qualche modo aperti, a cosa non so – probabilmente all’esperienza, che fosse poetica o politica.
Quali sono i primi libri di poesia che hai cercato in una biblioteca o in una libreria?
In una libreria. In biblioteca, se non per ragioni di studio, non ho mai preso libri in prestito, né mi alloggiavo lì a leggerli. Trakl, appunto, Rilke, Laforgue, poi Eliot, Edgar Lee Masters.
Parte della mia educazione poetica la debbo anche alla musica – da Joni Mitchell a Robert Wyatt (i miei fondamentali) ai primi Genesis ai van Der Graaf Generator fino a Patti Smith. Senza trascurare Bach e Mahler, Bill Evans e John Coltrane.
Il primo verso, o la prima poesia, che hai scritto e che hai riconosciuto come tale: quando è stato e in quale circostanza?
Non me lo ricordo. Ricordo che avevo un quaderno o un’agenda blu su cui scrivevo ‘a manetta’ – sotto l’effetto della Recherche proustiana.
Poi vari quaderni con tentativi teatrali alla Hofmannsthal.
Quando poi i versi sono arrivati copiosi, quali sono stati i tuoi pensieri?
Nessun pensiero. Era il mio brodo. Scrivevo, come camminavo. I pensieri sono arrivati all’università, i dubbi, la ricerca di una forma. Per fortuna il molto studio non mi ha fatto del male, e piano piano mi sono liberato da quanto ho imparato, diciamo così.
Quando hai avuto tra le mani le tue prime poesie pubblicate, cosa è accaduto?
Gratitudine, soddisfazione e ‘vergonazione’. Come tutti mi sono vagamente impettito, tuttavia la mia riservatezza di poeta appartato (facciamoci due risate) ha custodito quel po’ di dignità e decenza che poco vedo in giro oggidì.
Son tutti lì, grandi e piccini e piccine a muover la capuzzella (in sovrappiù in clausola) – malfermi bruchi – quando si fanno partecipi di lor medesimi scriventi, o leggenti sé medesimi con compunta e profonda partecipazione.
La poesia per te è più di una fede o quasi una fede?
Una fede totale ma in niente (per parafrasare Claudio Parmiggiani). Una derisa e svilita cieca fedeltà. Potrei morire se non potessi o dovessi scrivere più, potrei anche vivere tuttavia
Parafrasando Claudio-e-Baglioni:
senza te
morirei
senza te
viverei
La poesia inizia?
Mai. L’inizio è sempre il secondo verso di un altro verso inarrivabile, di un silenzio a cui dovremmo attenerci ma che violiamo ogni volta per sciocco sussiego. Nessuno è l’inizio di qualcosa, nessuno fa l’inizio di qualcosa. È un cominciamento ininterrotto e già fallito.
La poesia finisce?
Vorrei rispondere no. Ma è un discorso lungo e complesso e io non sono più in grado di fare discorsi lunghi. Concinnus in brevitate respondendi.
Si finisce di leggere poesia magari, la si va a cercare in altri luoghi, in altri testi che non si dicono poetici.
Siano noi che finiamo magari, meglio così – per tutti e per la poesia.
Anna Toscano vive a Venezia, insegna presso l’Università Ca’ Foscari e collabora con altre università. Un’ampia parte del suo lavoro è dedicato allo studio di autrici donne, da cui nascono articoli, libri, incontri, spettacoli, corsi, conferenze, curatele, tra cui Il calendario non mi segue. Goliarda Sapienza e Con amore e con amicizia, Lisetta Carmi, Electa 2023 e le antologie Chiamami col mio nome. Antologia poetica di donne vol. I e vol. II. Molto l’impegno per la sua città, sia partecipando a trasmissioni radio e tv, sia attraverso la scrittura e la fotografia, ultimi: 111 luoghi di Venezia che devi proprio scoprire, con G. Montieri, 2023 e in The Passenger Venezia, 2023. Fa parte del direttivo della Società Italiana delle Letterate e del direttivo scientifico di Balthazar Journal; molte collaborazioni con testate e riviste, tra le altre minima&moralia, Doppiozero, Leggendaria, Artribune, Il Sole24 Ore. La sua sesta e ultima raccolta di poesie è Al buffet con la morte, 2018; liriche, racconti e saggi sono rintracciabili in riviste e antologie. Suoi scatti fotografici sono apparsi in guide, giornali, manifesti, copertine di libri, mostre personali e collettive. Varie le esperienze radiofoniche e teatrali.

 
                    
				 
                    
				 
                    
				 
                    
				 
                    
				