Seconda puntata della nuova rubrica a cura di Anna Toscano, a cadenza quindicinale. Dieci domande a poetesse e a poeti per cercare di conoscere i loro primi avvicinamenti alla poesia, per conoscere i loro albori nella poesia, quali siano stati i primi versi e i primi autori che li hanno colpiti, in quale occasione e per quali vie, e quali i primi che hanno scritto. La prima puntata è qui.
Qual è la poesia che hai incontrato, e quando, che ti ha fatto pensare, per la prima volta, che fosse qualcosa di fondamentale?
I primi versi che si sono impressi nel mio immaginario per forza evocativa e per bellezza risalgono al periodo liceale, non appartengono alla poesia italiana ma inglese, mi riferisco alla celebre Ode to Nightingale di Keats, una lirica che accostavo istintivamente al canto L’infinito di Leopardi, due composizioni nate nello stesso anno. Entrambi le poesie rappresentavano per me, prima ancora di una prospettiva privilegiata sul pensiero romantico, la possibilità stessa del linguaggio e la sfida che doveva affrontare la poesia moderna.Sia Keats che Leopardi si soffermano sul rapporto tra natura e immaginazione.La precaria esistenza delle creature viene in quei versi sollevata dalla propria condizione grazie allo strumento della poesia. Se il canto dell’usignolo, allegoria della forza lirica, era lo stesso che poteva sentire la Ruth biblica così l’infinito leopardiano ero lo stesso dall’inizio dei tempi ossia quella misteriosa capacità dello sguardo umanodi distinguersi dall’avvicendarsi tragico e insensato degli avvenimenti dellastoria. Keats e Leopardi, ai miei occhi di ragazzo, condensavano conle loro biografie e con le loro composizioni,la frattura tragica tra natura e cultura ma, allo stesso tempo, il loro canto era il sublime che si nasconde in ogni singolo uomo. Il canto di Keats, il suono di Leopardi,sonoveramentesenza fine ossia aldilà della caducità del tempo. In quelle due liriche vi riconoscevo qualcosa di fondamentale e di fondativo: sono stati gli strumenti attraverso i quali ho cercato di interpretare l’essenza dell’uomo in età adolescenziale.
Qual è il primo autore o autrice che ti è rimasto/a in mente come poeta?
Oltre ai già citati, direi Rimbaud, durante la prima adolescenza. Leggevo e rileggevo le sue liriche e i suoi poemi in prosa. Chanson de la plus haute tour era la lirica che più amavo.
C’è stata una persona o un evento nella tua infanzia, o giovinezza, che ti ha avvicinato alla poesia? Chi era? Come è accaduto?
Da bambino leggevo i versi propostici dalla maestra delle elementari e in quell’occasione mi sono imbattuto nelle poesie di Pascoli e in Chanson de Roland del ciclo carolingio. In classe leggemmo la parte in cui l’eroe della cerchia di Carlo Magno suona il corno per avvertire dell’attacco subito dalla retroguardia da parte di un drappello saraceno. Mi colpì il particolare del sangue che scorre dall’orecchio di Orlando, un particolare non da poco, a rifletterci da adulto. L’eroe, al contrario di Odisseo, che resta legato all’albero maestro pur di sfidare il canto delle sirene, è ferito dal proprio stesso canto, che però ha anche una funzione salvifica. Ancora qualcosa che riguarda l’essenza stessa della poesia e che avrei poi ritrovato da adolescente in Keats e Leopardi. Per quanto riguarda la Chanson de Roland, non potevo capire le implicazioni ideologiche e religiose della vicenda narrata, la lotta tra l’esercito cristiano e “l’infedele saraceno”. Tra l’altro la cronaca ci restituisce la vera storia di quella battaglia: Carlo Magno venne sconfitto dalla resistenza basca e non da popoli islamici insediatici in Spagna. Ciò che mi legava a quei versi era invece la forza plastica della narrazione oltre al portato allegorico della ferita. Debbo alla maestra delle elementari e alla scuola pubblica la possibilità di aver letto e studiato quei testi.
A scuola la poesia si legge e si studia, sta alla sensibilità dei docenti e degli alunni farne tesoro.
Quali sono i primi libri di poesia che hai cercato in una biblioteca o in una libreria?
Come per molti ragazzi della mia generazione, oltre la scuola, la musica ha fatto da viatico per la poesia. Leggevo i poeti maledetti o i poeti beat perché citati dai cantanti che maggiormente amavo. In quel periodo ho letto l’opera di Baudelaire e di Arthur Rimbaud, acquistate in edizioni economiche. Contemporaneamente leggevo i poeti della nostra tradizione novecentesca, Ungaretti e Montale. Dopo ci sono state le riviste cartacee che mi hanno aiutato nella scelta dei volumi da comprare. Ricordo in particolare l’acquisto del volume del poeta praghese Vladimir Holan, Il poeta murato, definito da Pasolini post-ermetico. Ma Holan è anche l’autore di Una notte con Amleto e di Una notte con Ofelia, due testi sulla scommessa estrema del fare poesia. A queste scoperte giovanili aggiungerei sicuramente l’acquisto e la lettura dell’edizione Feltrinelli di The wasteland di Eliot e del Poema della separazione, insieme con Poema della montagna, di Marina Cvetaeva, capolavori che mi hanno spalancato le possibilità liriche e compositive delle versificazioni dal passo lungo.
Un altro evento che mi fa piacere ricordare è l’incontro con la voce di Carmelo Bene. A Napoli si presentava il volume della sua opera omnia pubblicata per Bompiani, Bene non venne alla presentazione, ma quella stessa seraandò in scena nel teatro della Mostra d’Oltremare il suo Hamlet suite. Ero uno studente universitario, seduto in prima fila per ascoltare il poeta-attore insieme a tanti intellettuali napoletani. Ricordo la figura di Vittorio Russo accompagnato dai suoi allievi che applaudiva in piedi al termine della messa in scena. Dopo pochi mesi ho ascoltato di nuovo Bene dal vivo leggere i Canti di Leopardi. In quell’occasione ho potuto fare i conti con la poesia nella sua veste orale.
Il primo verso, o la prima poesia, che hai scritto e che hai riconosciuto come tale: quando è stato, e in quale circostanza?
Ho iniziato a scrivere versi da bambino ispirandomi ai poeti che leggevo. Intorno ai vent’anni ho iniziato a scrivere versi che restavano vivi sulla pagina, che avevano una loro dignità compositiva. Poco dopo sono arrivati i versi iniziali di quello che sarebbe diventato un poema, Ogni cinque bracciate. In una sola mattinata ho scritto le prime due sequenze sulla vicenda delle nuotatrici della ex DDR. Questa è stata la genesi più sorprendente e la prima che mi abbia messo di fronte ad un progetto poetico che reputavo importante. Il testo lo avrei concluso nel giro di qualche anno. Per me è stata un’esperienza fondamentale attraverso la quale ho potuto sperimentare i vari aspetti della scrittura creativa, compreso lo studio delle forme metriche del passato e la ricerca delle fonti storiche. Mi piaceva l’idea di produrre una poesia iper-strutturata ma allo stesso tempo piana e con una vocazione anche narrativa che andasse aldilà del lirismo. La Storia e la cornice dovevano essere centrali così come le vicende intime delle protagoniste delpoema.
Quando poi i versi sono arrivati copiosi, quali sono stati i tuoi pensieri.
È stata un’epifania, una scoperta. Capisci di essere esposto, aperto. La poesia ti mette in relazione con la parte più intima del linguaggio, per questo motivo lavorare ai primi versi è qualcosa che ti segna, che stabilisce la tua parabola esistenziale. In fondo si decide tutto in quel frangente.
Quando hai avuto tra le mani le tue prime poesie pubblicate, cosa è accaduto?
È stato l’inizio di un percorso ma anche la fine di un laboratorio personale e solipsistico durato anni quindi direi che ho provato gioia e un po’ d’ansia.
La poesia per te è più di una fede, o quasi una fede?
Capisco cosa intendi per fede e in linea di massima sono d’accordo con l’utilizzo di questo termine per indicare l’abnegazione alla scrittura poetica. La poesia è una condizione, un modo di pensare e di guardare le cose. Chi scrive poesia traccia un solco, perimetra uno spazio nel quale fondare una città, ma direi che l’attesa degli auspici non corrisponde necessariamente ad un atto di fede.
La poesia inizia?
La poesia inizia con un moto sotterraneo del linguaggio, è una stazione nella quale ci troviamo a sostare per un periodo più o meno lungo. Si potrebbe dire che la scrittura del testo poetico sia la graduale messa a fuoco di uno spettro, di un fantasma e di un’irradiazione luminosa che si frappone tra noi e il mondo.
Quando inizio un libro è perché una figura esemplare occupa il mio spazio mentale. Vernant ci ha chiarito come la figurazione sia una componente fondamentale per la cultura occidentale. Non parlo quindi di simboli o di metafore ma della figurazione del testo poetico. L’immagine non è banalmente la rappresentazione che ha l’io del mondo. Certo il ritmo è importante, ma la poesia non può e non deve essere soltanto metrica o esercizio di stile.
La poesia finisce?
Finisce quando uno spazio mentale si esaurisce e si torna alla mera cronaca del mondo, quando i codici condivisi della realtà sostituiscono in tutto e per tutto il suono e l’immagine che ci occupavano la mente.
Anna Toscano vive a Venezia, insegna presso l’Università Ca’ Foscari e collabora con altre università. Un’ampia parte del suo lavoro è dedicato allo studio di autrici donne, da cui nascono articoli, libri, incontri, spettacoli, corsi, conferenze, curatele, tra cui Il calendario non mi segue. Goliarda Sapienza e Con amore e con amicizia, Lisetta Carmi, Electa 2023 e le antologie Chiamami col mio nome. Antologia poetica di donne vol. I e vol. II. Molto l’impegno per la sua città, sia partecipando a trasmissioni radio e tv, sia attraverso la scrittura e la fotografia, ultimi: 111 luoghi di Venezia che devi proprio scoprire, con G. Montieri, 2023 e in The Passenger Venezia, 2023. Fa parte del direttivo della Società Italiana delle Letterate e del direttivo scientifico di Balthazar Journal; molte collaborazioni con testate e riviste, tra le altre minima&moralia, Doppiozero, Leggendaria, Artribune, Il Sole24 Ore. La sua sesta e ultima raccolta di poesie è Al buffet con la morte, 2018; liriche, racconti e saggi sono rintracciabili in riviste e antologie. Suoi scatti fotografici sono apparsi in guide, giornali, manifesti, copertine di libri, mostre personali e collettive. Varie le esperienze radiofoniche e teatrali.
