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«Nel cervello di mia madre c’è un gruppo di stelle che formano una costellazione il cui nome è quello del ricordo affettivo che le accende».

Memoria perduta e memoria conservata. Memoria che cede piccoli pezzi, che arretra lasciando posto all’oblio, elettrodi che ne riproducono frammenti di luci, minuscole esplosioni qua e là, flash, barlumi, stelle che escono fuori da frammenti di altre stelle, pianeti esplosi, galassie, nebulose, deserti da riempire, deserti mentali. Stelle personali, stelle di tutti, ricordo del singolo, ricordo del paese.

Una donna anziana che, in seguito a crisi epilettiche, vomita, cade e sviene; di quei momenti non ricorda niente e si dispera, perché siamo fatti di ogni sfumatura, di ogni gesto che compiamo nel quotidiano, perciò ogni istante scomparso dalla mente è perduto, e con lui se ne va una parte di noi. La scrittrice cilena Nona Fernández è sua figlia, ed è bravissima anche stavolta: davanti allo schermo che riproduce, durante una risonanza, l’attività cerebrale di sua mamma, visualizza pianeti, stelle, lo zodiaco, il tempo andato e venuto, il tempo a venire, e comincia a riflettere sulle origini di ogni ricordo, e comprende, attraverso l’osservazione e la successiva scrittura, l’importanza di ogni segmento di memoria, di cosa siamo composti, di come – e qui il parallelo con le stelle – ogni frammento, scarto di materia delle altre memorie ci disegni, costruisca, rappresenti.

Fernández ha una prosa bellissima e in Voyager – memoir, saggio storico e scientifico, romanzo – passa dall’osservazione dell’universo al giardino di casa, dalla memoria personale a quella collettiva, e quindi, con naturalezza (quasi magica) arriva alla dittatura cilena, ai morti, ai desaparecidos, alla ricerca dei corpi, al dolore di chi sopravvive.

Nona Fernández a un certo punto scrive: «La parola ricordare, com’è risaputo, deriva dal latino recordari, ed è formata dal prefisso re, che indica una ripetizione, e dalla parola cordis, che significa cuore. Dunque, ricordare, stando all’etimologia, significa richiamare in cuore. Ma, se ogni volta che ricordiamo, una costellazione di neuroni si accende da qualche parte nel nostro cervello, bisognerebbe supporre che il cervello e il cuore, come due pesci legati per la coda, siano strettamente uniti».

Supponiamolo, allora. Non è solo una suggestione quella di Fernández ma qualcosa di più, la costellazione di neuroni che s’accende rimanda nuovamente alle stelle e ai pianeti, ma pure alle costellazioni familiari, intime. La memoria è sempre un fatto di cuore, ricordiamo con i sentimenti, e siamo tutti collegati, per questo il viaggio della scrittrice cilena passa dalle fotografie dell’infanzia all’osservazione dei pianeti, dalle nebulose all’esplosione della verità, dai ricordi da salvare di sua madre a quelli incancellabili di una donna a cui la dittatura di Pinochet ha portato via il marito. E così via.

Fernández, proprio come se seguisse una scia luminosa lasciata da un frammento di stelle, prende polvere e materia e la trasferisce sulla pagina e passa dal racconto della sua nascita a quello di una cerimonia di Amnesty che intesterà ventisei stelle ad altrettante vittime, cileni giustiziati, ormai quasi cinquant’anni fa, dalla Carovana della Morte; lei stessa sarà madrina di una delle stelle, di uno dei morti, e ne racconta le storia, attraverso l’incontro con sua moglie, che non ha mai smesso di cercare – insieme ad altre donne – il corpo, le ossa, un frammento di suo marito nel deserto di Atacama in Cile.

Posto meraviglioso e doloroso, luogo della memoria, luogo in cui le stelle paiono splendere di più e quasi avvicinarsi. L’autrice prosegue, scrive della commozione della cerimonia nel deserto, le lacrime di tutti, l’abbraccio dell’astrologo con la vedova, lo sgomento, il senso di perdita, il senso di tutto. Va avanti, Fernández, tra astri, segni zodiacali, Pinochet, il passaggio alla democrazia che non si compie, elezioni pilotate, una Costituzione piena di falle, di inganni, di trucchi. Arriva al suo giovane figlio, ragazzo consapevole che non si piega, è libero, vede le mancanze politiche, vede le incongruenze della democrazia cilena, vede che c’è tanto da fare e sa che la schiena va tenuta dritta, come ha fatto anche chi è stato trucidato.

Che differenza c’è tra un sogno e un ricordo? Esiste un certo limite che li separi? Un territorio che non abbiano in comune? Sono imbastiti con fili di vento, tagliati dalla lama sottile di un bisturi. Sono volatili, confusi, bizzosi, è così facile confonderli, ingarbugliarli, che forse neanche vale la pena provare a distinguerli.

La storia del Cile e degli astri ci riguarda, come le memorie individuali – fatte di cervello e cuore, di neuroni e di specchi rotti – si intessono a quelle collettive, la storia di ognuno è sempre quella degli altri, ogni ricordo va salvaguardato, e questo è un compito di un familiare, e questo è compito di uno scrittore. La letteratura rielabora, riporta le cose in vita, le fissa sulla pagina e salva una donna che sviene in preda alle crisi epilettiche, la vedova di una vittima della dittatura, ogni desaparecido, ogni torturato. Voyager è un libro molto bello: sapere che siamo frammenti di qualcos’altro, che ci formano brandelli di altre storie ci conforta e ci responsabilizza. Stiamo attenti alle memorie, ai segmenti che lasceremo. I nostri avanzi riguarderanno chiunque verrà dopo, che ci piaccia o meno.

 

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Autore

giannimontieri@minimaetmoralia.it

Gianni Montieri, è nato a Giugliano in provincia di Napoli. Scrive per Doppiozero, minima&moralia, Esquire Italia, Huffpost e il manifesto, tra le altre. Prova a incrociare la letteratura con lo sport per L’ultimo uomo, Rivista Undici. I suoi libri di poesia più recenti sono Ampi margini (2022) e Le cose imperfette, editi da Liberaria. Ha pubblicato per 66thand2nd due titoli Il Napoli e la terza stagioneAndrés Iniesta, come una danza. Vive a Venezia. Altre info qui: https://giannimontieri.wordpress.com/biografia/

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