Questa sera, alle 19, l’autrice presenterà il libro da Verso, a Milano, con Annarita Briganti.

di Marco Carratta

Sul numero 31 della rivista Hamelin “nuovi tabù: l’infanzia” interamente dedicato alla sovraesposizione dell’infanzia nell’immaginario e nel mercato, Giordana Piccinini scrive un articolo dal titolo Tanti bambini, nessun bambino in cui traccia un ritratto impietoso del panorama editoriale con protagonisti bambini e ragazzi. Parla di una vera e propria moda capace di spingere verso “un’infantilizzazione complessiva che va dalle storie alle copertine, o a volte solo a queste, come amo per rendere più appetibili romanzi in cui di bambini non c’è neppure l’ombra. Ma anche quando essi ci sono, è importante chiedersi se e quanto gli autori siano stati capaci di raccontare l’infanzia per davvero. Il dubbio deve essere posto: non è un’impresa facile, i bambini sono per loro natura inafferrabili e nel momento stesso in cui pensiamo di aver colto la loro alterità, sono già altrove.” E continua, dopo aver analizzato esempi virtuosi e pessimi tentativi:

“Davvero non ci basta più l’infanzia come tale? O piuttosto è troppo faticoso lo scavo che lo scrittore deve intraprendere per catturarla e trovare quei momenti impalpabili e insieme radicali, che ne caratterizzano l’essenza e la storia?”

Per chi scrive, Laura Fusconi con I giorni lunghissimi della nostra infanzia, suo secondo romanzo, uscito per nottetempo, accetta questa sfida impegnativa e la vince.

Il libro racconta la storia di tre bambini della provincia di Piacenza. Attraverso le figure e le voci di Susanna, Annalia e Matteo indaga una fase della vita tra le più affascinanti e spaventose: l’infanzia.

Appare fin dalle prime pagine la consapevolezza di trovarci di fronte a dei bambini comuni che nel loro raccontarsi dimostrano la capacità, tutta infantile, di collegare ricordi e situazioni del tutto slegate, creando così nella loro mente un mondo di emozioni che coinvolgono i lettori. Scene del passato si sovrappongono al resoconto di una lunga giornata, resa memorabile da occasioni che un mondo adulto, ormai lontano e sbadato, non può che considerare come gioiose e spensierate.

Il libro si divide tra il racconto della gita scolastica al Museo di Storia Naturale di Milano, la visita all’azienda del padre, la festa di paese che si ripete ogni anno. Momenti per scoprire che nelle vite dei giovani protagonisti oltre ai peluche, ai giochi e alle giornate trascorse tra i banchi di scuola vi è un dolore sommerso, difficile da realizzare e ancora più tremendo se descritto attraverso le parole di un bambino.

Susanna, impacciata e insicura, è la prima a raccontarsi. Non accetta il suo corpo e quasi non riesce a controllarlo. è oggetto delle crudeli angherie dei suoi coetanei, ha una cotta genuina e innocente per Matteo Ferri e prova un sincero disprezzo per il resto dei suoi compagni e delle sue compagne. Non nasconde l’amore per nonna Brunilde, imbattibile a briscola, con cui condivide il rito segreto delle tartine alle acciughe delle quattro di pomeriggio. È la compagna di classe che vorrebbe tanto avere e che invece sta perdendo, rimanendo sola con chi non perde occasione di urlare il suo nome ogni volta che si fa riferimento ad un mammifero di stazza enorme riprodotto nei diorami del Museo di storia naturale. Le piace disegnare perché “i disegni sono come la realtà solo che puoi decidere tutto”:

“Nei miei disegni ho la pancia piatta e le gambe che non si toccano. Il bambino con i capelli neri lisci e gli occhi blu non mi prende mai in giro: mi dice i segreti e mi insegna a stare a galla nel mare … Nei miei disegni posso cambiare il colore del sole e far morire chi voglio” anche chi la fa soffrire con battute e atteggiamenti crudeli.

“Martedì dopo scuola vieni con me all’azienda di papà?”, è da questo invito che nasce la giornata che ci viene raccontata nella seconda parte del romanzo da Annalia. A riceverlo ed accettarlo è Marta, la sua migliore amica e compagna di classe, appena battuta a tennis e costretta per questo a “pagare penitenza”. Anche se non lo può ammettere, Annalia, bella, brava a scuola e di buona famiglia, invidia Marta per i suoi capelli lisci, per la sua abilità negli sport e soprattutto perché può percorrere un pezzo di strada in più di lei con accanto Michele Mozzi, il bambino per cui entrambe hanno una cotta. Anche per questo la penitenza che Annalia vuole farle scontare è una sfida crudele che fortunatamente non viene accettata. Ma dietro la crudeltà di questa bambina vi è una sofferenza senza pace che le impedisce di chiamare con il suo vero nome la scomparsa di Raffaele, il fratello maggiore, “partito senza dire nulla”. Vorrebbe ricordare tutti i giorni che ha passato con lui, “anche quelli che non può ricordare perché era troppo piccola: lì ci deve essere per forza qualche indizio”, qualcosa che le spieghi cosa è successo e che l’aiuti a far tornare le cose come erano prima della sua “partenza”. Invece, con i suoi genitori trasformati ai suoi occhi in dei robot incapaci di gioire, non fa che rimembrare scene di vita quotidiana che alla luce di questa tragedia acquistano il valore di ricordi indimenticabili.

A chiudere il romanzo è la voce di Matteo Ferri: competitivo, coraggioso, probabilmente il personaggio più affascinante del romanzo. Vorrebbe che “tutti lo invidiassero”, e per questo invia alla sua classe, senza fortuna, finte cartoline da posti esotici in cui non è mai stato in vacanza. Mette un impegno esagerato per vincere tutti i giochi che ogni anno animano la Festa delle castagne di Tuna. E mentre racconta le emozioni di questo evento, descrive la sua famiglia fatta di un padre operaio, una madre costretta a dividersi tra lavori precari e sfiancanti, una sorellina che protegge quasi ossessivamente. Come nelle pagine precedenti, un’esistenza come tante altre si rende originale attraverso i ricordi che, ricomposti, ne danno un quadro chiaro e desolante. Lui, bambino, vive lo sfilacciamento della sua famiglia con rabbia e disillusione verso gli adulti e il futuro. Pensa che a suo padre non importi nulla di loro, che li vorrebbe “gonfi d’acqua come il morto del ponte, morti come il Trebbia appena prima dell’alba”. Immagina larve di mosca sporcare anche il più candido zucchero filato se quest’ultimo proviene da un adulto che minaccia la serenità della sua famiglia. Alla sorellina non risponde quando gli chiede se la loro situazione cambierà.

Non c’è una trama definita, non c’è un finale ma una successione di piccoli eventi che sbucano dalla mente e dal cuore dei protagonisti e descrivono esistenze, per quanto brevi, già ricche di cose da raccontare, interpretare e immaginare. È la prospettiva dalla quale vengono raccontate, dal di dentro, a rendere questo romanzo un esperimento riuscito.

_________

Riferimenti:

Giordana Piccinini, Tanti bambini, nessun bambino, Hamelin, n.31 “nuovi tabù: l’infanzia”

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Autore

redazione@minimaetmoralia.it

Minima&moralia è una rivista online nata nel 2009. Nel nostro spazio indipendente coesistono letteratura, teatro, arti, politica, interventi su esteri e ambiente

Articoli correlati