di Emanuela Cocco

I lettori di True Crime, e chi lo scrive, danno per scontato qualcosa che è sempre bene ribadire: il semplice fatto che la violenza e la morte, i casi di cronaca nera intrisi di sangue, e lo sgomento che questi si trascinano dietro, appartengano al mondo, siano parte dell’esperienza di vita di chi si muove nel mondo, prima ancora di diventare testi. L’orrore non è mai prodotto o sollecitato dai testi, semmai i testi sono il tentativo di comprenderlo e di raccontarlo, a volte con esiti discutibili, altre con uno sforzo interpretativo di cui vale la pena cogliere i frutti. Lasciare i morti in pace, eliminare la violenza dai testi, dal racconto che facciamo del mondo, e quindi relegare l’orrore in una zona fuori campo, uno spazio interdetto alla visione, e alle domande, dove tutto questo continuerà a esistere e proliferare senza diventare oggetto di riflessione, potrebbe essere la peggiore delle scelte possibili.

La morte nella quale siamo immersi, quella di chi ci abita accanto di cui abbiamo notizia grazie alla cronaca nera, o quella sterminata che attraversa le zone di guerra, ci interroga, ci chiama a giudizio, ponendoci davanti a domande ineludibili.

Di queste domande è intriso “Rosso profondo” il True Crime di Antonio Paolacci e  Paola Ronco, terzo titolo  di Ubagu Press, nuovo marchio editoriale dedicato al giallo, il noir, il thriller e il true crime,  nato dall’alleanza tra le case editrice indipendenti 66thand2nd e nottetempo.

In “Rosso profondo”, ricostruendo un fatto di cronaca dei primi anni Novanta, gli autori ci spingono a ragionare sugli aspetti sociologici e di costume che accompagnano il racconto di ogni evento criminoso. La premessa di Paolacci e Ronco, sembra essere la consapevolezza del fatto che il racconto di un omicidio sia inalienabile non solo dall’analisi del mondo che lo ha generato, ma anche dalla lingua, dal vocabolario che è stato usato per raccontarlo.

Quest’anno, in questa stanza, è già passato di tutto. Perché il 1991 è iniziato subito col botto.

“Rosso profondo” muove i passi da un caso di cronaca minore, avvenuto a Torino nel 1991. La morte di una donna, una storia piccola, capitata in un periodo storico denso di eventi eclatanti, che le  rubano subito la scena. Sono gli anni della banda della Uno bianca, il 4 gennaio nel centro di Bologna avviene quella che sarà ricordata come la strage del Pilastro, nella quale verranno uccisi a sangue freddo tre carabinieri, è l’anno in cui scoppia la Guerra del Golfo, anni in cui anche sul piano della cronaca nera, a Torino, non si parla d’altro se non dello strano omicidio di Sergio Brigo, un tranquillo pensionato che però viene freddato da tre colpi di pistola in strada, una morte in stile esecuzione che appare inspiegabile.

Sono anni molto diversi dai nostri,  ci dicono gli autori, da quelli che viviamo oggi, anni in cui se eri un giornalista, nel raccontare quello che accadeva nella tua città, nel mondo, dovevi condividere lo spazio fisico e mentale di una redazione, di un gruppo di lavoro, anni in cui gli investigatori non avevano tutti gli strumenti che hanno adesso, anni caotici, in cui era possibile che l’indagine per un omicidio si arenasse di colpo per la mancanza di prove, o anche, come è il caso della storia raccontata in “Rosso profondo”, diventasse, in modo imprevedibile, terreno di conflitto tra due diverse forze investigative, quella dei carabinieri e quella della polizia, alla quale poi si sarebbe aggiunta anche come terzo attor in gioco, la voce della stampa del tempo.

Tra tanti casi che avrebbero maggiori possibilità di diventare emblematici, o anche solo più conosciuti, gli autori scelgono questo e lo trasformano in una affascinante avventura interpretativa del tempo che abbiamo vissuto e dei mutamenti che hanno attraversato il nostro paese senza tralasciare l’appassionante messa in scena delle complicate relazioni che convergono verso questo fatto di sangue, e la caratterizzazione precisa e vivida della sua protagonista: la vittima.

Al centro della narrazione di “Rosso profondo”, infatti, c’è la figura di Franca Demichela, una donna eccentrica, figlia di un dirigente della Fiat, donna trasgressiva, sessualmente rapace, solita adescare ragazzi immigrati sulla ventina, che lei paga per avere rapporti sessuali, o solo per compagnia. Una donna instabile, chiassosa, che si ubriaca per locali e se ne va in giro con la borsa piena di banconote e gioielli, una donna sposata ma apertamente infedele, una che pianta liti ovunque, che ha tanti amori, troppi soldi addosso, e mille occasioni di finire ammazzata.

Come nella trama prevedibile di un romanzo giallo, la donna diventa vittima di un omicidio, il suo corpo viene ritrovato da un senza tetto, sotto un viadotto della tangenziale torinese, zona frequentata dalle prostitute. Indossa un abito sfarzoso, eccessivo, che le varrà il soprannome di “signora in rosso” e in un primo momento verrà scambiata anche lei per una prostituta. Questo sarà solo il primo dei tanti errori, imprecisioni, giri a vuoto, che costelleranno l’indagine di un caso che avrà diversi sospettati, alcuni imputati, uno tra tutti il marito della donna, ma che resterà insoluto e silente per quasi trenta anni per poi essere riaperto dalla Procura e diventare anche oggetto dell’indagine privata e intima degli autori del libro.

Con una incredibile attenzione al dettaglio, e alla sua resa drammatica, gli autori di “Rosso profondo” ricostruiscono in modo impeccabile e appassionante gli ultimi giorni di vita della donna, il tortuoso percorso investigativo del caso e anche i dilemmi di chi, senza smettere di interrogarsi sul senso della sua scrittura, affronta scrupoli, paure, resistenze rispondendo con la caparbietà di  chi ha deciso di scrivere un libro non solo per raccontare i fatti di una storia di sangue, ma anche per provare a capire e dire qualcosa capace di scalfire la superficie della notizia.

In “Rosso profondo” il fatto di cronaca nera diventa un’occasione privilegiata per passare al setaccio l’Italia di quel tempo, alla ricerca di nuove piste investigative ma anche di nuovi percorsi di pensiero e messa in discussione di pregiudizi che ai tempi della notizia, non erano considerati tali. Con uno stile pulito, apparentemente impassibile e proprio per questo capace di trattare con rispetto e compassione una storia incandescente come quella della signora in rosso,  Paolacci e Ronco ci accompagnano in un viaggio spaventoso,  a tratti commovente, quello di un  delitto spregevole e di una vittima avvertita come sbagliata, una storia pieno di tensione e di rammarico, dove nessuna domanda è destinata all’oblio e tutto, fino all’ultima parola scritta, sembra restare in gioco, nel tentativo di chiamarci in causa, di farci prendere posizione, al banco dei testimoni per dire la nostra sulla morte dell’altro che, vicino o distante da noi, è sempre anche un po’la nostra.

Per ultimo, anche se così di fatto si apre il libro, “Qualcosa di rosso” tratta anche dell’umano che diventa cosa, per incuria, dimenticanza, per una depravazione del pensiero, per pregiudizio, per errore, per la catastrofe annunciata da una passione sregolata, per odio, gelosia, vendetta, o forse anche solo per semplice e casuale opportunità che ci trova impreparati, terrorizzati, feroci.

Proprio come Ciano, l’uomo che per primo scorge il corpo della vittima, seguendo l’intricata successione di nomi e circostanze che costituiscono il viaggio allestito per noi dai due autori di “Rosso profondo”, torneremo spesso nel corso della lettura a quell’immagine di corpo oggettificato, infilato dentro un vestito sfarzoso, qualcosa di rosso, perennemente in posa.

Anche una volta chiuso il libro resteremo in compagnia di questa immagine desolata, densa di un mistero sempre replicato, di quelli che restano dentro anche quando viene svelato il nome del colpevole, qualcosa che ha a che vedere con le interrogazioni a cui veniamo chiamati dalla morte, che poi è  anche  il mistero della vita, con tutto il carico di violenza che ci portiamo dentro e che solo a volte, con orrore riconosciamo come nostro. Il mistero che, proprio come la vittima del caso raccontato in questo libro, a volte cercheremo di scongiurare, ridendo, scopando, lanciando un desiderio oltre lo steccato, provando per una volta a capire, mettendo tutti noi stessi nl tentativo di capire, scegliendo una storia qualunque, una storia piccola, ma trattandola come se fosse qualcosa di universale, perché di questo si tratta, di questo ci hanno parlato Paolacci e Ronco in questo libro, di quello che trascina la nostra vita, a volte, nel Rosso profondo del crimine violento e di quello che possiamo fare noi con armi spuntate, per cercare di trarne, barlume di senso, quello spiraglio di luce che possiamo cogliere nel cuore nero della storia che ci comprende tutti, vittime, carnefici o testimoni, non importa.

 

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