«I nostri corpi non sono abituati, si conoscono come conoscenti, anche i nostri corpi possono mentire».

Sono uscito dalla lettura di Tredici lune di Alessandro Gazoia (nottetempo 2021), con in testa la parola distanza. Si tratta di un romanzo, in effetti, che si occupa – tra le altre cose –  di misurare la distanza cogliendola in molte sfumature, o sfaccettature se preferiamo. La distanza mentre si realizza sfilaccia e macera, avvicina e allontana, marca un territorio, disegna nuovi perimetri, mette due persone  in relazione e subito ne evidenzia i confini: come cercarsi, come fare a stare insieme, come non invadersi, come tenersi per mano quando i giorni che si vivono impongono la lontananza per decreto.

La distanza verso le cose, così come le abbiamo guardate e usate per molto tempo, da sempre, che diventano qualcos’altro. Alcune troppo presenti: lo specchio, il computer, il cellulare, il frigorifero. Alcune altre spariscono a poco a poco: le panchine, gli scooter, i treni, le bici, i viaggi, i contatti. La distanza da noi stessi. Data una situazione di costrizione, stiamo per forza a guardarci, a contarci, quanti siamo? Dentro di noi chi esiste? Siamo uno, abbiamo un doppio? Quando le circostanze impongono un isolamento sappiamo fare i conti con le nostre personalità? Eravamo soli anche prima, ma adesso la solitudine è certificata, la puoi toccare con mano, non puoi tirarti indietro. Questo è il 2020, l’anno delle tredici lune. Adesso che fai?

Ci interroghiamo per la prima volta su come arrivano fin qui le pizze, chi le produce, dove, chi le porta, in che modo. Sono domande da narratore che cerca il realismo ed è una sensazione strana come quando ti metti per la prima volta i tappi nelle orecchie e fai attenzione al tuo respiro, ti chiedi perché funziona, come fa.

La storia comincia con Elsa che arriva da Ale (la voce narrante del romanzo), ci arriva in treno, col suo trolley. L’idea è di passare insieme qualche giorno in più di un normale weekend, non si vedono da molti mesi, devono ancora imparare a conoscersi a riconoscersi. Ale ha messo in frigo gli yogurt che Elsa preferisce, ha comprato una nuova tisana al mirtillo da provare insieme. Quando ci si innamora si cominciano nuovi codici fatti di prime cose, tra queste ci sono anche le tisane. Il fine settimana è però destinato a essere breve, a concludersi con la domenica. Sono i giorni in cui è esplosa la pandemia, si parla di chiusure, di decreti. Elsa non può (anche se vorrebbe) fermarsi nella piccola cittadina di provincia dove vive il suo ragazzo, deve rientrare a Napoli, ha i genitori anziani, deve lavorare.

In questi giorni tutti abbiamo bisogno di non crederci troppo in torto, riscriviamo senza pudore il passato recente, scusiamo i nostri errori come irrilevanti o inevitabili, magnifichiamo le nostre scelte corrette anche se non erano davvero scelte ma abitudini o caso. Ci persuadiamo di sapere come stanno le cose in generale.

Questi sono i passi da cui muove il racconto di Gazoia. Il protagonista deve imparare immediatamente a gestire situazioni nuove come è successo a tutti  noi. Ci sono due aspetti: quello sentimentale e quello quotidiano. Elsa è lontana, perciò telefonate (ma non alla stessa ora, quando se ne ha voglia), perciò domande (fidarsi non fidarsi, attendere, desiderare). Nel quotidiano rinunciare a uscire se non per la spesa, se non per passare a trovare la propria madre. Una scena bellissima avviene dopo la partenza di Elsa, quando Ale va al cimitero a pulire la tomba di suo padre, sono gesti che ha già fatto ma li percepiamo come quelli di chi sta salutando di nuovo, chissà per quanto non potrà tornarci.

Il protagonista fa l’editor, è abituato a maneggiare le storie, perciò anche i sentimenti che giostrano nei libri. Inoltre è abituato a lavorare da casa, ha la fortuna di stare in un’abitazione confortevole. Però è diverso, mica aveva mai dovuto misurarsi con l’assenza, con i timori, con il non sapere bene cosa accadrà alla sua storia d’amore, alla vita. Continua a lavorare, è nella condizione nella quale siamo transitati in parecchi nel periodo del primo lockdown, quella fatta di paure, di mancanze ma anche di, tutto sommato, comoda gestione. I morti che aumentano pesano ma non fanno parte di ciò che si conosce. È strano. Perciò il narratore misura distanze: quella da Elsa, quella da casa di sua mamma, quella del supermercato, quella che manca al tempo in cui potrà uscire in bici, andare fino al bosco. Passerà giorni angoscianti, solo davanti allo specchio, mentre si inventa formule per sopravvivere, che vanno dall’acquisto di carboidrati alla scrittura. Curerà i libri degli altri come ha sempre fatto, mentre aspetta che passi la solitudine totale, che Elsa torni, che sia ancora lì quando tutto finirà.

Noi, chiunque vogliamo poi essere noi, non sopportiamo un wet market, non sopportiamo un macello, non tolleriamo di vedere l’uccisione in massa di polli vitelli maiali come non sopportiamo di vedere la morte di un bambino nella carestia e la morte di un vecchio che mandiamo nella rsa. Così quando ci compare davanti e non possiamo volgere lo sguardo altrove, questa morte è inconcepibile, insostenibile. Dobbiamo mascherare l’orrore.

Gazoia è molto bravo a tenere le redini di questa storia, non cede mai alla tentazione di scivolare nel racconto della pandemia. Il virus c’è, è accaduto, accade, ma in questo libro sta insieme alle altre cose che succedono. Come ci si ama in una pandemia? Come si continua a fare le cose così come le facevamo? La poeta Paola Turroni in una poesia splendida scrive: “Ci sono gesti che bisogna continuare a fare / chiudere finestre, tostare il pane, legarsi / il fazzoletto sulla nuca”.

Anche il protagonista continua a fare le cose, ma le cose cambiano: fare la spesa non somiglia al fare la spesa di prima. Soprattutto, avere a che fare con se stessi non è uguale a com’era, anzi è una novità, forse non avevamo mai avuto il bisogno di avere a che fare con noi. Tredici lune si muove veloce e tocca con delicatezza il dramma, agisce nel nuovo. Gazoia ha scritto mentre tutto accadeva, perciò ha lavorato sulla prossimità e sulla giusta distanza da mantenere, un lavoro non semplice che mi pare molto riuscito.

Ma anche una storia d’amore, con tutte le virgolette dentro e fuori le nostre voci, è una cospirazione.

Già in Giusto terrore (Il Saggiatore 2018)  l’autore aveva lavorato sui linguaggi, come quello del terrorismo. Su come i linguaggi si imparano, si usano, si superano. Chi maneggia la lingua, chi mette al posto giusto le parole sopravvive, regge all’urto. L’amore è un linguaggio, la pandemia è un linguaggio, la solitudine pure. Tenerli insieme, alternando la narrazione principale ad altri piccoli racconti, è un compito che lo scrittore bravo deve porsi per non eccedere, per farci avvicinare a una storia che dovremmo, per molti versi conoscere, ma che non abbiamo ancora chiara.

Alessandro Gazoia scrive un romanzo bello che dice molto su come si resta in piedi, su come le difficoltà non sono sempre così visibili, di come diventino – in situazioni d’emergenza – complicati (assumendo nuovi significati) i gesti semplici come lavarsi le mani, vestirsi, prepararsi il caffè. L’ultima riflessione da fare è che leggendo Tredici Lune – e torniamo alle distanze – è che il primo lockdown può sembrarci il come un avvenimento di molto tempo fa, e non perché Gazoia o noi lo abbiamo dimenticato, ma perché noi stessi in quest’ultimo anno siamo (e stiamo) cambiando continuamente a grande velocità. Ogni minuto vale un decennio, o niente.

 

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Autore

giannimontieri@minimaetmoralia.it

Gianni Montieri, è nato a Giugliano in provincia di Napoli. Scrive per Doppiozero, minima&moralia, Esquire Italia, Huffpost e il manifesto, tra le altre. Prova a incrociare la letteratura con lo sport per L’ultimo uomo, Rivista Undici. I suoi libri di poesia più recenti sono Ampi margini (2022) e Le cose imperfette, editi da Liberaria. Ha pubblicato per 66thand2nd due titoli Il Napoli e la terza stagioneAndrés Iniesta, come una danza. Vive a Venezia. Altre info qui: https://giannimontieri.wordpress.com/biografia/

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