È innegabile che tra la Generazione Z e quelle precedenti – Millennial, Generazione X, o più in generale i cosiddetti boomer – si sia alzato un muro di diffidenza e incomunicabilità, fatto non di analogici mattoni, ma di impalpabili piattaforme digitali. I ragazzi ci si sono ormai rintanati e lo usano come una novella lingua farfallina per difendere i propri segreti, ma neanche i “grandi” sembrano intenzionati ad aprire uno spiraglio per sbirciare cosa succede dall’altra parte. Spesso infatti preferiamo liquidare i prodotti di e per la Gen-Z come un coacervo di immonde brutture il cui successo è incomprensibile, rifugiandoci a nostra volta nell’ennesima operazione nostalgia che ci riporti a quegli anni ’80 e ’90 in cui eravamo tutti migliori e felici.

Vincenzo Marino, autore di Sei vecchio – i mondi digitali della Generazione Z, edito da Nottetempo, tenta l’eroica impresa di calarsi dall’altra parte di quel muro. Classe 1986, quindi pienamente etichettabile come Millennial, per scrivere questo libro fa un po’ come Morgan Spurlock in Super Size Me: si abbuffa letteralmente di dirette Twitch, di canali Youtube, di reel di TikTok, mostrandoci in prima persona l’effetto che fa.

Marino non è nuovo all’indagine su contenuti e trend della Gen-Z, li indaga da tempo nella sua newsletter Zio. In Sei vecchio raccoglie i frutti delle sue esplorazioni, restituendo un’analisi oculata, supportata da dati, documenti, interviste e condita con un tono sottilmente ironico, a tratti perfino beffardo – ma mai giudicante – intuibile già dal titolo. E del resto chi, come molti over 40, continua a fare un uso dei social ormai ‘superato’, non può che sentirsi vecchio di fronte a quel mondo di streamers e di tiktokers che Marino ci spalanca davanti agli occhi: creators che godono di una fama impensabile nell’universo Gen-Z, mentre noi, al di qua del muro, non li abbiamo neanche mai sentiti nominare. Peggio di quando andavamo da nostra nonna a parlarle di Michael Jackson, insomma.

Così tra le lunghe ed estenuanti dirette in cui Gennaro, detto GSkianto, permette ai suoi follower di svegliarlo in modi atroci mentre dorme, i panini “con mollica o senza” farciti dal salumiere-star Donato De Caprio e altezzosi commentatori come ilMasseo che letteralmente ‘vendono’ ai fan le proprie reactions di fronte a programmi televisivi, Marino ci racconta l’ascesa e talvolta la caduta di questi personaggi come una sorta di epopea anti-epica, in cui dapprima soldi e successo arrivano rapidamente e quasi senza sforzo – del resto chi non ha mai sognato di guadagnare giocando ai videogame? – ma poi la crudeltà dei fan, il bisogno costante di rinnovarsi e l’ansia di non riuscire a tenere il passo arrivano ben presto a presentare il conto. Questi giovani pionieri della monetizzazione però non rinunciano a esporsi nemmeno quando vanno in burnout, quando subiscono un crollo emotivo dovuto a dirette protratte oltre l’umana sopportazione o vanno nel panico dopo un permaban, una specie di damnatio memoriae dell’epoca digitale. In questi casi anche i pianti o la depressione esibita sono un’occasione per guadagnare visualizzazioni o per recuperare follower persi, non importa quanto umiliante possa essere.

 Sei vecchio non è solo un catalogo di storie dal mondo digitale. Marino ci fa anche notare come le piattaforme stiano diventando sempre meno uno strumento per comunicare e sempre di più un mezzo per guadagnare. Chi posta qualcosa, chi fa una diretta, non ha più il desiderio di conoscere nuove persone o semplicemente mettersi in mostra, ma lo fa inseguendo l’utopia di quel successo improvviso che l’algoritmo può darti da un momento all’altro, purché si riesca a intercettare il trend giusto. Quelli che noi ancora chiamiamo social network, reti sociali, piattaforme fatte per unire persone lontane – o semplicemente per farci i fatti loro senza essere visti – stanno perdendo la loro caratteristica social, verso una spiccata impronta individuale, dove ognuno è lì per tentare la fortuna, per costruirsi una nicchia più o meno grande di ascoltatori.

Questo grande movimento di denaro e di pubblico non solo ha attirato l’attenzione del Mercato con la M maiuscola, quello delle grandi multinazionali della comunicazione, ma ha addirittura suscitato l’interesse di una politica che fino a poco tempo fa sembrava ignorare totalmente quella fascia d’età. Forse mai come in quest’epoca gli adolescenti e post-adolescenti sono stati così tanto sotto i riflettori, e forse mai prima erano stati dei così bravi imprenditori di se stessi.

Il futuro prossimo che dunque si va delineando dall’analisi di Marino è quello di un sistema in cui la differenza tra pubblico e creators si assottiglia fin quasi a diventare inesistente. Nessuno si limita più a guardare senza creare a sua volta contenuto, in un sistema che si autoalimenta a velocità quasi insostenibile, producendo rapidi introiti, competitività al cardiopalma e traumatiche ansie da prestazione.

Al termine della lettura non si può allora fare a meno di chiedersi: questa evoluzione sarà poi davvero un male? Si stava meglio quando si stava peggio o tutto questo è un confuso preludio a nuove e interessanti forme di comunicazione?

Prima che questa risposta arrivi con chiarezza forse ci vorrà il tempo necessario a far cadere altri muri, a tirarne su di nuovi e a demolire anche quelli.

Noi ce ne staremo lì, a guardare i cantieri.

 

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Autore

a.vertorano@tin.it

Armando Vertorano, classe 1980, è autore televisivo, scrittore e sceneggiatore. Quando non scrive quiz e domande per il piccolo schermo, collabora con riviste culturali online come minima&moralia, Snaporaz e Limina. Ha pubblicato due raccolte: una di racconti (Dindalé) e una di testi teatrali (Materiali di scena), e ha all'attivo due podcast, Cover the top e Se telefonando.

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